Oltre cinquecentocinquanta
attacchi con missili a guida laser e Gps; centinaia di omicidi extragiudiziali
di presunti “combattenti Isis”; top secret il numero delle “vittime
collaterali”, donne, bambini, anziani rei di essersi trovati nel luogo
sbagliato al momento sbagliato. Questo il bilancio ufficiale delle operazioni
in Libia condotte dal 2011 dalle forze armate Usa con l’utilizzo dei droni
killer, i famigerati MQ-9 “Reaper” (letteralmente macchina
falciatrice), buona parte dei quali
decollati dalla base aerea siciliana di Sigonella (Siracusa), ormai
nota in ambito militare come la
“capitale mondiale dei droni”.
In quella che è da decenni l’installazione chiave per
gli interventi del Pentagono e della Nato in Africa, Medio oriente, est Europa
e sud-est asiatico, dal 25 marzo
2011 è operativo il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron dell’US Air
Force, reparto d’élite che ha per motto il Veni, Vidi, Vici che Giulio
Cesare pronunciò dopo aver sconfitto nel 47 a.C. l’esercito
di Farnace II del Ponto a Zela, nella Turchia orientale e per sistema
d’armamento i droni da ricognizione e sorveglianza Predator e quelli d’attacco
Reaper. Un mese dopo lo schieramento del 324th Squadron, la prima azione
“falciatrice” a Misurata, seguita da un sanguinoso raid a Tripoli. Secondo
quanto dichiarato al periodico investigativo The Intercept dal colonnello Gary
Peppers, già comandante del reparto statunitense operante in Sicilia, in quella tragica primavera del
2011 gli attacchi con droni in Libia furono ben 241. D’allora, l’uso di
Sigonella come piattaforma di lancio dei droni d’intelligence ed esecuzione
extragiudiziale non ha conosciuto interruzioni: le operazioni si sono estese a
tutta l’Africa sub-sahariana e alla Somalia, mentre solo per restare in
ambito libico, la base siciliana non ha avuto rivali nell’escalation dei
bombardamenti Usa contro i “terroristi”. Quando nel 2016 l’Amministrazione
Obama lanciò un’offensiva contro le milizie filo-Isis presenti nella città di
Sirte (operazione Odyssey Lighting), in meno di cinque mesi furono effettuati
495 raid, il 60 per cento dei quali con i Reaper di Sigonella. Una ventina
quelli già autorizzati da Donald Trump in Libia: gli ultimi, in ordine, il 6 e
13 giugno 2018, quando i droni manifestarono la loro potenza di fuoco contro
presunti leader pro al Qaida, colpendo però anche ignari e innocenti passanti.
Non ha scandalizzato nessuno il recente reportage di
Repubblica e The Intercept (Secret
war) sulla guerra
segreta in Libia condotta da Washington da una base in territorio italiano.
Anche Amnesty International ha
pubblicato un documentato rapporto sul network internazionale che consente le
esecrate e criminali operazioni di sterminio del Pentagono con l‘utilizzo dei
droni, riservando proprio a Sigonella uno dei ruoli chiave. Ad oggi nessun governo ha ritenuto
doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica sugli accordi
sottoscritti per consentire l’uso del territorio e dello spazio aereo nazionale
da parte dei velivoli senza pilota statunitensi. Secondo il Centro Studi
Internazionali (CeSI) di Roma, il Ministero della Difesa ha concesso, con mere
“comunicazioni” del 15 settembre 2012 e del 17 gennaio 2013, un’autorizzazione
“temporanea” allo schieramento dei droni d’intelligence e armati nella base di
Sigonella, concessione poi estesa nel numero dei velivoli e nelle funzioni alla
vigilia dell’attacco a Sirte del 2016. “Concedendo le autorizzazioni, le
autorità italiane hanno fissato precisi limiti e vincoli alle missioni di
queste specifiche piattaforme”, aggiunge il CeSI. “Ogni operazione che abbia origine
dal territorio italiano dovrà essere condotta come stabilito dagli accordi
bilaterali in vigore e nei termini approvati. Nello specifico, si possono
autorizzare le sortite di volo volte all’evacuazione di personale civile, e più
in generale non combattente, da zone di guerra e operazioni di recupero di
ostaggi e quelle di supporto al governo del Mali secondo quanto previsto nella
Risoluzione n. 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.
Il bollettino
di guerra stilato dalle testate giornalistiche e da Amnesty
International attingendo alle fonti del Pentagono, ha però documentato un
quadro assai differente. In base alle norme sulla trasparenza degli atti
amministrativi, l’European Center for Constitutional and Human Rights
(ECCHR) di Berlino, in collaborazione con la cattedra di Diritto penale
internazionale dell’Università di Milano, ha chiesto poter visionare il testo
degli accordi sull’uso di Sigonella come base dei droni Usa, ma dopo l’ennesimo
rifiuto del Governo, ha dovuto presentare un ricorso in sede di giustizia
amministrativa. Mentre si attende un pronunciamento definitivo dei giudici, le
forze armate Usa continuano ad eseguire impunemente dalla Sicilia le sentenze
di condanna a morte contro gli indiziati di “terrorismo internazionale”.
