Una shitstorm (tempesta di merda) sta offuscando le
menti di molti europei, e l’altruismo, la compassione, l’empatia, il rispetto,
la cooperazione, sono ridotti ai minimi termini o scomparsi. Politici improvvisati,
giocano sadicamente, con la vita di decine di migliaia di migranti, ogni giorno
in Europa. I migranti sono persone prive di valore economico, e quindi
spazzatura per questa società neoliberista.
Rappresentano scarti umani, rifiuti della società, al massimo schiavi.
I rifiuti sporcano, ingombrano, vanno eliminati o messi in discarica.
Meglio se si auto-eliminano.
Rappresentano scarti umani, rifiuti della società, al massimo schiavi.
I rifiuti sporcano, ingombrano, vanno eliminati o messi in discarica.
Meglio se si auto-eliminano.
Alle persone che si sono tolte violentemente la vita,
di fronte all’ultima porta sbattuta in faccia della Fortezza Europa, è dedicato
questo articolo. Per ricordare, con affetto, se non le storie, almeno i nomi di
questi nostri invisibili fratelli e sorelle.
Il Guardian ha pubblicato, lo scorso giugno, una lista
di nomi di migranti morti, compilata da United for Intercultural Action, per la
campagna “Fatal Policies of Fortress Europe”: No More Deaths – Time for Change
cosultabile qui (https://j-mag.ch/the-list-of-the-34361-men-women-and-children-who-perished-trying-to-reach-europe-since-1993/)
Secondo questa lista, 34.361, sono i migranti morti
negli ultimi 25 anni dall’aprile del 1993, all’aprile 2018, affogati, sparati, assiderati,
soffocati, suicidati, un numero che andrebbe moltiplicato per 4, considerando
le morti in itinere, nel deserto, nei campi di concentramento libici, i
dispersi in mare etc. Tra giugno e luglio
2018 ci sono state altre 721 morti in mare, secondo un rapporto di Amnesty International. Senza contare le persone detenute e torturate,nei lager libici.
2018 ci sono state altre 721 morti in mare, secondo un rapporto di Amnesty International. Senza contare le persone detenute e torturate,nei lager libici.
Tutte morti che non fanno notizia.
Dalla lista del Guardian, abbiamo estrapolato, le
morti per suicidio, che sono state complessivamente 340, numero anche questo sicuramente
sottostimato. 30 sono stati i suicidi delle donne, e su questi dirigeremo la
nostra attenzione.
Il suicidio, è un fenomeno di natura multidimensionale
in cui si intrecciano fattori sia individuali che sociali. Nel caso dei
migranti si situa al termine di una overdose inimmaginabile di sofferenza e di soprusi
di tutti i tipi. Il colpo di grazia è la lentezza esasperante della burocrazia,
la detenzione, il mancato diritto di asilo, la separazione forzata dai propri
cari, la minaccia di espulsione, il rimpatrio forzato, l’emarginazione.
Queste donne avevano una fascia di età che variava dai
19 ai 79 anni, provenivano da 23 paesi diversi, dal Congo, alla Palestina,
dall’Iran all’Algeria, dalla Bosnia, allo Zimbabwe. 9 si sono suicidate in Inghilterra;
7 in Germania; 3 in Italia; 2 in Spagna, Olanda e Svezia;1 in Svizzera, Grecia,
Francia, Lussemburgo; di 1 non abbiamo notizie.
Di ciascuna di loro non ci rimangono che poche scarne
righe, le generalità, il motivo del gesto autolesivo, il luogo di nascita e di morte.
Solo della più giovane siamo riusciti a ricostruire, seppur molto parzialmente,
la tragica storia degli ultimi 2 anni di vita, grazie all’articolo del
‘Berliner Zeitung’ del 29 aprile scorso intitolato “Dramma familiare Una
giovane donna uccide il suo bambino e poi se stessa”.
La storia emblematica di una ragazza eritrea Snaid
Tadese, era una giovane mamma di 19 anni, un’eritrea, che al culmine della
disperazione, prima ha strangolato il suo bambino Nahom e poi si è impiccata,
il 20 aprile di quest’anno a Eckolstädt, in Germania.
