Scatole rosse svela
segreti - B 737 MAX, precedente allarme tecnologico
trascurato?
Perché quelle 157 vittime, quegli otto italiani scomparsi?
Cosa possa essere veramente accaduto nel
disastro del volo Ethiopian Airlines ce lo diranno le scatole nere (che poi
sono rosse). Ma l’algoritmo delle catastrofi già impazza e spesso ci azzecca.
Perché lo schianto del 737 Max-8, verificatosi 6 minuti dopo il decollo da
Addis Abeba, ricorda, molto da vicino, il terrificante incidente dello scorso
ottobre in Indonesia. In quell’occasione lo stesso tipo di Boeing precipitò
pochi minuti dopo il decollo, in circostanze che gli esperti ritengono
abbastanza simili a quelle di domenica scorsa. Anche allora si parlò
immediatamente di una responsabilità (indotta) del pilota automatico,
determinata a sua volta dal malfunzionamento dei sensori di velocità.
Bis dell’Indonesia
In sostanza, la timeline dello schianto
indonesiano viene così descritta dalla britannica (e autorevolissima) BBC: i
piloti parlano immediatamente dopo il decollo di un “flight control problem”
relativamente all’altitudine. Dopo un minuto scatta l’anti-stalling system, col
computer che spinge il naso dell’aereo in picchiata. Problemi di velocità, non
sufficiente (sempre per il computer) a tenere il velivolo in aria. I piloti
correggono manualmente e riportano il muso del 737 in linea. Chiedono alla
torre di controllo anche la velocità, perché ritengono che i loro indicatori
siano sfasati. Il computer rispinge il naso dell’aereo all’ingiù, mentre il
comandante, manualmente, lo riporta su.
Uomo contro computer
Tale lotta disperata tra l’uomo e il
computer dura per altri sei minuti. Con l’aereo cha picchia e “imbarca”
continuamente. Alla fine la torre di controllo nota che l’aereo punta verso il
suolo, perdendo quota. I piloti affermano che gli strumenti sono andati e
attivano le procedure per un atterraggio d’emergenza. Un minuto dopo il 737
scompare dai radar e si schianta. Il rapporto preliminare parla di “diverse
concause” strumentali, a cominciare da una “failure” dei sensori di velocità
che, a catena, hanno ingannato il computer, inducendolo a “ordinare” una
continua emergenza dell’anti-stalling. Quest’ultimo avrebbe indotto il velivolo
a scendere in picchiata (per guadagnare velocità).
Automatismo impazzito
I piloti, poi, non sarebbero riusciti (per
ben 20 volte) a tamponare manualmente gli errori del sistema automatico.
Schiantandosi. Così il volo Lion Air JT610 ora costituisce il parametro su cui
basare l’inchiesta sul disastro di Addis Abeba. Il malfunzionamento poteva
essere ovviato dai piloti? Il rapporto sull’incidente indonesiano è ancora
“preliminare”, ma ha già sollevato un vespaio di polemiche. Alcuni giorni prima
del disastro, il “manteinance log” parlava di ben 6 problemi tecnici da
risolvere su quell’aereo. Uno, in particolare, riguardante i sensori del
cosiddetto “angolo di attacco” (che misura l’incidenza delle ali e del flusso
d’aria, determinante per la “portanza”), era stato rimesso a posto il giorno
prima della catastrofe.
Allarmi trascurati?
In un altro volo, da Bali a Giakarta, con
problemi analoghi, un altro 737 (sempre secondo quanto riporta la BBC) si
sarebbe salvato per un pelo. Problemi di “dialogo” tra computer e piloti,
sarebbero pure alla base dell’incidente che ha coinvolto il volo Air France
444, inabissatosi nell’Atlantico dopo essere decollato dal Brasile una decina
d’anni fa. Anche in quell’occasione si parlò di sensori di velocità (i ”tubi di
Pitot”) malfunzionanti, al punto da causare lo stallo dell’Airbus. Ora la
domanda è: bisogna rivedere il software del 737 Max-8 e aggiornare, con
un’operazione di “back-up”, tutti i sensori moltiplicandoli?
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