Il 1° gennaio scorso Jair Bolsonaro si è
insediato ufficialmente alla presidenza del Brasile al termine di una campagna
elettorale caratterizzata da pesanti attacchi ai diritti umani, civili e al
mondo del lavoro. Le sue dichiarazioni sono state all’insegna della
criminalizzazione dei movimenti sociali, delle minacce nei confronti dei popoli
indigeni e di una costante opera volta a sminuire e a ridicolizzare la
questione ambientale. Il nuovo governo non ammette che la Costituzione federale
(sulla quale lo stesso presidente ha prestato giuramento) tuteli i diritti alla
differenza etnica e alla demarcazione delle terre, che sono di proprietà dello
Stato, ma destinate all’esclusivo usufrutto dei popoli indigeni. Le
affermazioni e le azioni di Bolsonaro nei confronti delle minoranze (quilombolas,
indios, poveri, organizzazioni urbane e contadine, comunità lgbtq)
rappresentano un grave pericolo poiché spalancano le porte a una intolleranza
diffusa e a un odio difficilmente controllabile.
Una tra le prime mosse annunciate da
Bolsonaro, poco dopo la sua vittoria nel ballottaggio del 28 ottobre 2018
contro il petista Fernando Haddad, è stata il ritiro della candidatura del
Brasile dall’ospitare e presiedere la Cop 25, la conferenza delle Nazioni unite
sui cambiamenti climatici, che avrebbe dovuto tenersi dall’11 al 22 novembre
2019. Ufficialmente, la nota rilasciata dal Ministero degli esteri ha posto
l’accento sui problemi di bilancio, però nell’ottobre scorso Itamaraty aveva
confermato l’intenzione del Brasile di ospitare la Cop 25 per mantenere il suo
ruolo di paese guida sul tema dello sviluppo sostenibile. Finora, non solo il
più grande stato dell’America latina aveva sottoscritto gli Accordi di Parigi,
ma si era impegnato a ridurre le emissioni del 37% entro il 2025.
La posizione assunta dal Brasile ha sollevato
preoccupazioni e critiche non solo tra associazioni e istituzioni impegnate a
lavorare per la tutela dell’ambiente, ma anche tra paesi come il Cile (che
ospiterà la Cop 25 dopo la rinuncia brasiliana), la cui presidenza è
politicamente assai affine a quella di Bolsonaro. L’Observatório do Clima, una rete che riunisce 45
organizzazioni della società civile brasiliana impegnata sulle questioni
ambientali, ha espresso un forte disappunto per il passo indietro compiuto dal
Brasile, indicando nel nuovo ministro degli esteri Ernesto Araújo il principale
responsabile, soprattutto a seguito delle sue affermazioni dirette a
ridimensionare le problematiche relative al riscaldamento globale[1].
Il
dietrofront del Brasile ha suscitato grandi perplessità, anche perché, per un
anno intero, Itamaraty aveva cercato di convincere gli altri paesi dell’America
latina a sostenere la propria candidatura. Tuttavia è difficile che Bolsonaro
ritorni sulla decisione presa, nonostante il paese rappresenti ad oggi un
riferimento in tutto il mondo soprattutto per la ricchezza ambientale e la
biodiversità presenti in Amazzonia, conosciuta universalmente per essere il
polmone verde del pianeta.
Il Brasile
è la quindicesima riserva mondiale di petrolio, soprattutto grazie alla
scoperta del Pré-sal, l’enorme giacimento che si estende tra lo stato
dell´Espirito Santo e quello di Santa Catarina[2]. Il predecessore di
Bolsonaro, Michel Temer, giunto alla presidenza del paese a seguito di un
controverso colpo di stato parlamentare, che aveva destituito Dilma Rousseff[3], la presidenta democraticamente eletta, aveva
bloccato la partecipazione obbligatoria dell’impresa di stato Petrobras nell’estrazione
del petrolio dal Pre-sal.
