sabato 2 marzo 2019

IL SEQUESTRO ISRAELIANO DELLE IMPOSTE È UN PRELUDIO A UN ULTERIORE SVUOTAMENTO DELL’AUTORITÀ PALESTINESE? - Jonathan Cook



La decisione di Israele di trattenere parte delle imposte che riscuote per conto dell’Autorità Palestinese (PA) e di precipitarla in una crisi ancor più profonda illustra con forza le ipocrisie e gli inganni al cuore della relazione tra i due governi.
Secondo i termini degli accordi di Oslo, oggi vecchi di un quarto di secolo, Israele è responsabile di riscuotere circa 200 milioni di dollari di imposte ogni mese, che deve trasferire alla PA, il governo palestinese badante nella West Bank.
Il denaro appartiene ai palestinesi ma Israele in passato lo ha trattenuto temporaneamente in diverse occasioni come bastone per mettere in riga la dirigenza palestinese.
In questa occasione, tuttavia, la posta in gioco è molto più alta.
La scorsa settimana il primo ministro Benjamin Netanyahu ha attuato in ritardo una legge approvata l’estate scorsa che impone ai suoi funzionari di trattenere parte delle imposte dovute ai palestinesi, quelle che la PA trasferisce come salario mensile alle famiglie di detenuti politici.
Fa eco alla Taylor Force Act, una legge approvata dal Congresso statunitense nel 2016 che nega gli aiuti economici statunitensi alla PA fino a quando non smetterà di versare quei salari a 35.000 famiglie di detenuti e degli uccisi e mutilati dall’esercito israeliano.
La PA ha cercato di evitare tale minaccia canalizzando i pagamenti attraverso un organismo separato, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Israele e Washington considerano i detenuti semplicemente come dei terroristi. Ma la maggior parte dei palestinesi li considera eroi, quelli che hanno pagato il prezzo più alto nella lotta per la liberazione nazionale.
Il pubblico palestinese non ritiene che le famiglie debbano essere abbandonate per i loro sacrifici più di quanto i repubblicani irlandesi abbiano voltato le spalle a quelli che avevano combattuto il dominio britannico o di quanto i sudafricani neri abbiano abbandonato coloro che avevano combattuto l’apartheid.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha definito le azioni israeliane un “furto” e ha affermato che piuttosto che tagliare i fondi ai detenuti e alle loro famiglie li taglierebbe alla sanità e all’istruzione. “Sono la parte più rispettata e apprezzata del popolo palestinese”, ha dichiarato.
Poi ha giocato il suo asso. Ha detto che avrebbe rifiutato tutti i fondi delle imposte da Israele fino a quando non fosse stato reintegrato l’importo totale.
Ciò rischia di precipitare la PA in un crollo finanziario e – cosa più importante per Israele – potrebbe alla fine determinare lo scioglimento dei servizi di sicurezza palestinesi. Il loro compito è da lungo tempo agire come appaltatori della sicurezza, mantenendo l’ordine nella West Bank per conto di Israele.
Le forze di sicurezza l’anno scorso hanno rastrellato un enorme venti per cento dei 5,8 miliardi di dollari del bilancio statale della PA.
La PA sta già vacillando per una serie di picconate all’economia palestinese. Includono la decisione di Donald Trump di tagliare tutti i finanziamenti all’UNRWA, l’agenzia dei rifugiati per i palestinesi, e agli ospedali nella Gerusalemme Est occupata da Israele.
Inoltre Abbas avrebbe rifiutato l’anno scorso 60 milioni di dollari di aiuti annui statunitensi alle proprie forze di sicurezza per timore di esporre la PA ad azioni legali. Una nuova misura del Congresso assoggetta alle leggi statunitensi contro il terrorismo tutti i beneficiari di aiuti, come la PA.
Ma l’attuale stallo tra Netanyahu e Abbas mette a nudo di fronte a tutti la duplicità della situazione.
Il leader della PA può dire che i detenuti sono l’elettorato palestinese più amato, ma egli descrive anche “sacro” il coordinamento con Israele delle sue forze di sicurezza.
Il ruolo dei servizi di sicurezza consiste nell’assistere l’esercito israeliano nel prevenire attacchi palestinesi e arrestare quegli stessi palestinesi che egli celebra. Abbas non può realisticamente mantenere fede contemporaneamente a entrambe le posizioni.
