L’esercito più orwelliano del mondo - Lorenzo Guadagnucci
Giornali e tv di tutto il mondo hanno mostrato e descritto una delle più orribili imprese – l’attacco alle ambulanze della Mezzaluna rossa, l’esecuzione degli operatori, l’occultamento dei corpi in una fossa comune e la giustificazione menzognera dell’operazione – compiute dall’esercito più orwelliano del mondo, come dovremmo ormai (amaramente) definire le forze armate israeliane, che hanno costruito nel tempo una narrazione – in realtà un esorcismo e un meccanismo di pressione-persuasione sui propri soldati – autodefinendosi “l’esercito più morale del mondo”.
È questa una definizione smentita da innumerevoli fatti, ma necessaria per lo stato israeliano: è stato il modo che ha permesso a tanti coscritti di svolgere compiti di polizia militare e di guerra guerreggiata in posizione in apparenza comoda – una condizione di schiacciante superiorità – ma anche insidiosa, perché affrontare la popolazione civile, soprattutto in Cisgiordania, ai posti di blocco, nella repressione quotidiana, negli sgomberi, nelle punizioni, e a maggior ragione nelle azioni di guerra vera e propria, soprattutto a Gaza, pone problemi etici ed esistenziali non irrilevanti per la gioventù israeliana in armi. Sapersi, o meglio credersi “l’esercito più morale del mondo” può aiutare a svolgere compiti ingrati, ingiusti, a volte anche orribili.
Con la campagna di Gaza che dura da quasi un anno e mezzo tutti i veli sono però caduti. La definizione di “esercito più morale del mondo”, l’affermazione – ripetuta a ogni obiezione, a ogni critica – di agire nella Striscia nel rispetto del diritto internazionale, sono ormai parte di una retorica orwelliana, con le parole che vengono pronunciate meccanicamente a significare però il loro contrario.
In questo macabro teatro, l’opinione pubblica internazionale, il giornalismo mainstream, i governi occidentali, così ricchi di prosopopea quando si tratta ai autodefinirsi liberi e democratici, si fanno notare per la loro passività, per l’ignavia che diventa complicità.
Costa dirlo, ma per ragioni – diciamo così – strutturali, dovute al sistema di alleanze e relazioni diplomatiche, politiche, culturali, economiche fra Israele, l’Europa e l’intero Occidente, l’esercito più orwelliano del mondo è (anche) il nostro esercito. Dovremmo guardare a noi stessi alla luce di questa constatazione. Diventa allora difficile, anche per chi avversa le scelte di Israele, per chi parteggia e manifesta e agisce in favore del popolo palestinese, diventa difficile per tutti noi sentirci davvero assolti.
Dovremmo riuscire a trasformare il dolore, la frustrazione, la rabbia in qualcosa di nuovo e di forte, forse – per cominciare – una rivoluzione interiore che si riversa all’esterno in ogni momento della vita quotidiana: una diserzione ora per ora dalla regola del silenzio, dell’indifferenza, del fatalismo che disciplina la nostra società, le nostre esistenze.
L’oceano di sangue palestinese innocente che sta inondando la Striscia di Gaza si sarebbe potuto evitare se le organizzazioni sovranazionali e internazionali avessero voluto e potuto. Circa il “volere” la Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU ci hanno provato, ma si sono scontrate con un altro volere, quello dei potenti complici di Israele e, quindi, non hanno potuto. In Italia e nel mondo si sono moltiplicate le iniziative popolari per tentare – inutilmente – di costringere Israele a fermare il genocidio e qualche parlamentare del centro sinistra “democraticamente” vicino a Israele ha perfino partecipato al congresso “Sinistra per Israele-due popoli due Stati” dal quale sono uscite 10 tesi che, pur non volendo riconoscere quale genocidio lo sterminio israeliano di decine di migliaia di civili inermi, ha mostrato la “buona volontà” di suggerire come risolvere il cosiddetto conflitto israelo-palestinese.
Sulle 10 tesi di cui sopra l’avvocato Ugo Giannangeli, vicino da sempre
alla causa del popolo palestinese sia in veste di penalista che in veste di
studioso degli aspetti giuridici relativi alla situazione internazionale, ha
elaborato delle considerazioni che ha inviato, senza ottenere risposta, al
senatore del PD Alfieri, membro di “Sinistra per Israele”. Considerazioni che
hanno però girato in modo informale suscitando notevole attenzione, per questo
abbiamo deciso di intervistarlo. Ecco l’intervista che ci ha gentilmente
rilasciato.
P.C. Avvocato Giannangeli, vuoi dirci quali riflessioni sono emerse dallo
studio delle tesi del congresso “Sinistra per Israele-due popoli due Stati”
dello scorso febbraio?
