L’istituto Primo Levi di Quartu Sant’Elena,
pare con l’accordo dei genitori, aveva scelto di mandare alcune terze classi al
Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra, in
località Perdasdefogu.
La
scuola ha come obiettivo principale quello di favorire la crescita di cittadini
consapevoli, promuovendo competenze critiche che, partendo dalla Costituzione,
sviluppino le ragioni storiche, culturali ed etiche che rendono gli uomini e le
donne di domani capaci di discernere fra la cultura della pace e i cultori
della guerra e delle armi. Mettere l’accento sui disastri che la guerra ha
inflitto, nelle diverse parti del mondo è un dovere morale.
Come
questo possa conciliarsi con l’accettazione di stages nei poligoni militari è
cosa di ardua comprensione. Cercare di sistemare studenti-studentesse per far
fronte all’alternanza “scuola lavoro” richiederebbe un discernimento maggiore.
La
prima considerazione riguarda l’intitolazione della scuola: Primo Levi. A quale
scopo una scuola che lo ricorda mostra di ignorare, nei fatti, il vissuto e la
sofferenza della guerra vissuta dallo scrittore di «Se questo è un uomo» accettando di indirizzare ragazze e ragazzi
in un luogo in cui alla guerra si addestra? Fosse anche «per far acquisire agli
studenti competenze tecniche e professionali, tipiche del settore
amministrativo, gestionale e informatico, all’interno di un’organizzazione
complessa e ben strutturata»?
La
seconda considerazione riguarda il fattore salute. Già nel maggio 2012 il
procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, aveva affermato:
«La Sindrome di Quirra oggi non è più un fatto misterioso, perché finalmente si
conoscono le fonti del pericolo per la pubblica incolumità che sono rimaste coperte
da un alone di mistero per tanto tempo». Non ha dubbi perchè la Procura di
Lanusei ha ricostruito «un quadro di evidente contaminazione da attività
militari e di sperimentazione» svolte per decenni all’interno del Poligono del
Salto di Quirra. Il tutto senza che militari o civili impegnati nel poligono
fossero stati adeguatamente informati o protetti verso i gravi rischi sanitari
che potevano correre in determinate aree».
Spiegava
il magistrato, supportando le sue argomentazioni con le conclusioni dei
consulenti scientifici, che «la fonte di questo pericolo è costituita da una o
più sostanze radioattive che creano, specialmente per le emissionidi radiazioni
alfa, una pericolosità così lunga nel tempo che sono necessari 30/35 anni per
esprimere tutta la loro potenzialità nociva. Significa che negli anni 2000
stiamo subendo i possibili effetti negativi, in termini di danni al DNA delle
persone viventi e degli animali, per condotte poste in essere negli anni
1970/1980». (*)
Non
è forse la salute, nelle sue varie sfaccettature, una delle emergenze educative
cui la scuola deve far fronte?
Quali
dunque le spiegazioni possibili per una scelta così poco oculata? Da qui
dovremo ripartire, cercando di operare scelte di alternanza che non tralascino
mai di operare in sintonia con l’articolo 11 della nostra carta Costituzionale
laddove si recita che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo».
Un’alternanza
scuola-lavoro in questi contesti stride fortemente con troppi degli obiettivi
che la scuola della Repubblica dovrebbe perseguire. Anche per questo,
l’Istituto Levi ha dovuto correre repentinamente ai ripari annullando
l’attività che tanto clamore ha destato.
«Non
omne quod licet honestum est». Imparare dagli errori si deve, perché non si
ripetano.
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