Di questi tempi s’aggira per l’italia un animale pericoloso, lo sciacallo.
Quest’estate sono andato in Sicilia con un camper. Ho girato l’isola in
senso anti-orario. Feci la stessa cosa circa 15 anni fa, e tra allora e quest’anno
non ho trovato differenze. Il ponte sullo Stretto è ancora solo un progetto, le
strade sono malmesse e peggio trafficate, e la pattumiera è barbaramente
lasciata ovunque. Queste cattive abitudini sono ampiamente bilanciate dalla
gentilezza e affabilità delle persone, una ricchezza impressionante in termini
di cultura e natura, la prelibatezza di cibo e vino.
In realtà una differenza tra 15 anni fa e questa volta c’è, sui muri della Sicilia ci sono manifesti elettorali raffiguranti uno sciacallo.
Sciacallo è sostantivo maschile [dal fr. chacal, che è dal turco ciaqal, che a sua volta proviene dal pers. shagāl di origine sanscrita] e può essere usato per definire un canide o una persona.
Il nostro sciacallo, quello dei manifesti, è un incrocio tra i due. Simile ad una persona d’aspetto, ha le abitudini di un canide. Si nutre di “like” e “selfie” che pubblica sui social non appena c’è una disgrazia. Aspetta che ci sia una disgrazia per accanirsi contro gli altri, gli avversari politici. Lui, lo sciacallo, sa che la deve sparare sempre più grossa nella speranza che l’attenzione sulle cose che dice finisca prima che qualcuno riesca a portare a galla la verità.
Lo sciacallo dei manifesti in Sicilia ha imparato ad essere metà canide e metà uomo da due maestri. Il primo gli ha insegnato ad abbaiare con il suo rozzo vocione dal profondo nord padano, quello che sapeva arrivare alla pancia delle persone. Il secondo a manipolare la realtà, con quel suo modo sicuro e malizioso che sapeva arrivare al portafoglio degli italiani.
Così lui, diplomato in una delle scuole dove si forma la classe dirigente italiana, liceo classico Alessandro Manzoni di Milano, non avendo fatto un giorno di vero lavoro (anzi sembra che a Bruxelles non timbrasse quasi mai il cartellino), si è fatto paladino di una Italia che fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Per lo sciacallo le cause dei problemi dell’Italia sono evidenti, ovvie, sono dovute agli immigrati. La tesi dello sciacallo non fa una piega, se tutti questi immigrati non invadessero le piantagioni del sud o le concerie del nord per 10 euro al giorno, gli italiani farebbero la fila per lavorare al loro posto, altro che essere mantenuti dallo Stato con il reddito di cittadinanza. Ad aggravare il quadro poi per lo sciacallo c’è la questione sicurezza. Prima che venissimo invasi da questa nuova orda di saraceni (da inizio anno a luglio circa 60.000 persone, lo 0.001% della popolazione italiana), noi italiani eravamo tutti brava gente. Loro, gli immigrati, ci hanno insegnato a delinquere. Non importa che il numero dei crimini registrati dal Viminale negli ultimi anni non è aumentato, i dati per lo sciacallo servono solo alla sua propaganda.
Io in Sicilia ho voluto capire come un popolo così intelligente e acuto possa scegliere lo sciacallo. Ho chiesto a diverse persone come facciano i meridionali, nello specifico i calabresi, a votare uno che fino ad ieri gli dava dei “terroni” e li accusava di ogni male che affligge l’Italia.
L’ho chiesto ad un professore universitario, ad una testimone del maxi processo contro la mafia, gente che ho conosciuto in spiaggia, siciliani che lavorano all’estero.
Non sono riuscito a capire.
Tutti alla fine mi chiedevano se mi piacevano i cannoli o la caponata.
L’ho chiesto con insistenza, ma con intelligenza mi rispondevano cosa ne pensavo di Selinunte, Segesta o della valle dei Templi.
L’ultima sera prima di attraversare lo Stretto e risalire verso casa, siamo andati a dormire a Messina, nel punto dove la distanza tra la Calabria e la Sicilia è più breve, a Ganzirri. Con il camper ci siamo infilati in un senso unico che si è fatto sempre più stretto fino ad arrivare al centro di una festa popolare, con tanto di bancarelle e tavoli dove mangiare. Ovviamente tutto non segnalato. In mezzo alla festa non potevamo più andare né avanti né indietro. Mentre i clacson suonavano come ad un concerto, le moto ci passavano da ogni parte e le persone guardavano dentro il camper commentando la logistica, con calma e serenità il venditore della bancarella del torrone ha spostato il suo mezzo e noi siamo riusciti ad uscire dal casino ed andare a trovare un posto dove poter dormire.
Così l’ultimo giorno, prima di lasciare la Sicilia, ho finalmente trovato la risposta alle mia domanda. Là dove in teoria si sarebbe dovuto costruire il ponte sullo Stretto c’era una immagine del ponte Morandi, quello crollato a Genova, e sotto c’era scritto “Viviamo in una epoca dove non solo abbiamo rinunciato a costruire ponti, ma di questi tempi i ponti crollano e si costruiscono i muri”.