U.G. Grazie per aver scelto di rendere pubbliche le mie osservazioni, tanto
più che l’onorevole Alfieri non si è degnato di rispondere. Per comodità espositiva
seguirò l’ordine delle tesi.
P.C. Bene, partiamo dalla prima
U.G. Nella prima tesi si ricorda che Sinistra per Israele è nata subito
dopo il conflitto del 1967 per la necessità di “ricucire lo strappo che aveva
separato parte della sinistra italiana da Israele all’indomani del conflitto
del 1967”. Mi ha stupito questa affermazione visto che proprio grazie alla
menzogna sull’inizio del conflitto, Israele godette immediatamente di diffusa
solidarietà anche da sinistra come è testimoniato dal numero speciale della
rivista Epoca del 18 giugno 1967 intitolato “ La vittoria di Israele”. Un
numero di 50 pagine con i nomi di numerosi illustri italiani molti dei quali di
sinistra, tutti firmatari di appelli pro Israele. Intellettuali quali
Nanni Balestrini, Natalino Sapegno, Federico Fellini, Italo Calvino, Nicola
Tranfaglia, Eugenio Montale, Carlo Cassola, Norberto Bobbio, Nuto Revelli, Enzo
Biagi, Leonardo Sciascia, Giorgio Bocca, Marco Ramat, Giovanni Spadolini e
tanti altri tutti di altissimo livello e tutti caduti nel tranello della
menzogna.
P.C. puoi spiegare in cosa consiste questa menzogna?
U.G. Sì, dire che Israele aveva dovuto difendersi da un imminente attacco
dei Paesi arabi mirante al suo annientamento fu smentito per la prima
volta nel marzo 1972 dall’ex generale M.Peled, che durante la guerra dei sei
giorni era a capo del dipartimento “amministrazione e alloggi” dello
Stato maggiore centrale israeliano. Il generale Peled negò che Israele avesse
corso il pericolo dichiarato, e le sue parole vennero pubblica sul quotidiano
Haaretz il 19 marzo 1972. Successivamente altri, tra cui il generale E.Weizman,
nel 1967 capo dell’ufficio operazioni dello Stato maggiore centrale israeliano
e il generale H.Bar-Lev, nel 1967 capo dello Stato maggiore presso il quartier
generale dell’esercito israeliano confermarono quanto dichiarato da Peled e
tutto venne reso di pubblico dominio dai quotidiani Haaretz e Maariv.
Riproporre oggi quanto ampiamente smentito da autorevoli esponenti
dell’esercito israeliano oltre cinquant’anni fa è quindi una menzogna. Doppia
menzogna se si afferma che Sinistra per Israele è nato per ricucire lo strappo
con la sinistra in seguito alla guerra dei 6 giorni.
P.C. Grazie della spiegazione. Torniamo a quanto affermato nella prima
tesi.
U.G. In questa tesi si sostiene che l’unica soluzione del “conflitto”
è l’orizzonte di due Stati per due popoli. La parola “orizzonte”
suggerisce un obiettivo molto lontano, ammesso che sia realmente un
obiettivo. A tale proposito consiglio la lettura di un libro di Ziyad Clot dal
titolo lapidario: “Non ci sarà uno Stato palestinese. Diario di un negoziatore
in Palestina”. L’autore per 11 mesi ha fatto parte dell’unità di sostegno
ai negoziati dell’OLP poco dopo la conferenza di Annapolis che aveva fissato
come traguardo la creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2008.
Clot, constatata la situazione, dà le dimissioni nel novembre 2008 e due anni
dopo pubblica il suo libro in Francia. In una nota all’edizione francese scrive
“…Mi sono poi imbattuto nel ‘processo di pace’… Ho visto da vicino
l’impossibilità di realizzare uno Stato palestinese. … nell’inverno
2008/09 mi sono trovato impotente di fronte alla spedizione di morte nella
Striscia di Gaza. Come pochi ho avuto la possibilità di assistere ai
retroscena”. Le parole di Clot sono di estrema attualità. La totale
subalternità dell’Anp al diktat israeliano si è tradotta nel tempo in connivenza
nella repressione della resistenza, sino al recente taglio dei fondi destinati
ai detenuti politici palestinesi obbedendo alla richiesta israeliana.
