martedì 19 marzo 2019

L’apostrofo del popolo.- Francesco Giorgioni



Ieri il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha scritto un post di tre righe nel quale esprimeva la sua ammirazione per l’atleta Manuel Bortuzzo, alla sua prima nuotata dopo l’attentato.
In quelle tre righe il ministro dell’Istruzione ha infilato uno strafalcione grammaticale, come quelli che spesso si leggono nei compiti in classe degli alunni delle scuole medie: un apostrofo concordato con un aggettivo maschile.
Una docente delle scuole superiori ha condiviso sulla sua bacheca Facebook il post nella sua stesura originale – qualcuno ha evidentemente fatto notare l’errore al ministro, che qualche minuto dopo lo ha corretto – aggiungendovi una nota di leggera ironia.
Mi sono soffermato sul sarcasmo di alcuni commenti.
“Intollerabile!”, “Dimissioni subito!”.
Lo spirito era: che volete che sia, è solo un apostrofo.
Io quell’apostrofo lo trovo invece straordinariamente rappresentativo di questo momento storico.
Uno strafalcione può capitare a tutti, nessuno pensi di essere infallibile.
Però è mai possibile che un ministro dell’Istruzione – tenuto a conoscere almeno i rudimenti dell’italiano scritto – non sia in grado di controllare con un minimo di tempo e attenzione la correttezza di un post di numero tre righe, prima di metterlo in rete?
Tre righe, capite?
Più facile che un errore si annidi, passando indenne al setaccio delle riletture, in un testo lungo e articolato.
Ma qui stiamo parlando di tre righe tre.
Evidentemente no, il ministro non è in grado di controllare la correttezza di ciò che scrive. Scrive di getto, senza badare troppo alla forma.
Perché al suo elettorato interessa il contenuto, perché un apostrofo è solo un apostrofo, perché in fondo conta la spontaneità, perché quell’uso incerto dell’apostrofo è molto comune tra gli italiani, molto popolare.
E se un errore è popolare, ormai non è più un errore.
Non si tratta di essere nazisti della grammatica, si tratta solo di capire che un ministro dell’Istruzione è un esempio e ha dei doveri di attenzione e cautela prima di scrivere qualunque cosa.
Trovo questo piccolo fatto emblematico anche perché capisco l’amarezza della docente: una passa una vita a cercare di affermare la sacralità della lingua e poi basta il post distratto di un ministro per convincere il mondo che la forma non è poi così importante e ognuno può scrivere un po’ come cazzo gli pare.
Infine, arriverà il giorno in cui la professoressa, rinfrescando ai suoi alunni il corretto uso dell’apostrofo, mostrerà alla classe il post di Bussetti, indicandolo come errore comune da non commettere.
Quel giorno un alunno, senza alzare la mano, prenderà la parola per contestare la professoressa: “Non essendo eletta dal popolo, lei non ha diritto di correggere il post di un ministro”.

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