lunedì 16 ottobre 2017

La regola del 46 - Alessandro Ghebreigziabiher

  
Ahmed Timol, attivista anti-apartheid, venne arrestato a Johannesburg nell’ottobre del 1971. Dopo cinque giorni di detenzione ne fu decretato il decesso, ufficialmente per suicidio a causa di una caduta dall’edificio del quartier generale della polizia. A riportare luce sulla verità ci ha pensato oggi il tribunale di Pretoria. Timol è statoassassinato dagli agenti, ha dichiarato la corte sudafricana, in una sentenza storica, accolta con un applauso dai presenti. Ci sono voluti 46 anni

Gioite.
Voi, che la legge del tempo presente falcia con facilità assordante e il silenzio della cronaca vigente umilia fino a ogni più ostinato recesso dell’anima.
Esultate tutti, perché l’ingiusta clessidra ha un cuore.
Lento e goffo, ma batte.
Incredibile nella sua pervicace ossessione nello schierarsi dal lato più servile della bilancia, quello dove non richiesto si lucidano le ruote dorate del carro trionfatore.
Ciò malgrado, ha una 
logica, da questo dì.
Una 
norma virtuosa, finalmente, a cui affidare il fin troppo svilito raziocinio, naturalmente incapace di accettare gli abusi peggiori, quelli che seppur precipitino dall’alto, son ben tollerati.
Lì in basso.
La 
regola del 46, così la chiameremo.
Ovvero, 
il teorema di Timol, ma sussurrandone il nome proprio.
Non sia mai che, come già accaduto troppe volte in passato, la benché tardiva restituzione sia stato solo un abbaglio.
Invero, è un sogno, già, comunque, ma a occhi aperti.
L’
assioma mirabile è tale e ha un numero magico, come ogni equazione nobile che si rispetti, quelle sui cui fondano le basi le figure perfette del firmamento.
Leggi pure come 
le scintillanti stelle che ancora attendono di riposare in pace.
Non dirmi che non ci avevi fatto caso, dai.
Pensavi davvero che c’entrasse solo la 
teoria della relatività?
Ma quello è un modo per spiegarle.
Per guardarle ci vuol ben altro.
I puntini luminosi che dopo ogni tramonto persistono nel brillare sulla bruna volta non sono affatto meri echi di un chiarore lontano, figlio di astri oramai scomparsi.
Sono piuttosto domande perennemente rivolte all’umanità che ha ancora il coraggio di alzare il capo e farsene carico, malgrado il peso della distanza e l’inganno delle dimensioni.
Quarantasei, questa è perciò la cifra che darà speranza e orizzonte alle esistenze calpestate impunemente dalla prepotente narrazione delle cose pubbliche.
Gioisci, vittima sacrificale dell’ipocrita quadro globale.
Perché al massimo 
quarantasei, saranno le inique frustate.
Così i giorni di illegittima prigionia e altrettante le silenziate violenze.
Le offese legalizzate e le volte che la gente volgerà lo sguardo innanzi al vile sopruso, gli schiaffi e gli sputi, le ferite rimarginabili e quelle indelebili, i ricordi e gli incubi, le notti insonni e i giorni cancellati, gli affetti persi e tutte le occasioni mancate, i giorni, i mesi, gli anni, avranno tutti un limite, il massimo della gratuita pena, il peggio che potrai aspettarti dai tuoi più disumani simili.
Quarantasei, la regola, il suo numero.
Nel frattempo, come per l’inaccettabile sofferenza che contiene, una volta scritto e ad alta voce pronunciato, ci impegneremo a far sì che si possa perfezionar la formula, riducendolo a zero. 

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