Jair Bolsonaro intende invece sfruttare interamente il
Pré-sal affidandolo alle multinazionali, come emerso da un documento pubblicato
il 16 dicembre 2018 sul quotidiano Folha de São Paulo, dietro al quale si cela il
ministro degli esteri Araújo, dal significativo titolo “Per una politica estera
del popolo brasiliano”[4]. Il ministro
suggerisce, tra le altre cose, non solo un riallineamento del paese con le
destre populiste mondiali (dagli Stati uniti all’Italia, passando per Ungheria
e Polonia), ma anche una ridiscussione delle relazioni economiche e ambientali
all’interno dei Brics, a partire dalla Cina.
La presenza di un
presidente ultraconservatore al Planalto mette a forte rischio
quell’integrazionismo latinoamericano che, anche a livello ambientale, aveva
cercato di preservare le risorse del continente, dalla biodiversità
dell’Amazzonia alle fonti di energia, fino alle riserve di acqua dolce.
Nell’amministrazione
Bolsonaro risulta evidente che l’ambiente occupi l’ultimo posto e le finanze il
primo, non a caso, tra le prime nomine del presidente figurano quelle dei ministri
dell’economia, della giustizia, della difesa e degli esteri, mentre il
ministero dell’ambiente corre il rischio di essere assorbito da quello
dell’agricoltura e finire così nelle mani dell’agroindustria.
La nuova ministra
dell’agricoltura, Tereza Cristina da Costa Dias, del partito Mdb – Movimento democrático
brasileiro, appartiene al Frente parlamentar da agropecuária. Questo
gruppo parlamentare, trasversale agli schieramenti politici, ha sempre ricevuto
il sostegno delle imprese legate all’agronegozio e si è sempre battuto per
proposte di legge favorevoli alle coltivazioni transgeniche e allo sfruttamento
indiscriminato delle risorse dell’Amazzonia e contro i progetti volti a
preservare la biodiversità e a tutelare le comunità indigene. Finora, il
governo brasiliano si era preoccupato di proteggere l’intera regione
amazzonica, tramite la creazione di parchi nazionali, corridoi ecologici e
boschi protetti, avendo compreso che il polmone verde del pianeta mitiga gli
effetti dei mutamenti climatici attraverso l’assorbimento delle emissioni di
carbonio, rappresenta uno spazio vitale per le comunità indios e, proprio per
questi motivi, merita di essere preservato[5].
Tuttavia, storicamente, la monocoltura della soia,
imposta dall’agrobusiness su
enormi appezzamenti di terreno, tramite
l’agguerrita presenza della bancada ruralista, il gruppo parlamentare
composto da deputati vicini agli interessi dei grandi latifondisti all’interno
del Congresso, ha contribuito nel tempo a quella deforestazione dell’Amazzonia,
a cui Bolsonaro ha già fatto riferimento nei mesi vissuti da presidente in pectore, per
favorire l’approvazione di leggi il più possibile rispondenti ai desiderata delle
multinazionali e dell’oligarchia terriera brasiliana.
A questo proposito, va ricordato che Bolsonaro, pur
avendo ottenuto una schiacciante vittoria, sarà comunque costretto a negoziare
con altri partiti lo sfruttamento delle risorse dell’Amazzonia, poiché il suo Partido social liberal (di
estrema destra), pur facendo registrare un notevole successo elettorale, ha
guadagnato soltanto 52 seggi sui 520 totali del Congresso. La presenza di lobbies legate
all’industria delle armi e all’agronegozio giocherà, in ogni caso, un ruolo di
primo piano per promuovere la monocoltura della soia ed implementare la
costruzione di nuove centrali idroelettriche e l’estrazione mineraria in
Amazzonia.
Per il Brasile di Bolsonaro è certo l’abbandono
dell’Accordo climatico di Parigi, che, peraltro, non prevede sanzioni per i
paesi non più intenzionati ad impegnarsi per ridurre le emissioni di carbonio,
e, di conseguenza, il presidente e i suoi ministri avranno gioco facile nel
concedere alle transnazionali il permesso per sfruttare le ricchezze
dell’Amazzonia. Basta analizzare le bellicose proposte in ambito ambientale che
Bolsonaro aveva già presentato durante la sua campagna elettorale, definite dal
docente di diritto ambientale della Puc (Pontificia Universidade Catolica) di
Rio de Janeiro, Marcelo Kokke[6], una vera e propria distruzione dei principi
fondamentali di sostenibilità, per capire quanto la questione ecologica sia mal
vista dal nuovo presidente.