L’orizzonte di due Stati per due popoli definito “l’unica prospettiva giusta e
necessaria, di pace e convivenza” in realtà, se si realizzasse, sarebbe un
obiettivo di separazione, non di convivenza. Ad oggi l’unica convivenza
sperimentata con successo è quella di Taayush, movimento di israeliani e
palestinesi che prospettano la convivenza in un solo Stato con uguali diritti
per tutti. Anche il termine “popolo” è discutibile. Lo storico ebreo
israeliano Shlomo Sand, nel suo libro “L’invenzione del popolo ebraico”
spiega bene questa manipolazione, così come manipolatorio è il falso slogan
“una terra senza popolo per un popolo senza terra” in cui si finge
l’inesistenza del popolo palestinese prefigurandone già l’eliminazione
visto che dell’esistenza del popolo palestinese gli ebrei erano ben consapevoli
già dal 1897 come documentato nel libro di Ghada Karmi, “Sposata a un altro
uomo”. Ma passiamo alla seconda tesi che va a dare concretezza alla prima.
P.C. La seconda è titolata “Dall’orizzonte alla pratica: riprendere
un percorso per la pace”, giusto?
U.G. Esatto, e richiama la Dichiarazione della fondazione di Israele detta
anche Dichiarazione di indipendenza del 14 maggio 1948, dove si legge: “…
Dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel che avrà il nome
di Stato di Israele… Lo Stato di Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica
e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene
di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla
pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza dei
diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di
religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione di coscienza, di
lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le
religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite… “. Il
nuovo Stato è definito ebraico e il territorio interessato è chiamato Eretz
Israel, cioè grande Israele. Ma nella tesi n.8 che vedremo in seguito il
progetto del Grande Israele sarà attribuito agli eredi del sionismo
revisionista definito “una corrente esplicitamente di destra”. La Dichiarazione
di indipendenza è richiamata anche nella tesi n.6 in cui si mette in evidenza
l’assoluto contrasto con la legge fondamentale del 2018 che definisce Israele
“Stato nazione degli ebrei senza alcuna clausola di equità per le altre
componenti etniche e religiose”.
P.C. Quindi riconosci che la seconda tesi ha di positivo il mettere in
evidenza che i principi formulati nella Dichiarazione d’indipendenza
contrastano con la realtà pratica che caratterizza Israele?
U.G. Sì, è apprezzabile il riconoscimento di tale contraddizione anche se,
citando la legge fondamentale del 2018, sarebbe stato opportuno ricordarne
anche l’articolo 7 che eleva un crimine come è la colonizzazione a valore da
incrementare.
P.C. Quale, secondo te, il motivo per cui la Dichiarazione d’indipendenza
esprimeva quei principi, di fatto mai rispettati?
U.G. La Dichiarazione di indipendenza altro non era che lo specchietto per
le allodole per ottenere l’ammissione del neo-Stato all’Onu. L’Onu aveva
chiesto espressamente ad Israele di mettere nero su bianco l’impegno a
rispettare i principi della Carta delle Nazioni Unite, dimostrando una certa
diffidenza verso uno Stato destinato espressamente ad essere ebraico. Donde
l’ossimoro “Stato ebraico e democratico”. Lo dimostra il fatto che non una
parola della Dichiarazione di indipendenza è stata rispettata, a partire
dalla fedeltà ai principi della Carta dell’Onu. La seconda tesi ha il merito di
accennare anche ai sistemi educativi israeliani che hanno favorito la spirale
di odio. Già l’accademica ebrea Nurit Peled Elhanan aveva espresso una serrata
critica al sistema educativo israeliano nel suo “ La Palestina nei libri
di scuola israeliani” di cui si può leggere una sintesi nell’articolo “ Come
Israele insegna ai suoi figli a odiare” di Middle East Monitor del 1 agosto
2019. Attualissimo un passaggio: “A sette anni dalla pubblicazione del libro le
cose sono ulteriormente peggiorate. Lo si può vedere nel video, circolato sui
social media questa settimana, dei giovani soldati israeliani che festeggiavano
ed applaudivano dopo aver fatto saltare le case palestinesi a est di
Gerusalemme. Quei soldati sono proprio il prodotto del sistema educativo
israeliano”. Durante il genocidio in corso a Gaza sono girate nei social media
immagini raccapriccianti delle azioni dei soldati israeliani, a dimostrazione
che il processo di deumanizzazione israeliana è andato molto avanti. Ma i
congressisti di Sinistra per Israele negano il genocidio!
P.C. Però diamo atto a Sinistra per Israele di aver preso le distanze da
questa scuola d’insegnamento all’odio?
U.G. Sì, non con la determinazione e la documentazione di Nurit Peled, ma
un’ ammissione di incitamento all’odio nei programmi scolastici israeliani è
emerso.
