Negli stessi giorni in cui il Parlamento europeo votava prima (26 novembre) per respingere le modifiche al piano di riarmo dei paesi UE, ammettendo in esso anche le cosiddette “armi controverse”, ossia le bombe all’’uranio impoverito, al fosforo bianco, i killer robot ed altri simili ordigni di sterminio e dopo (27 novembre), a larghissima maggioranza, per respingere il “piano di pace” di Trump perché “la pace non può essere raggiunta cedendo all’aggressore, bensì fornendo un sostegno risoluto e costante all’Ucraina e dissuadendo in maniera adeguata la Russia dal ripetere tale aggressione in futuro”, in quegli stessi giorni e sugli stessi temi Edgar Morin – 104 anni lo scorso luglio – scriveva alcune note, pubblicate in Italia su il manifesto e ytali. (28 novembre). Meritano essere citate, per segnare la pericolosa distanza tra chi ha lo sguardo lungo, lucido e libero e gli attuali decisori europei, insieme a gran parte dei media.
“È con stupore” – scrive Morin – “che una
parte degli umani considera il corso catastrofico degli eventi, mentre
un’altra parte vi contribuisce con incoscienza. (…) La visione unilaterale dei
media ignora che l’Ucraina è stata una posta in gioco fra l’impero americano e
l’impero russo. Prima di Trump, gli Usa avevano
satellizzato economicamente, tecnologicamente e militarmente l’Ucraina, la
quale sarebbe stata una pistola puntata alla frontiera russa, se fosse passata
sotto il controllo della Nato. I nostri media non soltanto sottolineano
l’imperialismo russo, ma immaginano che questo potrebbe invadere l’Europa,
laddove è peraltro incapace di annettere l’Ucraina in tre anni di guerra. (…)
Invece che spingere i due nemici a negoziare, e a stabilire un compromesso
sulle basi che ho appena menzionato [qui fa riferimento alle proposte del libro
“Di guerra in guerra” del 2023], gli europei
contribuiscono alla escalation. (…) Infine noi dobbiamo cercare di pensare la
policrisi dell’umanità nelle sue complessità e nei suoi orrori, e dovremmo
agire nelle incertezze, ma con l’intenzione di salvare l’umanità dalla
autodistruzione”.
Invece, nei giorni
precedenti (21 novembre) il Capo di Stato maggiore francese, generale Fabien
Mandon, parlando all’assemblea
del Sindaci francesi (merito dei militari è il parlare chiaro) aveva detto che
devono preparare le rispettive città a “perdere i figli in guerra” ed anche “a
soffrire economicamente perché la priorità deve essere la produzione militare”:
solo così ci si prepara al prossimo conflitto armato con la Russia, che il
documento strategico nazionale francese prevede tra il 2027 e il 2030. Per
questo una settimana dopo (27 novembre) Macron ha
annunciato che dalla prossima estate partirà per i giovani francesi il Servizio
militare di leva, inizialmente su base volontaria, che sostituisce il Servizio
Universale Nazionale che poteva essere anche civile.
Per non essere da meno,
anche il ministro italiano della difesa Crosetto ha annunciato il disegno di legge per istituire, con
un ossimoro, una “leva militare volontaria” anche nel nostro paese, similmente
a quanto sta avvenendo in Francia e in Germania (dove è già previsto che possa
diventare obbligatoria), per reclutare almeno altri 10.000 giovani italiani
come forza di riserva, in aggiunta ai 170.000 militari già nelle Forze Armate.
Naturalmente, come evidenziato dalla recente ricerca del Censis, gli italiani sono
fortemente contrari sia alla prospettiva di coinvolgimento bellico del nostro
Paese, per questo nessuno evoca il ripristino tout court della
leva militare obbligatoria, al momento sospesa, che non sarebbe pagante in
termini di consenso elettorale. Però è evidente che, in tutta Europa, la
direzione è quella di reclutare nuova massa per la guerra, ossia “carne da cannone”
per “l’attacco preventivo” alla Russia che sta preparando la Nato, come
esplicitato dal generale Cavo Dragone, presidente del
Comitato militare dell’Alleanza atlantica (1 dicembre). Al quale bisogna
rispondere con la storica formula: “Non un un soldo, né un soldato per la
guerra”.
Perché questo non sia solo
uno slogan da cantare nei cortei pacifisti ma diventi azione politica, e non potendo dichiararsi formalmente obiettori di
coscienza, è necessario sottoscrivere personalmente la dichiarazione di obiezione alla guerra,
promossa dalla Campagna del Movimento Nonviolento che – mentre nella dimensione
internazionale sostiene obiettori di coscienza e disertori di tutti i fronti
delle guerre in corso (1.500.000 ucraini sono considerati “ricercati” dai centri
di reclutamento) – nella dimensione interna promuove il rifiuto
preventivo e individuale di partecipare a qualsiasi forma di preparazione della
guerra, a cominciare proprio dal rifiuto della chiamata alle armi.
E’ una campagna che
risponde al compito che ci indica Morin per “salvare l’umanità
dall’autodistruzione”, ma anche alle
indicazioni di un altro saggio del ‘900, Norberto Bobbio,
difronte alla precedente corsa agli armamenti: “Saremo i più forti se saremo
uniti, se saremo solidali almeno su un punto essenziale: non vi è conflitto che
non possa essere risolto con le armi della ragione, specie in questo mondo in
cui a causa dell’interdipendenza di tutte le questioni internazionali, la
violenza chiama violenza in una catena senza fine. Saremo i più forti se
riusciremo ad ubbidire alla voce che nasce dal profondo del nostro animo e che
ci suggerisce questo nuovo comandamento: Disarmati di tutto il mondo, uniamoci”
(Il terzo assente, 1989). Per difenderci dalla guerra, anziché nella guerra.
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