Bolsonaro intende, infatti, cancellare la Lei das Unidades de Conservação (legge
9.985/2000 che crea il Sistema Nacional de Unidade de Conservação da Natureza e
tutela la biodiversità e le aree ambientali protette), far assorbire le
istituzioni statali impegnate a tutelare l’ambiente dal ministero
dell’agricoltura, facilitare la concessione delle licenze ambientali per lo
sfruttamento del territorio e promuovere l’utilizzo degli agrotossici,
seppellendo le politiche per la preservazione della regione amazzonica.
La rivista Globo Rural pubblica un annuario che evidenzia le
cinquecento principali imprese dell’agrobusiness e premia le migliori venti,
pubblicando foto e articoli dei consigli direttivi di ciascuna di loro[7]. Da qui verrà sferrato il principale attacco
all’ambiente, dalle lobbies che sostengono l’agronegozio, sicure di
ricevere l’appoggio presidenziale di Bolsonaro che, in più di una circostanza,
ha sottolineato la necessità di facilitare la concessione delle licenze ambientali
per superare le difficoltà di fare impresa in un paese come il Brasile. Ad
esempio, Bolsonaro ha preso come pretesto le difficoltà del governo dello stato
del Paraná nella costruzione degli ultimi due blocchi della rodovia (il
sistema della viabilità statale brasiliana) nella Mata Atlántica del Brasile,
la foresta pluviale che si estende dallo stato di Rio Grande do Norte sino al
Rio Grande do Sul[8]. La grande opera ha come fine principale quello di
facilitare l’accesso ad un porto privato nel litorale paranaense e si scontra
con le forti resistenze dovute alla mancanza di valutazione dell’impatto
ambientale.
Come soluzione di fronte alle difficoltà nel rilasciare
le licenze ambientali, il nuovo governo intende spostare il potere di
concessione dal ministero dell’ambiente direttamente alla presidenza della
Repubblica, tramite la creazione di un apposito gabinetto che si occupi
esclusivamente di questo aspetto. L’obiettivo del governo è quello di ridurre
il più possibile le funzioni e le competenze del ministero dell’ambiente,
nonostante il Brasile sia il maggior paese biodiverso del mondo. Inoltre, c’è
grande incertezza anche sul futuro dell’Ibama (Instituto brasileiro do meio ambiente e dos recursos naturais
renováveis, l’ente responsabile per la realizzazione
della politica nazionale ambientale sottoposto al ministero dell’ambiente) che
conta su circa 300 impiegati a fronte di 2.800 casi in cui occorre la sua
valutazione per concedere o meno le licenze di impatto ambientale.
A questo proposito, una lettera aperta del personale
dell’Ibama[9], di fronte alle critiche dovute all’accusa di
lentezza nel concedere le licenze ambientali, precisa che la valutazione non
spetta soltanto al corpo tecnico dell’ente, ma anche al pubblico ministero
dell’Unione e alla società civile organizzata. È altrettanto evidente come
nella maggior parte dei casi sia lo stesso governo, in un palese conflitto di
interessi, ad aiutare le imprese interessate ad ottenere le licenze ambientali
non solo finanziandole, ma anche concedendo direttamente le autorizzazioni,
sottostimando l’impatto sull’ecosistema o ignorando deliberatamente gli effetti
negativi sulla flora, sulla fauna e sugli abitanti delle zone interessate.
Tutto ciò è emerso anche da uno dei tanti filoni della celebre inchiesta Lava Jato[10], da cui sono derivate le premesse per il ribaltamento
politico che si è verificato in Brasile.
