Noi vi abbiamo invaso.
Sì, è vero, è così.
È inutile negarlo: vi abbiamo invaso.
In innumerevoli vesti, lo abbiamo fatto.
Come l’attentatore e l’eroe, il primo armato di taniche di benzina e l’altro di un cellulare, con il quale chiamare i carabinieri, all’occorrenza.
E al riparo di siffatte, popolari maschere, rese tali dal clamore dei giornali, ecco le sole caratterizzazioni che servono al racconto previsto:l’immigrato cattivo e quello buono.
Ma anche il terrorista islamico e il cittadino modello, malgrado quest’ultimo, a norma di legge, sia ancora niente più che uno straniero.
Conta poco sapere che per il primo tanto la cosiddetta matrice terroristica quanto quella islamica siano escluse. Da cui, se poco conta, perché farsi ulteriori domande?
Perché quel che ora resta indelebile, e tale dovrà rimanere all’indomani, è ciò che noi altri in tempi assai sospetti abbiamo fatto.
Vi abbiamo invaso, ricordate?
E allora, non dimentichiamo le origini, non sia mai: il senegalese e l’egiziano.
Perché la nostra pelle parla per noi, e dovremmo urlare a squarciagola per sovrastarne il frastuono alimentato nel tempo, senza per questo arrivare a sequestrare un autobus per ottenere tanto.
Anche perché non si farebbe altro che aumentare il baccano nel quale siamo precipitati, volenti o nolenti.
Eppure, in frangenti tragici come questi, ecco che emergono distinzioni che dovrebbero sempre e comunque fare la differenza, se perdonate la banale ripetizione.
Perfino laddove la vita stessa sia in gioco, o forse proprio in quegli istanti, si può vivere il ruolo assegnato dalla regole sociali in modo opposto.
L’autista e lo studente prendono strade divergenti. E capita più spesso di quel che ci immaginiamo.
Colui che con il suo scuolabus dovrebbe accompagnare i più giovani verso il luogo che auspicabilmente li aiuterà a crescere, all’improvviso, prende la direzione contraria e punta verso il burrone oltre il quale sprofonda la sua stessa folle tristezza.
Al contempo, a fronteggiare l’altro, come a completare una sorta di allegorica equazione, l’alunno si toglie il consueto grembiule d’ordinanza e fa leva sulla vera ricchezza che contraddistingue tutte le popolazioni a cui sovente viene associato dalle nostre parti, e che nei secoli dei secoli è una delle prerogative principali che ci rende umani.
Leggi pure come il tenace, commovente e insopprimibile desiderio di sopravvivere.
Entrambi spesso dimentichiamo chi dovremmo essere, in questo viaggio. Succede tutti i giorni, ovunque, a chiunque. E, da un istante all’altro, diventiamo ciò che siamo.
È così che qualcosa trapela, dopo che il fumo dei titoli acchiappa click e degli strali attira like via social network si dirada.
È questa la via tramite la quale diventiamo anche dei nomi, oltre che il resto.
Ousseynou e Ramy.
Ciò malgrado, qualora aggiungessimo pure le immagini dei nostri volti, l’inevitabile sottinteso sarebbe inviolato.
Sì, è vero, è così.
È inutile negarlo: vi abbiamo invaso.
In innumerevoli vesti, lo abbiamo fatto.
Come l’attentatore e l’eroe, il primo armato di taniche di benzina e l’altro di un cellulare, con il quale chiamare i carabinieri, all’occorrenza.
E al riparo di siffatte, popolari maschere, rese tali dal clamore dei giornali, ecco le sole caratterizzazioni che servono al racconto previsto:l’immigrato cattivo e quello buono.
Ma anche il terrorista islamico e il cittadino modello, malgrado quest’ultimo, a norma di legge, sia ancora niente più che uno straniero.
Conta poco sapere che per il primo tanto la cosiddetta matrice terroristica quanto quella islamica siano escluse. Da cui, se poco conta, perché farsi ulteriori domande?
Perché quel che ora resta indelebile, e tale dovrà rimanere all’indomani, è ciò che noi altri in tempi assai sospetti abbiamo fatto.
Vi abbiamo invaso, ricordate?
E allora, non dimentichiamo le origini, non sia mai: il senegalese e l’egiziano.
Perché la nostra pelle parla per noi, e dovremmo urlare a squarciagola per sovrastarne il frastuono alimentato nel tempo, senza per questo arrivare a sequestrare un autobus per ottenere tanto.
