Da qualche giorno la
domanda «Cosa succede in Algeria?» mi arriva da tutte le parti.
Sono ormai anni che la
stampa italiana si era dimenticata persino della esistenza di un Paese (il
decimo al mondo per superficie) chiamata Algeria. Di colpo si svegliano, tutti
parlano di Algeria. Ma non essendoci una continuazione narrativa di tutto
quello che è successo negli ultimi anni, la narrazione è per forza
superficiale, talvolta succube della narrazione, spesso tendenziosa e
deformata, dei media francesi.
Cosa succede in
Algeria? Perché adesso, dopo tutti questi anni di silenzio? Chi è quella gente
uscita per le strade? Cosa vuole? Cosa può succedere adesso? Queste sono più o
meno le domande che mi sono state poste e alle quali tenterò di rispondere qui.
Cosa succede in Algeria?
In Algeria c’è una protesta su larghissima scala, per una volta
non solo ad Algeri ma quasi in tutti i capoluoghi di provincia. Una protesta popolare, trasversale e pacifica per l’annullamento
della candidatura del Presidente Abdelaziz Bouteflika al quinto
mandato alla testa della Repubblica algerina.
La protesta lanciata via internet e social media da fonti
sconosciute è sostenuta e co-organizzata sia da anonimi cittadini, sia da
movimenti della società civile, sia da partiti e organizzazioni politiche. Ma
sembra se non sostenuta almeno guardata favorevolmente da
una buona parte del complesso sistema
politico-economico-militare al potere in Algeria.
Perché adesso, dopo tutti questi anni di silenzio?
In realtà l’Algeria non è mai stata e mai sarà un Paese “tranquillo”.
Le proteste, le sommosse, le contestazioni anche violenti del potere in posto e
dei suoi rappresentanti regionali e locali fanno parte della vita quotidiana in
Algeria sin dai primi anni dell’indipendenza, ottenuta nel 1962 dopo sette anni
di una guerra terribile che ha portato via centinaia di migliaia di persone.
Lotte per i diritti
economici, per i diritti culturali delle popolazioni amazigh, lotte sindacali, per la casa,
per un lavoro e reddito… La scena politica e sociale algerina è sempre stata una delle più
calde nel Sud del Mediterraneo.
Quello che gli altri
Paesi dell’area sud del Mediterraneo vivono nel 2011, l’Algeria lo vive già nel
1988. Il 5 ottobre 1988 il Paese si solleva e mette fine al sistema del
partito unico. (1. leggere qui)
Segue una stagione
straordinaria di libertà e pluralità culturale e politica. Ma il sogno finisce in un incubo che inizia con il colpo di stato che
annulla le elezioni vinte al primo turno dal Fronte Islamico
della Salvezza (FIS). Il Paese verso in una terribile
guerra civile per quasi 15 anni. (2)
Nel 1999 arrivano i
primi accordi per mettere fine al conflitto armato e con essi
arriva Abdelaziz Bouteflika (sul personaggio leggere l’articolo
scritto nel 2005 per Peace Reporter 3). E’ imposto sia agli islamisti che ai generali
dell’esercito come garante degli accordi di pace che prevedono fine dei
conflitti, nessuna inchiesta e nessun processo per i numerosi crimini contro
l’umanità commessi dai due campi, in cambio del rientro delle multinazionali
nello sfruttamento degli enormi giacimenti di petrolio e gas del Paese.
Dopo questa
intronizzazione un po’ forzata, l’uomo ha saputo manovrare molto bene. Non è
stato una marionetta qualsiasi e ha giocato così bene che da outsider dei clan
al potere, ha creato un suo clan fatto di familiari (fratello in primo piano),
parenti, amici, complici di vita e di politica… Ed è riuscito a mettere in
panchina tutti gli altri. Aiutato dagli aumenti spettacolari dei prezzi del
greggio negli anni del suo primo e secondo mandato è riuscito anche a eliminare
ogni forma di opposizione giocando semplicemente con i petrodollari.
Così ha potuto mandare
in pensione i potentissimi generali degli anni novanta e ha avuto la forza per
cambiare la Costituzione e fare invece di due ben quattro mandati.
Il problema é che nel
2013, poco prima di ripresentarsi per il quarto mandato, si é ammalato. Ha
fatto un Ictus che negli anni, nonostante le costosissime cure negli ospedali
francesi e le cliniche svizzere, è andata peggiorando. Oggi non non é nemmeno
più in grado di intendere né di volere.
L’altro grande
problema è la caduta libera del prezzo del petrolio. Con un ritmo di consumi
calcolato su un petrolio a più di $ 110 al barile, e i prezzi crollati dopo le
“Primavere arabe” a volte anche sotto i $ 30 e comunque non risalendo mai oltre
$ 75 – 80 da anni. L’economia algerina è ancora
fortemente dipendente dalle esportazioni di idrocarburi e il potere di Bouteflika è anch’esso dipendente dalla
redistribuzione della manna petroliera. Con il crollo delle entrate
crollano anche gli equilibri politici costruiti negli anni dopo la guerra
civile, con larghe concessioni salariali, sociali e
un massivo programma di edilizia pubblica e importanti benefici garantiti ai signori della politica e della
guerra.