I timori relativi al futuro della questione ambientale
sotto la presidenza Bolsonaro non finiscono qui. La nomina a ministro
dell’ambiente di Ricardo Salles rappresenta un’ulteriore fonte di
preoccupazione per i trascorsi politici e i legami con la bancada ruralista e
con l’oligarchia brasiliana dedita al commercio delle armi, che lo hanno
ampiamente finanziato in occasione della sua campagna per divenire deputato
federale. Avvocato ed ex segretario del tucano[11] Geraldo Alckmin (il candidato conservatore il cui
bacino elettorale è stato prosciugato proprio da Bolsonaro alle ultime presidenziali),
Salles ha già dichiarato che intende ridimensionare profondamente l’Ibama e i
paletti che l’ente mette a proposito della concessione delle licenze
ambientali. Il nuovo ministro ha espresso la sua intenzione nel corso di un
incontro con Frederico D’Ávila, dirigente della Sociedade rural brasileira eletto nelle fila del Partido social liberal,
e Antônio Nabhan Garcia, presidente dell’Únião democrática ruralista, durante il quale ha
ribadito che si adopererà affinché si crei una maggiore sinergia con il
dicastero dell’agricoltura[12].
Il fatto che Antônio
Nabhan Garcia abbia festeggiato la nomina di Salles a ministro dell’ambiente,
perché “metterà fine allo stato poliziesco e confiscatorio”[13] contro coloro che lavorano e producono in Brasile,
fa temere una volta di più il totale assoggettamento del ministero
dell’ambiente a quello dell’agricoltura, la cui ministra Tereza Cristina,
appartenente al settore del paese legato al grande latifondo e agli
agrotossici, è denominata inequivocabilmente O musa do Veneno, in quanto lo scopo principale della
sua designazione è quello di abrogare l’attuale Lei dos Agrotóxicos a vantaggio del cosiddetto Pacote do Veneno,
un insieme di misure volte a rendere facile la vita alle multinazionali del
transgenico come Cargill e Monsanto.
Il ministero
dell’ambiente, creato per proteggere e tutelare gli ecosistemi, le risorse
idriche, la biodiversità e la sterminata selva amazzonica, finirà per essere
sottomesso ad un modello di sviluppo agricolo fondato sulla monocoltura,
sull’utilizzo dei semi transgenici e degli agrotossici, nei confronti dei quali
già le presidenze petiste non erano riuscite, o non avevano voluto, mettere un
freno, attirandosi le critiche delle organizzazioni popolari contadine, delle
comunità indigene e della parte progressista della Chiesa cattolica.
I nomi dei
sostenitori e dei finanziatori del ministro Ricardo Salles fanno intravedere,
già per le posizioni che ricoprono, quale sarà il futuro dell’ambiente in
Brasile. Tra loro figurano Jayme Brasil Garfinkel, presidente del consiglio di
amministrazione della compagnia di assicurazione Porto Seguro Seguros e
imprenditore della fazenda Periquitos Companhia Agropecuária, nota
per la produzione della monocoltura della soia, e José Salim Mattar Junior,
proprietario di Localiza Hertz, una ditta specializzata nel noleggio delle
automobili.
La lista dei
finanziatori di Salles non si ferma qui. Ne fanno parte anche Ronaldo José
Neves de Carvalho, che presiede la Companhia Comercial de Drogas e
Medicamentos, specializzata nel commercio di articoli chimico farmaceutici,
Luis Stuhlberg, gestore di Fundo Verde, il fondo di commodities agricole di Credit Suisse e Gastão de
Souza Mesquita, il quale controlla la Companhia Melhoramentos do Norte do
Paraná, una delle maggiore imprese di agrobusiness del paese. Anche la lobby delle
armi può vantare molti uomini d’affari vicini al nuovo ministro, a partire da
Antonio Marcos Moraes Barros, tra i maggiori azionisti della fabbrica di armi
Taurus e presidente della Companhia Brasileira de Cartuchos, una delle imprese
leader nella produzione e nel commercio di munizioni in Brasile.
Se il ministero
dell’ambiente finirà per diventare una succursale di quello dell’agricoltura,
non sarà soltanto un intero ecosistema a subire un duro colpo da un Congresso
sempre più dominato dall’oligarchia terriera, dall’agrobusiness e dalle multinazionali, ma anche le
comunità indigene del Brasile, molte delle quali composte da gruppi di indiani
incontattati[14], i quali hanno
chiesto esplicitamente che la Fundação nacional do índio resti all’interno
del Ministero della giustizia e non finisca per essere esautorata o essere
incorporata, anch’essa, all’interno del dicastero agricolo[15].
