Le denunce
del New York Times e di Forbes sui casi degli aiuti umanitari bruciati e sul
blackout, che analizzo qui, attestano che in Venezuela la guerra sia già
cominciata e le false notizie dominino incontrastate la costruzione
dell’opinione pubblica.
Le guerre di
nuova generazione fanno morti come e più di quelle che si combatterono con la
clava, la balestra o il fucile Chassepot. Rispetto alla gravità del blackout in
Venezuela ai media italiani è piaciuto a scatola chiusa sposare la tesi
dell’inettitudine chavista. I chavisti sono per definizione tutti incapaci,
sanguinari e corrotti. Sta diventando un tratto tipico della cultura politica
italiana quella di non rispettare l’avversario, pensando che irridere e
delegittimare corrisponda a cancellare. Tale attitudine impedisce di conoscere
e capire, e tradisce la ragion stessa di essere dei media. Al contrario vari media statunitensi hanno preso molto sul
serio e considerano credibile che il blackout in Venezuela sia stato causato da
un cyberattacco informatico USA. Se così fosse sarebbe affare serio, perché
saremmo con ogni evidenza di fronte a un atto di guerra di quelle della cosiddetta
quarta generazione. Fossero stati gli hacker russi parleremmo di Terrorismo.
Essendo i presunti autori del sabotaggio gli statunitensi, è bene parlare di
azioni di guerra nelle quali viene bypassata la forza militare tradizionale per
usare azioni di carattere economico, culturale, psicologico, in particolare
usando l’informatica.
Un attacco
informatico così ben portato e riuscito aggirerebbe infatti il veto brasiliano
di una guerra tradizionale, al quale il vice di Trump, Mike Pence ha dovuto
chinare il capo. Ma tale attacco indurrebbe a pensare anche, per la prima
volta, che Maduro non avrebbe il pieno controllo su una infrastruttura chiave
quale quella elettrica. Non è più necessario far saltare un tot di tralicci o
avvelenare materialmente gli acquedotti per indurre la popolazione alla
disperazione e a ribellarsi contro il “regime”. In genere, in queste
situazioni, la popolazione viene considerata disperata per antonomasia. Ma
sarebbe necessario renderla ancor più disperata. Ciò in omaggio alla teoria dai
militari per la quale i bombardamenti (o equivalenti) sulla popolazione civile
sarebbero giustificati dall’indurre la popolazione stessa a sollevarsi. Il
sollevarsi di un popolo sotto le bombe è una cosa mai successa, dalla
Barcellona repubblicana martirizzata dagli italiani, alla Roma fascista colpita
dagli Alleati, dal Vietnam comunista alla Serbia di Milosevic. Ma in ogni
conflitto si trova sempre un generale e un editorialista disposto a spergiurare
che basti un po’ di disperazione in più dei civili che si pretende di salvare,
per far infine trionfare il bene. Anche in questo caso, nonostante la
cosiddetta crisi umanitaria, sembra che qualcuno si sia convinto che i
venezuelani non siano ancora sufficientemente disperati. Molti ce l’hanno a
morte con Maduro, ma molti altri no. Emigrano in massa, è vero, ma non più
degli honduregni o degli haitiani, almeno altrettanto disperati, ma che invece
trattiamo come appestati. E allora serve una ulteriore spintarella. Oggi
infatti basterebbero poche righe di codice per spegnere un paese intero e
ottenere di più e meglio, in maniera pulita. Quelli che plaudono al regime change saranno contenti, no? Niente
bombardamenti, niente stivali sul terreno, stesso risultato. La storia peraltro
si ripete, nel 1973 in Cile i sindacati statunitensi finanziarono lo sciopero
dei camionisti (che più scioperavano più guadagnavano) che impedì per settimane
gli approvvigionamenti, alimentando l’idea di caos contro il governo Allende e
prodromico all’11 settembre.
Fin qui
ognuno la pensi come gli pare. Ci sono però dettagli che a chi scrive appaiono
inesorabilmente repellenti. L’onnipresente – era anche a Cúcuta – Senatore
repubblicano Marco Rubio (qui in italiano) “vanta” che il blackout, da lui
annunciato – praticamente una rivendicazione – in mondovisione appena tre
minuti dopo il suo inizio, avrebbe causato la morte di 80 bambini prematuri in
un reparto neonatale a Maracaibo. I media italiani riprendono Rubio senza
verifica alcuna, e non hanno alcuna capacità o voglia di collegare l’attivismo
del senatore con la semi-rivendicazione del blackout stesso, come se questo
fosse un osservatore neutrale. Ma se la presunta morte dei neonati fosse
davvero dovuta all’attacco informatico statunitense e non alla leggendaria insipienza
chavista, ciò cambierebbe radicalmente la natura delle cose. Sarebbe un giusto
prezzo da pagare alla liberazione del Venezuela?
Gli 80
neonati in quell’ospedale dello Zulia sarebbero ufficialmente danni collaterali
di una guerra combattuta innanzitutto con l’ipocrisia. Uccisi dal blackout che
doveva salvarli. Rubio infatti usa la notizia dei neonati morti per rilanciare
la necessità di far entrare subito in Venezuela aiuti umanitari. Va per la sua
strada Rubio: il Venezuela è un paese in crisi umanitaria e noi dobbiamo fare
entrare gli aiuti umanitari. Non dimenticate che la rappresentazione ufficiale
è più che mai quella di una guerra umanitaria del bene contro il male. Non
essendoci aggressioni o invasioni, come in Kuwait o in Kosovo, possiamo dire
che se l’uomo nero fa morire i neonati, allora arriverà l’uomo bianco a
salvarli.
Peccato per
il Senatore Rubio che gli USA non siano esattamente un regime totalitario (non
lo è neanche il Venezuela) e vi sia ancora una stampa libera in grado di agire
da Quarto potere. Proprio ieri il New York Times ha infatti dimostrato inequivocabilmente quanto
era chiaro da subito ad ogni persona intellettualmente onesta: gli aiuti
umanitari di USAID del 23 febbraio, sui quali è stata costruita una narrazione
che ha tenuto banco per giorni, furono bruciati ancora in territorio colombiano
da uomini di Guaidó perché il circo mediatico internazionale incolpasse Maduro.
Cosa che puntualmente accadde. Dall’articolo e dal video qui sopra linkato le
prove incontrovertibili che due sabati fa alla frontiera di Cúcuta sia stato
organizzata una messa in scena della quale Guaidó, Rubio e il presidente
colombiano Duque sono i primi responsabili.
E qui aiuti
umanitari e blackout convergono. Gli 80 neonati morti (presunti, speriamo) sono
vittime dell’inettitudine criminale chavista o della guerra asimmetrica
denunciata da Maduro? Gli aiuti bruciati da Guaidó in Colombia, per rafforzare
l’idea di una cieca intransigenza virtuale di Maduro, a chi vanno addebitati?
Il fatto che gli stessi benefattori li abbiano distrutti, non avvalora la tesi
di Maduro che fossero un cavallo di Troia? La retorica degli aiuti umanitari
(solo in Venezuela, mai ad Haiti, in Honduras o in altri pezzi del Continente
almeno altrettanto dolenti) come si concilia con il blackout umanitario e
quegli 80 bambini che ci dicono morti come danno collaterale?
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