Netanyahu, d’altro canto, non ha nulla da guadagnare dal danneggiare le forze di sicurezza palestinesi, da cui dipende l’esercito israeliano.
La decisione di trattenere le imposte è stata presa principalmente per rafforzare la sua popolarità mentre i partiti rivali di destra competono per chi appare più falco prima delle elezioni generali di aprile.
Paradossalmente, nel trattenere i fondi fiscali della PA Netanyahu sta punendo Abbas, il suo presunto partner per la pace, mostrando contemporaneamente preferenza per Hamas, l’arcirivale di Abbas a Gaza.
Anche se Israele considera Hamas un’organizzazione terroristica, Netanyahu ha permesso fondi extra a Gaza dal Qatar per alleviare le fosche condizioni dell’enclave.
Inoltre c’è qualcosa di sfarzosamente ironico riguardo ai rimbrotti di Netanyahu alla PA per premiare i “terroristi” palestinesi nella stessa settimana in cui ha negoziato un accordo per contribuire a introdurre Otzma Yehudit, cioè il partito del Potere Ebreo, nel parlamento israeliano.
Il partito è la versione israeliana del Ku Klux Klan, discepoli dello scomparso rabbino Meir Kahane, il cui partito Kach, ferocemente antiarabo, fu messo fuorilegge 25 anni fa come organizzazione terroristica.
La prospettiva di questa scellerata alleanza è tanto spaventosa che persino lobby filoisraeliane come l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e l’American Jewish Committee si sono sentite obbligate a diffondere dichiarazioni di condanna di Potere Ebreo come “razzista e riprovevole”.
Netanyahu ritiene che i voti extra che Potere Ebreo attirerà a destra nelle elezioni gli garantiranno di avere il sostegno necessario per costruire una coalizione che lo mantenga al potere.
Ma c’è un altro evidente difetto nel sequestro delle imposte da parte di Netanyahu.
Se le casse di Abbas scarseggeranno egli semplicemente trasferirà meno fondi a Gaza, che è già soffocata dal lungo blocco israeliano.
Ciò intensificherebbe i disordini a Gaza, che potrebbero condurre ad attacchi missilistici contro Israele e persino a più vaste proteste di massa dei palestinesi al perimetro recintato che li ingabbia.
Al tempo stesso, se le cose resteranno irrisolte, una PA già fragile si avvicinerà ulteriormente al collasso e Hamas potrebbe allora essere pronto a colmare il vuoto lasciato nella West Bank.
La perdita di potere per Abbas, sommata alla perdita di un appaltatore della sicurezza per Netanyahu, risulta rendere questo scontro mutuamente autodistruttivo, a meno che Netanyahu e la destra abbiano un altro asso nella manica.
Hani Al Masri, un analista politico palestinese, si è chiesto se Netanyahu stia preparando il terreno per la presentazione, da parte del presidente statunitense Donald Trump, del suo lungamente atteso “accordo di pace” dopo le elezioni.
Gran parte della coalizione di Netanyahu è desiderosa di annettere le aree palestinesi esterne alle principali città della West Bank, distruggendo ogni speranza che mai emerga uno stato palestinese. Trump potrebbe essere favorevole.
In questo scenario, sostiene Al Masri, Israele mirerebbe a “por fine a quanto rimane del ruolo politico della PA, mantenendo solo il suo ruolo amministrativo e di sicurezza”. Sarebbe ridotta alla raccolta della spazzatura e a mantenere l’ordine.
Se la PA si opponesse al processo di svuotamento, Israele e gli USA allora cercherebbero un’alternativa, quale il governo di signori locali della guerra in ogni città palestinese e poteri ampliati dei governatori dell’esercito israeliano nella West Bank.
Il rifiuto delle imposte alla PA può non essere ancora il presagio della sua scomparsa. Ma indica un futuro in cui l’autogoverno palestinese probabilmente diverrà una prospettiva sempre più lontana.
Una versione di questo articolo è apparsa in origine sul National di Abu Dhabi.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri includono  “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
traduzione di Giuseppe Volpe

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