“Nemmeno un
centimetro quadrato in più agli indios”, è la frase minacciosa pronunciata più
volte da Bolsonaro, che gode dell’appoggio di fazendeiros, garimpeiros (i cercatori d’oro), madereiros (i
taglialegna illegali), delle grandi imprese petrolifere, della soia e di
costruzione delle centrali idroelettriche.
Il 13 dicembre 2018,
dopo l’ennesima provocazione del nuovo presidente, che ha paragonato le
comunità indigene agli animali, l’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (Apib)
ha deciso di inviare una lunga lettera a Bolsonaro per chiedere il rispetto dei
diritti fondamentali[16].Al centro della
missiva dell’Apib l’articolo 231 della Costituzione federale del 1988, che
sancisce il riconoscimento dell’organizzazione sociale, delle lingue, degli
usi, dei costumi e delle tradizioni degli indios, sottolineando che è compito
dello Stato demarcare, proteggere e far rispettare i diritti originari sulle
terre dove le comunità indigene vivono. A questo proposito, evidenziano ancora
gli indios, lo Stato deve occuparsi di proteggere i loro territori da
interventi esterni e da invasioni illegali, poiché la Costituzione non
elargisce diritti ai popoli indigeni, ma li riconosce.
La battaglia degli
indios per vedere riconosciuti i propri diritti nell’era della presidenza
Bolsonaro passerà anche attraverso Joenia Wapichana, la prima donna indigena ad
essere eletta deputata al Parlamento brasiliano e ad aver conquistato un seggio
nello stato del Roraima[17]. Subito dopo la sua
elezione, la donna ha dichiarato l’impegno per portare a conclusione il
progetto di demarcazione delle terre indigene, già bloccato dalla presidenza
Temer e a cui difficilmente Bolsonaro darà impulso. Joenia Wapichana dovrà fare
i conti con almeno duecento deputati legati alla bancada ruralista, per cui sembra molto complicato sia
il suo percorso per far approvare uno Statuto dei popoli indigeni, sia la
vertenza relativa alla proposta di emendamento della Costituzione (conosciuta
come Pec 2015), volta ad attribuire al Congresso la possibilità di stabilire la
demarcazione delle terre indigene in barba agli organismi preposti indicati
dalla Costituzione.
Proprio la questione
della demarcazione delle terre indigene rappresenta una vera e propria bomba ad
orologeria della presidenza Bolsonaro[18]. Attualmente,
sono circa 130 i territori in fase di demarcazione che il nuovo presidente
potrebbe bloccare, nonostante in molte zone del paese siano già in corso
conflitti tra fazendeiros e comunità indigene. Ad esempio,
nello stato del Mato Grosso do Sul, gli indios guarani-kaiowá, da decenni,
stanno affrontando una durissima lotta con i fazendeiros, che non vogliono riconoscere loro il
diritto a vivere in quelle terre da sempre abitate dagli indigeni. La paralisi
della demarcazione dei territori indios ha allarmato il Conselho indigenista missionário,
che ha ricordato come Bolsonaro non possa in alcun modo violare la Costituzione
e mettere in discussione la proprietà delle terre degli indios per gli
interessi di pochi. L’intenzione del presidente di autorizzare la vendita e il
porto d’armi libero non farà altro che aumentare la conflittualità nelle
campagne a scapito di indigeni e contadini.
Lo scorso anno il
presidente Temer aveva sottoscritto il parere dell’Avvocatura generale
dell’Unione, che stabiliva un limite temporale in base al quale potevano essere
demarcate le terre di proprietà delle comunità indigene soltanto fino alla data
di promulgazione della Costituzione federale, avvenuta nell’ottobre del 1988. A
fare scuola, la decisione del Tribunale supremo federale del 2009, che sancì il
diritto alla terra per le comunità della Riserva Raposa Serra da Sol (nello
stato del Roraima), un’area occupata illegalmente da allevatori di bestiame e
da coltivatori di riso. Tuttavia, in quell’occasione, il Congresso stabilì che
quel parere non sarebbe stato vincolante.