Dal 2008, l’US Air Force
schiera a Sigonella pure quattro-cinque aerei senza pilota Global Hawk, utilizzati per le operazioni d’intelligence in Africa e Medio oriente,
nei Balcani e più recentemente anche in Crimea e Ucraina. Lo scalo siciliano è
stato inoltre prescelto dalla Marina Usa come base operativa avanzata del
sistema MQ-4C Triton, anch’esso con velivoli senza pilota d’intelligence e
telerilevamento. Le infrastrutture necessarie saranno completate entro
quest’estate (costo 40.641.000 dollari), mentre i nuovi droni dovrebbero operare dalla
Sicilia a partire del giugno 2019. Come se ciò non bastasse, Sigonella sarà
presto impegnata pure nelle attività di comando, controllo, gestione,
telecomunicazioni via satellite e manutenzione di tutti i droni da guerra
schierati dagli Stati Uniti a livello planetario, grazie al sistema Uas
Saticom Relay Pads and Facility in via di installazione. “Sigonella garantirà
la metà delle trasmissioni del Sistema dei velivoli senza pilota e opererà in
appoggio al sito di Ramstein (Germania)”, spiega il Pentagono. Secondo quanto
riportato da The Intercept, l’Uas Satcom Relay di Ramstein è il vero “cuore
hi-teach della guerra Usa dei droni”. “Ramstein fa viaggiare sia il segnale
satellitare che dice al drone cosa fare, sia quello che trasporta le immagini
che il drone vede”, spiega il periodico. “Grazie al sistema Uas Satcom il
segnale riesce a viaggiare senza ritardi in modo da permettere ai piloti di
manovrare un velivolo a migliaia di chilometri con la necessaria tempestività”.
L’Uas Satcom Relay di Sigonella opererà come stazione “gemella”
dell’infrastruttura ospitata in Germania, assicurando la trasmissione dei dati
alla base aerea di Creech (Nevada), la principale centrale di US Air Force per
le operazioni dei velivoli senza pilota.
Anche la Nato ha scelto la
stazione aerea siciliana come centro di comando e logistico del nuovo sistema
di “sorveglianza terrestre” AGS (Alliance Ground Surveillance): esso si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili
per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni e da una componente
aerea basata su cinque velivoli a controllo remoto RQ-4 Global Hawk, dotati di
sofisticati sensori termici per il monitoraggio di oggetti fissi ed in
movimento. I droni potranno volare da Sigonella con un raggio d’azione di
16.000 chilometri, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h,
in qualsiasi condizione atmosferica. A fine maggio, la Nato ha firmato un
contratto per il valore di 60 milioni di euro con il colosso delle costruzioni
Astaldi S.p.A. di Roma per la progettazione e l’esecuzione dei lavori di ampliamento dell’area per le
operazioni dei velivoli AGS. Nello specifico, a Sigonella saranno realizzati
quattordici edifici per il “rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili” e
uffici-comando per circa 800 addetti dell’Alleanza Atlantica. “Da Sigonella
inizierà un viatico per proiettare la stabilità proprio sul confine meridionale
della Nato, in collaborazione con lo Strategic Direction South Hub, basato
presso il comando militare dell’Alleanza Atlantica di Napoli e che dal 2017 ha
la finalità di aumentare la capacità di identificare e monitorare le molteplici
minacce dal confine sud della Nato, con un centro di coordinamento per le
operazioni di anti terrorismo, raccolta e analisi dati ed informazioni sulle
principali aree di crisi del Vicino oriente e dell’Africa settentrionale”,
spiega l’analista Alessandra Giada Dibenedetto del Ce.S.I. di Roma. Secondo il
quartier generale della Nato, il primo Global Hawk AGS dovrebbe raggiungere in
volo Sigonella dagli Stati Uniti nel corso del 2019.
Anche l’Aeronautica militare
italiana concorre attivamente al processo di trasformazione di Sigonella nella
base strategica delle nuove dottrine di guerra “automatizzata” del XXI secolo. Il 10 luglio 2017 è stato costituito nel settore sotto controllo
italiano, il 61° Gruppo Volo Ami, dotato di droni MQ-1C Predator, “allo scopo
di consolidare e rafforzare il dispositivo di sicurezza nazionale per
l’attività di sorveglianza nell’area del Mediterraneo, davanti alle coste del
Nord Africa”. Il rischiaramento a Sigonella dei velivoli senza pilota alle
dipendenze del 32° Stormo di Amendola (Foggia), è stato ufficialmente avviato
nell’ambito della missione anti-terrorismo e anti-migrazioni Mare Sicuro, ma
nei report dell’Aeronautica si parla altresì di “protezione delle linee di
comunicazione, dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali,
ecc.”. Attualmente i Predator italiani sono disarmati, ma è imminente la
riconversione di alcuni di essi o l’acquisizione di droni-killer, così anche
Roma potrà mietere, anzi falciare, vite umane in Libia e nell’Africa
sub-sahariana.
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