Il giovanotto
che qui parla [ndr: vedi video in coda all'articolo] – per meglio dire, si
confessa – si chiama Chamath
Palihapitiya. Per me, come credo per la maggior parte dei lettori, era
uno sconosciuto. Ma è stato un personaggio importante. Infatti, è stato vicepresidente di Facebook.
Adesso – e si
capirà il perché – non lo è più.
Quella che
vediamo e ascoltiamo è l’esposizione di un pentimento. Recente, risale al dicembre scorso. Ci spiega,
pacatamente, di essersi reso conto, con grave ritardo, di avere contribuito a
creare un mostro. Un mostro
che ha cambiato la vita, il
cervello, il modo di pensare, le relazioni umane, gli affetti, le inclinazioni,
le abitudini, il tempo vitale e materiale, di due miliardi di persone (per ora,
in quanto il processo è in corso e non c’è chi possa pensare di fermarlo).
Questo mostro –
è Chamath Palihapitya che lo dice – ha ridotto l’intelligenza di chi lo ha incontrato, ha esaltato,
deformandolo, l’individualismo di ciascuno, il suo isolamento dalla società in cui vive. Ha cioè azzerato la
socialità, ha trasformato i miliardi di individui che sono finiti nella sua
macina in prodotti,
in merci. Ha controllato e controlla
i comportamenti di masse sterminate di individui (anche di chi scrive e di chi
legge queste righe). Ha realizzato (contribuito a realizzare) la “mutazione
antropologica” di cui parlò Giovanni
Sartori nel suo memorabile libro Homo videns.
Solo che,
quando Sartori scrisse Homo videns, aveva in mente la televisione.
Quella stessa televisione che Karl Popper aveva definito “cattiva
maestra”. Erano altri tempi. Né Sartori, né Popper, nemmeno Pasolini, nemmeno Debord potevano immaginare che
sarebbe arrivato Facebook e che avrebbe portato alle sue estreme conseguenze la
“mutazione antropologica” in corso. Ciascuno di loro l’aveva prevista, per così
dire, “in piccolo”. Adesso la sperimentiamo al naturale. E noi, più anziani,
siamo fortunati perché ancora conserviamo il ricordo di quello che fummo.
Le giovani generazioni,
già completamente “mutate”, non avranno neppure gli strumenti minimi del
confronto tra ieri e oggi.
Chamath Palihapitiya si è pentito. E ora si dedica a opere di bene. Ha vietato ai suoi figli di entrare in contatto con il mostro, ma è consapevole che si tratta di ben poca cosa e di scarso effetto. A me ha fatto venire in mente un altro personaggio, un grande personaggio che, sono certo, pochissimi di voi conoscono. Quello di Julius Robert Oppenheimer. Fu a capo del Progetto Manhattan, quello che creò le bombe atomiche che azzerarono Hiroshima e Nagasaki.
Anche
Oppenheimer, dopo, si pentì. Disse: “Sono diventato morte, distruttore di
mondi”. Disse anche qualcosa di più terribile. Disse che la bomba avrebbe
“abbassato il livello etico degli Stati
Uniti”. Abbassò il livello etico dell’uomo in generale. Il mostro di cui
qui parla Palihapitiya è anche un prodotto di quell’abbassamento del livello etico dell’Uomo. Questa
associazione mi pare legittima. Anche il nostro Chamath ha contribuito a fare
esplodere una bomba: enorme, perfino più distruttiva di quella atomica: è
da essa che viene l’imbarbarimento,
l’impazzimento della società in cui viviamo. Non uccide, per ora. Ma ferisce
irreversibilmente i milioni, i miliardi.
Qualche anno
fa, quando dirigevo la rivista Cometa (che significava
Comunicazione, etica, ambiente) – intervistando Carlo Freccero, che aveva scritto la splendida prefazione a Guy Debord (La società dello
spettacolo) – gli chiesi se anche lui si fosse pentito di avere
contribuito a creare una bomba
atomica, nella sua qualità di ideatore della televisione moderna in
Italia. Prima di rispondere esitò qualche attimo. Poi disse: “Sì, me ne pento.
Ma, se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun altro”. Vero. Proprio
come Chamath.
Quello che mi
colpisce è che questi giovanotti – lui come, mutatis mutandis, Edward Snowden – hanno creato
mostri senza nemmeno accorgersene. Funzionavano. Rendevano soldi. A palate.
Davano un potere sconfinato. Poggiavano sulla natura umana. Non si posero il
problema se fosse lecito usarne la fragilità, la debolezza. Non ci fu nessuna
esitazione etica, morale. Non ci fu nemmeno l’ombra di un “principio di precauzione”. Il fatto è
che siamo appena all’inizio di sconvolgimenti che richiederebbero immensa
saggezza per essere gestiti senza trasformarsi in disastri epocali. Ma dove
trovare ormai la saggezza?
Il mio
video-commento con la confessione di Chamath Palihapitiya, sottotitolata
in italiano:
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