Snaid è di fede cristiana e scappa dalla feroce
dittatura eritrea, che perseguita ed uccide i cristiani. Durante la fuga, nel
2016, in Sudan incontra Tadić, che sarà il padre del suo bambino. “Siamo andati
per una settimana su un camion attraverso il Sudan, 81 persone in camion”, racconta
Tadić, “Poi il conduttore ci ha venduto a un altro gruppo, che ci ha
distribuito su tre auto e ci ha guidato attraverso il deserto in Libia”. Ci
sono stati crudeli incidenti durante l’attraversamento della Libia. Snaid ne
era profondamente sconvolta e traumatizzata. Poi in barca sono arrivati in
Italia e da lì con altri 30 eritrei sono giunti, ad Apolda (un paese della
Turingia) dove hanno vissuto insieme ad altri connazionali, già ben inseriti
nel contesto sociale, in una casa per rifugiati, in cui la polizia faceva
continue irruzioni notturne alla ricerca di migranti senza permesso di soggiorno
valido. Snaid era molto spaventata da queste irruzioni. In seguito alla nascita
del figlio, Tadić, e Snaid fanno domanda di assegnazione di una casa. La
ottengono a 10 km di distanza a Eckolstädt, un centro asilo per rifugiati. Non
ci vogliono andare perché non vogliono lasciare il gruppo di eritrei, con cui
avevano ricreato delle relazioni, dei punti di riferimento, ma la polizia li costringe
a traslocare. Così si trovano isolati, insieme a siriani ed iracheni, senza
nessun interprete, con una linea di bus, molto saltuaria, non funzionante nel
weeek-end. I tre passano gli ultimi 5 mesi sempre chiusi in casa, Snaid è
terrorizzata all’idea del rimpatrio. La relazione fra Snaid e Tadić, ovviamente
si deteriora, Snaid fa un tentativo di suicidio. Infine a seguito di un litigio
Tadić, va via per qualche giorno a casa di amici ad Apolda, ed al ritorno dopo
due giorni si trova davanti al dramma.
Le altre ventinove donne morte di disperazione, nel
fuoco, impiccate, precipitate, avvelenate…
Forsina Makoni, era una donna di 79 anni, dello
Zimbabwe, che si è gettata nel fuoco, nel 2002, a Gillingham, città del Kent,
in Inghilterra, dopo che la sua richiesta di asilo era stata rifiutata. Forsina
Makoni è il nono richiedente asilo che si è suicidato gettandosi nel fuoco, dal
1989 al 2017, in Inghilterra.
Altre ‘alight’ (incendiate) della lista del Guardian
sono: Nusrat Raza, che si è data fuoco, perché non aveva più diritto all’asilo,
nel giugno 2005.Era una giovane pakistana che viveva a Bradford. Un testimone
oculare l’ha descritta, ‘come una grande palla di fuoco che proveniva dalle
stelle’; NN, una donna francese di 60 anni si è bruciata viva a Parigi, nel
2008, per protestare contro la deportazione del suo compagno armeno. Becky
Moses, è morta nel fuoco, a Rosarno, nel gennaio 2018, perché le era stato
negato il diritto di asilo.
Suicide per impiccagione: Djedjik Fatiha, una donna
algerina i 39 anni si è appesa con una sciarpa per la paura di essere
rimpatriata, a Emmen in Olanda, il 22/02/03; Beverley Fowler, una donna
giamaicana di 32 anni, per la paura del rimpatrio, si è impiccata in prigione a
Durham (GB) il 02/10/02; B.H. una donna irachena di 74 anni si è impiccata in
un centro di accoglienza tedesco, vicino Albbruck, distrutta dalle misere
condizioni di vita, il 15/02/02; J. Danielle, una donna algerina in gravidanza,
detenuta nell’enclave di Ceuta, si èimpiccata nella stazione di polizia, in
Spagna il 02/12/98.
Suicide per precipitazione dall’alto: Senida P. una
bosniaca di 26 anni, si è lanciata dall’ottavo piano, a Francoforte, per il
terrore del rimpatrio, nel 2000; Tatiana Serykh, una russa di 40 anni, si è suicidata
lanciandosi col marito ed il figlio dal quindicesimo piano di un edificio a
Glasgow (GB) il 07/03/10; Nguyen Thi Nga, una donna di 34 anni, del Vietnam, si
è gettata dalla finestra di un centro per rifugiati a Mespelbrunn, (Germania),
per paura del rimpatrio 2001.
Suicide in clinica psichiatrica: N.N. una donna dell’
Eritrea si è suicidata a Liestal, comune svizzero vicino a Basilea il 16/11/12;
Julia Kowaltschuk, sconosciuta, una rifugiata con sofferenza mentale,si è
suicidata con una overdose di farmaci, il 10/05/04.
Suicida sotto un treno: N.N. una donna dello Sri
Lanka, richiedente asilo, si è gettata sotto ad un treno a Russelheim (DE), nel
1999.
Suicida per ingestione di liquido antifreeze: Danielle
Dominy, una donna brasiliana, di 30 anni si è suicidata così per la paura di essere
separata dal marito, a Werrington, Cornwall (GB).
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