Dal ritorno della democrazia, nel 1985, la più alta media
di demarcazione delle terre indigene risale alla presidenza di Fernando Collor
de Mello (56). Durante i 13 anni di petismo sia Lula sia Dilma Rousseff per
certi aspetti si sono trovati con le mani legate dalla bancada ruralista,
per altri, nel tentativo di restare al governo, hanno fatto di tutto per
cercare di compiacere l’oligarchia terriera allo scopo di raggiungere una
pacificazione sociale che non li ha comunque risparmiati dagli attacchi della
destra, riuscita alla fine ad eliminare politicamente entrambi, pur con metodi
discutibili. La demarcazione delle terre indigene ha iniziato a rallentare
principalmente con Dilma Rousseff al Planalto e si è bloccata con Temer; le
provocatorie dichiarazioni di Bolsonaro non fanno altro che gettare benzina sul
fuoco.
Attualmente, come fa notare la Fundação nacional do índio, il processo di
demarcazione delle terre degli indios è regolato dal decreto 1775/96[19]. L’atto di demarcazione è una competenza esclusiva
dell’esecutivo, secondo quanto stabilisce la Costituzione federale del 1988: il
diritto dei popoli indigeni alla terra è originario poiché gli indios vi
abitavano ben prima che si costituisse lo Stato brasiliano. Nonostante questo,
Bolsonaro sostiene che le terre indigene già demarcate sono sovradimensionate,
prendendo spunto dalla demarcazione della terra dell’etnia yanomami (nel nord
dell’Amazzonia), corrispondente, secondo lui, a due volte lo stato di Rio de
Janeiro. La demarcazione della terra yanomami fu sancita nel 1991 da Collor de
Mello a seguito di una vera e propria strage di indios di cui si erano resi
responsabili i garimpeiros.
Finora in
Brasile vi sono 436 terre indigene pienamente riconosciute, che ammontano a
circa 117 milioni di ettari, il 14% del territorio nazionale. Il presidente
intende aprire i territori indigeni alle imprese interessate alla costruzione
di nuove infrastrutture e attività legate all’estrazione mineraria, ma per
farlo violerebbe la Costituzione, che vieta la realizzazione di progetti con
impatto diretto sulle terre dove vivono gli indios.
“Sfortunatamente,
le cose cambieranno solo scatenando una guerra civile”[20], dichiarava
già nel 1999 l’allora deputato Bolsonaro, convinto che la difesa della
sicurezza, individuale e della proprietà privata sia l’unico modo per
ristabilire quello status quo che 13 anni di petismo sono riusciti solo
leggermente a scalfire. I privilegi delle classi medio-alte, con Bolsonaro, torneranno
a rivestire un ruolo centrale e a farne le spese saranno le comunità indigene a
cui il grande latifondo ha sempre fatto la guerra, non accontentandosi nemmeno
delle molteplici concessioni che il petismo ha finito, obtorto collo, per
fare.
La politica ambientale non può rappresentare
un ostacolo allo sviluppo del paese, argomenta Bolsonaro, sottolineando che
soltanto il settore economico legato all’agronegozio è in buona salute. Molti
analisti politici ritengono che nell’attuale scenario brasiliano le garanzie
costituzionali siano a forte rischio, come dimostrano le dichiarazioni e le
prime azioni del presidente. Militari, ruralistas, bancada evangelica e tutti coloro che si
riconoscono nelle posizioni razziste, omofobe e fondamentaliste del loro presidente,
hanno trovato il rappresentante che sosterrà e legittimerà i diritti e le
aspirazioni di quell’oligarchia da sempre nemica di minoranze quali indios,
senza terra e contadini, ritenuti ostacoli a quel sistema finanziario
speculativo di cui Bolsonaro è il principale portavoce.