L’unico vero
avversario di Bouteflika. L’angelo della morte. Dilem. Liberté 20/01/2019
E’ chiaro che il Paese
ha bisogno di una svolta politica. Ma nel clan presidenziale, detto «Clan di Nedroma» – dal nome della piccola cittadina sul
confine ovest dal quale è originario il presidente e la maggioranza dei baroni
del potere attuale (ministri, governatori di province, ex-capo della polizia,
personaggi chiave del ministero dell’energia…) – non c’é nessuno che ha lo stesso calibro politico. Nemmeno il fratello, Said, Tutti parassiti politici che vivono fin che vive lui. Se cade cadono tutti e rischiano anche di farsi
male. Perché hanno veramente saccheggiato il Paese. Ma più vedono avvicinarsi
la loro fine e più diventano voraci. E più l’opinione pubblica e i clan rivali
si caricano di rabbia e rancori nei loro
confronti.
Ma nell’illusione
di mantenersi ancora al potere all’ombra di una quercia ormai
crollata hanno osato candidare un Bouteflika moribondo a un 5°
mandato. Andando a fare campagna elettorale con il suo ritratto ufficiale. Come
fosse una icona bizantina. L’hanno fatto nonostante petizioni, appelli e
dichiarazioni sia da parte della società civile sia da parte di molti esponenti
politici dentro e fuori dal sistema.
E’ per questo
sentimento di rabbia di fronte a una situazione che mescola prepotenza e ridicolo che
la gente ha cominciato a mobilitarsi via internet per poi uscire tutti insieme
nelle piazze di quasi tutto il Paese.
Chi è quella gente uscita per le strade?
La gente uscita per le strade di
Algeri e delle province del paese il 22 febbraio e i giorni successivi è di tutte le età, tutte le estrazioni culturali, sociali ed
economiche. Arabofoni, Amazigh, islamisti, laici, nazionalisti, modernisti… Di tutto. Gli appelli sono giunti da varie
parti. Sui social media, sui siti dell’opposizione.
Alcuni famosi
attivisti, personaggi famosi dei media sociali, facebooker, youtuber e alcune
persone interessate a candidarsi alla carica suprema hanno messo la loro
faccia. pagine facebook, conti twitter… Gruppi politici, associazioni,
sindacati. Ognuno con le proprie idee, ma tutti raccolti intorno a uno slogan
unico: No al 5° mandato. Bouteflika deve andare via!
Alcuni accusano lui e
il suo clan di tutti i mali di cui soffre il Paese. Altri si accontentano di
sottolineare il suo stato di salute e chiedono al suo entourage di liberarlo e
di non tenere in ostaggio un uomo stanco e malato.
Ma l’attitudine «tranquilla» delle forze dell’ordine – ci
sono stati arresti e qualche intervento in piazza ma niente in comparazione con
le manifestazioni degli ultimi 20 anni – e la copertura favorevole
da parte di alcuni media privati, lasciano supporre una benevolenza di varie
parti del sistema. Il potente capo dello Stato Maggiore, Il Generale-Maggiore Gaid Salah, si è espresso in sostegno
di Bouteflika. Ma sembra solo una posizione per rassicurare sul fatto che ciò
che succede non è la premessa per un colpo di stato.
Cosa vuole questa gente?
Come successo
nelle altre proteste della primavera araba, oltre il «dégage!» chiaro e netto rivolto al potente di
turno, non ci sono proposte precise, nessun progetto di società comune. Nessun programma. Solo un comune e forte sentimento di
misura colma. Barakat! Basta!
Cosa può succedere adesso?
Domenica prossima (3
marzo) è la data limite per la chiusura delle iscrizioni per le candidature.
Finora pochi candidati hanno depositato il dossier. Quelli più seri chiedono il
ritiro di Bouteflika come condizione per la loro partecipazione. Il 13 marzo il Consiglio Costituzionale annuncerà le candidature
ritenute valide.
Il clan presidenziale
insieme agli altri clan del sistema algerino hanno pochi giorni per trovare una uscita dignitosa da
questo marasma. Bouteflika è attualmente in degenza in una
clinica svizzera. Potrebbero annunciare che il suo stato di salute
si è degradato ulteriormente. Trovare un modo accettabile per ritirare la sua
candidatura e mettersi al tavolo del negoziato per trovare un nuovo uomo per
mantenere gli equilibri. Un nuovo garante della persistenza del sistema.
E’ poco probabile, ma
se fossero veramente saggi, potrebbero persino aprire un dialogo nazionale per
una nuova via verso una soluzione democratica e pacifica.
Ma se non si trova una
via ragionevole, se l’entourage del presidente persevera nella sua follia,
allora la strada è aperta per qualsiasi cosa: 5° mandato che verserà il Paese
in una profonda depressione, colpo di stato dei militari, inizio delle violenze
in piazza con scenari che conosciamo e che abbiamo visto all’opera in altri
Paesi…
Riconciliarsi dopo
aver visto e vissuto forti ingiustizie è spesso difficile, ma l’Algeria ha i
mezzi e le capacità per riprendersi e vivere in pace. L’unica speranza è che ci
sia anche abbastanza buon senso per non seguire la facile ma distruttiva via
della violenza.
da qui
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