Anche perché non si farebbe altro che aumentare il baccano nel quale siamo precipitati, volenti o nolenti.
Eppure, in frangenti tragici come questi, ecco che emergono distinzioni che dovrebbero sempre e comunque fare la differenza, se perdonate la banale ripetizione.
Perfino laddove la vita stessa sia in gioco, o forse proprio in quegli istanti, si può vivere il ruolo assegnato dalla regole sociali in modo opposto.
L’autista e lo studente prendono strade divergenti. E capita più spesso di quel che ci immaginiamo.
Colui che con il suo scuolabus dovrebbe accompagnare i più giovani verso il luogo che auspicabilmente li aiuterà a crescere, all’improvviso, prende la direzione contraria e punta verso il burrone oltre il quale sprofonda la sua stessa folle tristezza.
Al contempo, a fronteggiare l’altro, come a completare una sorta di allegorica equazione, l’alunno si toglie il consueto grembiule d’ordinanza e fa leva sulla vera ricchezza che contraddistingue tutte le popolazioni a cui sovente viene associato dalle nostre parti, e che nei secoli dei secoli è una delle prerogative principali che ci rende umani.
Leggi pure come il tenace, commovente e insopprimibile desiderio di sopravvivere.
Entrambi spesso dimentichiamo chi dovremmo essere, in questo viaggio. Succede tutti i giorni, ovunque, a chiunque. E, da un istante all’altro, diventiamo ciò che siamo.
È così che qualcosa trapela, dopo che il fumo dei titoli acchiappa click e degli strali attira like via social network si dirada.
È questa la via tramite la quale diventiamo anche dei nomi, oltre che il resto.
Ousseynou e Ramy.
Ciò malgrado, qualora aggiungessimo pure le immagini dei nostri volti, l’inevitabile sottinteso sarebbe inviolato.
Noi vi abbiamo invaso. E nulla di quanto
detto finora potrebbe intaccare tale concetto, scolpito nella comune memoria di
un paese intero come le impronte delle star del cinema di Hollywood. Rese
celebri tramite il ricordo delle mani e il nome, dove nel nostro caso, al posto
delle prime, ci sono i volti dalla carnagione resa colpevole per definizione.
Perché è proprio così che lo abbiamo fatto.
È indubbio, è successo, sta accadendo anche ora, in questo preciso istante, e non finirà certo oggi.
Non serve ignorarlo. Anzi, è addirittura sbagliato, farlo.
È una storia che va ascoltata e raccontata, ma fino in fondo, una volta per tutte.
Poiché noi vi abbiamo invaso, certo.
È solo che non siamo stati davvero noi, capite?
Di sicuro non l’uomo e il ragazzino, quello che siamo lì fuori, al di là di questo schermo, uno in prigione e l’altro per fortuna a casa dei suoi cari.
A penetrare con violenza e odio nelle vostre vite sono state solo parole, montagne di parole, infami e disumane parole.
Sono le parole che di norma ci rappresentano, ad aggredirci tutti.
Ora sapete chi dovreste espellere, contro chi dovreste alzare muri e chi davvero mette a rischio la vostra e la nostra pace.
Per buona sorte, noi e voi siamo ben altro e molto di più di un insieme di lettere.
Forse, non sarebbe male ogni tanto incontrarci di persona…
Perché è proprio così che lo abbiamo fatto.
È indubbio, è successo, sta accadendo anche ora, in questo preciso istante, e non finirà certo oggi.
Non serve ignorarlo. Anzi, è addirittura sbagliato, farlo.
È una storia che va ascoltata e raccontata, ma fino in fondo, una volta per tutte.
Poiché noi vi abbiamo invaso, certo.
È solo che non siamo stati davvero noi, capite?
Di sicuro non l’uomo e il ragazzino, quello che siamo lì fuori, al di là di questo schermo, uno in prigione e l’altro per fortuna a casa dei suoi cari.
A penetrare con violenza e odio nelle vostre vite sono state solo parole, montagne di parole, infami e disumane parole.
Sono le parole che di norma ci rappresentano, ad aggredirci tutti.
Ora sapete chi dovreste espellere, contro chi dovreste alzare muri e chi davvero mette a rischio la vostra e la nostra pace.
Per buona sorte, noi e voi siamo ben altro e molto di più di un insieme di lettere.
Forse, non sarebbe male ogni tanto incontrarci di persona…
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