NOTE
[1] J. BRAUN, Alegando falta de orçamento, Brasil desiste de sediar COP 25, https://veja.abril.com.br/mundo/alegando-falta-de-orcamento-brasil-desiste-de-sediar-cop-25/,
28 novembre 2018
[2]Il Pré-sal è un insieme di rocce che si
trovano in una parte della costa brasiliana, la cui caratteristica principale è
il rilascio del greggio. La denominazione di Pré-sal deriva dal fatto che lo
strato roccioso si trova sotto un ampio sedimento di sale. Le rocce sono
collocate prima del giacimento salino.
[3]G. CAROTENUTO, Brasile, le responsabilità del PT e il golpe da fermare, http://www.gennarocarotenuto.it/28079-brasile-golpe-pt/,
14 maggio 2016
[4]M. BRUCKMANN, Brasil en la escena mundial, https://www.alainet.org/es/articulo/197236,
19 dicembre 2018
[5] U. RODRÍGUEZ, Bolsonaro, una amenaza para el Amazonas, https://www.alainet.org/es/articulo/196492,
13 novembre, 2018
[6] M. KOKKE, Sete propostas de Jair Bolsonaro contrárias ao meio ambiente, http://www.ihu.unisinos.br/78-noticias/583859-sete-propostas-de-jair-bolsonaro-contrarias-ao-meio-ambiente,
19 ottobre 2018
[7]R. DAHER, As grandes empresas estrangeiras do agronegocio nacional, https://www.cartacapital.com.br/opiniao/as-grandes-empresas-estrangeiras-do-agronegocio-nacional/,
17 dicembre 2018
[8]A. AROEIRA, Não são os ativistas ou Ibama que emperram grandes obras. São
estudos ambientais mal feitos, https://theintercept.com/2018/12/17/ibama-grandes-obras-estudos-ambientais/,
18 dicembre 2018
[9]Ibidem
[10]T. CARLOTTI, Operação Golpe: Lava Jato mostra a que veio, https://www.cartamaior.com.br/?/Editoria/Politica/Operacao-Golpe-Lava-Jato-mostra-a-que-veio/4/35975,
17 aprile 2016
[11] Sono denominati tucanos i politici e i
militanti del Psdb – Partido da Social Democracia Brasileira (di orientamento
conservatore, a dispetto del nome). Il simbolo del partito è il tucano e per
questo motivo gli esponenti del partito vengono definiti come tucanos.
[12] C. DE OLIVEIRA, Quem são os principais
financiadores de Ricardo Salles, ministro do Meio Ambiente, https://www.redebrasilatual.com.br/politica/2018/12/saiba-quem-sao-os-ruralistas-que-financiam-o-ministro-de-bolsonaro-para-o-meio-ambiente,
17 dicembre 2018
[13] Ibidem
[14] Le tribù di indiani incontattati abitano
nelle regioni più remote dell’Amazzonia brasiliana senza avere alcun contatto
con il mondo esterno. Corrono il rischio di estinguersi per malattie portate
dall’esterno e per la perdita della terra.
[15] A. FERRACUTI, L’agrobusiness uccide gli indios, l’Extraterrestre,
supplemento del quotidiano il manifesto, 3 gennaio 2019
[16]Articulação dos Povos Indígenas do Brasil, Apib entrega carta ao governo
de transição cobrando respeito e a garantia dos direitos fundamentais, https://porem.net/2018/12/07/apib-entrega-carta-ao-governo-de-transicao-cobrando-respeito-e-a-garantia-dos-direitos-fundamentais/,
7 dicembre 2018
[17] F. BILOTTA, Cade un tabù lungo due secoli. La prima deputata indigena,
il manifesto, 31 ottobre 2018
[18]B. JUCÁ, A bomba-relógio das demarcações
indígenas no Governo Bolsonaro, https://brasil.elpais.com/brasil/2018/11/09/politica/1541769904_001109.html,
21 novembre 2018
[19]Conselho Indigenista Missionário, Como è feita a demarcação de
terras indígenas, https://cimi.org.br/TERRAS-INDIGENAS/DEMARCACAO/
[20] R. LAMBERT, Il Brasile è fascista?, edizione italiana di Le monde
diplomatique, novembre 2018
Nessun commento:
Posta un commento