Sulle macerie di una Italia in disfacimento è il tempo perfetto perché gli sciacalli si diffondano.
In realtà una differenza tra 15 anni fa e questa volta c’è, sui muri della Sicilia ci sono manifesti elettorali raffiguranti uno sciacallo.
Sciacallo è sostantivo maschile [dal fr. chacal, che è dal turco ciaqal, che a sua volta proviene dal pers. shagāl di origine sanscrita] e può essere usato per definire un canide o una persona.
Il nostro sciacallo, quello dei manifesti, è un incrocio tra i due. Simile ad una persona d’aspetto, ha le abitudini di un canide. Si nutre di “like” e “selfie” che pubblica sui social non appena c’è una disgrazia. Aspetta che ci sia una disgrazia per accanirsi contro gli altri, gli avversari politici. Lui, lo sciacallo, sa che la deve sparare sempre più grossa nella speranza che l’attenzione sulle cose che dice finisca prima che qualcuno riesca a portare a galla la verità.
Lo sciacallo dei manifesti in Sicilia ha imparato ad essere metà canide e metà uomo da due maestri. Il primo gli ha insegnato ad abbaiare con il suo rozzo vocione dal profondo nord padano, quello che sapeva arrivare alla pancia delle persone. Il secondo a manipolare la realtà, con quel suo modo sicuro e malizioso che sapeva arrivare al portafoglio degli italiani.
Così lui, diplomato in una delle scuole dove si forma la classe dirigente italiana, liceo classico Alessandro Manzoni di Milano, non avendo fatto un giorno di vero lavoro (anzi sembra che a Bruxelles non timbrasse quasi mai il cartellino), si è fatto paladino di una Italia che fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Per lo sciacallo le cause dei problemi dell’Italia sono evidenti, ovvie, sono dovute agli immigrati. La tesi dello sciacallo non fa una piega, se tutti questi immigrati non invadessero le piantagioni del sud o le concerie del nord per 10 euro al giorno, gli italiani farebbero la fila per lavorare al loro posto, altro che essere mantenuti dallo Stato con il reddito di cittadinanza. Ad aggravare il quadro poi per lo sciacallo c’è la questione sicurezza. Prima che venissimo invasi da questa nuova orda di saraceni (da inizio anno a luglio circa 60.000 persone, lo 0.001% della popolazione italiana), noi italiani eravamo tutti brava gente. Loro, gli immigrati, ci hanno insegnato a delinquere. Non importa che il numero dei crimini registrati dal Viminale negli ultimi anni non è aumentato, i dati per lo sciacallo servono solo alla sua propaganda.
Io in Sicilia ho voluto capire come un popolo così intelligente e acuto possa scegliere lo sciacallo. Ho chiesto a diverse persone come facciano i meridionali, nello specifico i calabresi, a votare uno che fino ad ieri gli dava dei “terroni” e li accusava di ogni male che affligge l’Italia.
L’ho chiesto ad un professore universitario, ad una testimone del maxi processo contro la mafia, gente che ho conosciuto in spiaggia, siciliani che lavorano all’estero.
Non sono riuscito a capire.
Tutti alla fine mi chiedevano se mi piacevano i cannoli o la caponata.
L’ho chiesto con insistenza, ma con intelligenza mi rispondevano cosa ne pensavo di Selinunte, Segesta o della valle dei Templi.
L’ultima sera prima di attraversare lo Stretto e risalire verso casa, siamo andati a dormire a Messina, nel punto dove la distanza tra la Calabria e la Sicilia è più breve, a Ganzirri. Con il camper ci siamo infilati in un senso unico che si è fatto sempre più stretto fino ad arrivare al centro di una festa popolare, con tanto di bancarelle e tavoli dove mangiare. Ovviamente tutto non segnalato. In mezzo alla festa non potevamo più andare né avanti né indietro. Mentre i clacson suonavano come ad un concerto, le moto ci passavano da ogni parte e le persone guardavano dentro il camper commentando la logistica, con calma e serenità il venditore della bancarella del torrone ha spostato il suo mezzo e noi siamo riusciti ad uscire dal casino ed andare a trovare un posto dove poter dormire.
Così l’ultimo giorno, prima di lasciare la Sicilia, ho finalmente trovato la risposta alle mia domanda. Là dove in teoria si sarebbe dovuto costruire il ponte sullo Stretto c’era una immagine del ponte Morandi, quello crollato a Genova, e sotto c’era scritto “Viviamo in una epoca dove non solo abbiamo rinunciato a costruire ponti, ma di questi tempi i ponti crollano e si costruiscono i muri”.
Sulle macerie di una Italia in disfacimento è il tempo perfetto perché gli sciacalli si diffondano.
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