P.C. Passiamo alla terza tesi
U.G. Nella terza tesi compare il riferimento al terrorismo e si citano
Hamas, Hezbollah e gli Houthi ma s’ignora che il diritto internazionale
riconosce il diritto alla resistenza a un popolo sotto occupazione come il
popolo palestinese e che il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra
del 1949, adottato nel 1977, relativo alla protezione delle vittime dei
conflitti armati internazionali, riconosce alla popolazione di un paese
occupato il pieno diritto di lottare per la propria liberazione anche con la
resistenza armata e viene esplicitamente riaffermato nella Risoluzione
dell’Onu numero 37/43 del 1982 nella quale è scritto che : “considerando
che la negazione dei diritti inalienabili del popolo palestinese … e i ripetuti
atti di aggressione da parte di Israele contro i popoli della regione
costituiscono una grave minaccia alla pace e alla sicurezza, riafferma la
legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità
territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e
straniera e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili compresa
la lotta armata”. Quindi viene ignorato che la lotta armata non può definirsi
terrorismo. In questa tesi si accenna anche agli accordi di Oslo del 1993,
definendoli una pratica da proseguire, mostrando di ignorare totalmente cosa
hanno significato e significano per i palestinesi. Le parole di Z. Clot, sia
pure riferite ad altro periodo, chiariscono la disparità contrattuale delle
parti e la accettazione da parte palestinese di un accordo ormai palesemente
truffaldino. Regola fondamentale di ogni accordo è il principio di buona fede
ed è difficile attribuire buona fede a quella parte contrattuale che mentre
promette graduali passaggi verso la creazione di uno Stato continua a costruire
colonie sul territorio destinato a quel futuro Stato. Inoltre, l’acclamato
diritto ai due Stati (di cui solo uno esistente) a vivere in sicurezza
all’interno dei propri confini pone una domanda: quali confini? Lo Stato
esistente non li ha mai dichiarati, seguita a espandersi illegalmente e
non si è mai dotato di una Costituzione, nonostante il diverso impegno assunto
nella Dichiarazione di indipendenza. Nella tesi n. 4 si va poi su un falso vero
e proprio, utile a rinvigorire la narrazione israeliana, affermando l’uso di
scudi umani da parte di Hamas. Le migliaia di immagini giunte da Gaza, comprese
quelle dei soldati dell’IDF, dimostrano il contrario e cioè l’uso di
palestinesi come scudi umani da parte dell’esercito israeliano. In questa tesi
si parla anche di diritto internazionale e della necessità di restituire ad
Israele credibilità e sostegno nel consesso internazionale, ma non si affronta
il motivo per cui Israele ha perso credibilità. Inoltre, l’aver eletto nel Comitato
direttivo nazionale dell’organizzazione quel Piero Fassino che, quale
presidente della Commissione esteri alla Camera, il 6 luglio 2021 aveva detto
esplicitamente che il diritto internazionale deve essere subalterno alla
politica, mostrando con rara sfacciataggine il disprezzo per quello che
dovrebbe essere lo strumento per la risoluzione dei conflitti internazionali,
non accresce davvero la credibilità né di Israele né delle elaborazioni
scaturite dal congresso in esame, tanto più che Fassino non è isolato, basti
pensare al tentativo di demolire le due massime Corti internazionali non appena
hanno toccato i criminali considerati intoccabili quali Netanyahu e Gallant,
fino ad avere una carica dello Stato come Tajani che afferma impunemente
di non riconoscere l’ordine di arresto della Corte Penale Internazionale e che
Netanyahu potrà venire in Italia senza tema di essere arrestato. Lascio a voi
l’interpretazione di quel “restituire la credibilità a Israele”, a me sembra
pura chirurgia estetica pro-Israele e la tesi n.5, che contiene una
dissociazione dalle “modalità e gli esiti della guerra combattuta in questi 15
mesi a Gaza” non è che un altro ritocco al maquillage. Aggiungo che
l’uso del termine guerra è a dir poco improprio in quanto non si fronteggiano
eserciti, come ad esempio in Ucraina, ma si riversano sulla popolazione
inerme migliaia di tonnellate di bombe; a Gaza è venuto meno il principio
fondamentale del diritto internazionale umanitario di distinzione tra civili e
combattenti. Mentre l’intenzione e l’azione genocida e di pulizia etnica che
non viene accettata dal Congresso è ormai assolutamente palese. Se la Corte
Internazionale di Giustizia nella sua ordinanza del gennaio 2024 ha parlato di
solo “plausibile genocidio”, non spingendosi oltre, è per due motivi: primo,
perché l’ordinanza risale a meno di quattro mesi di bombardamenti
indiscriminati e quindi con un numero di vittime civili molto alto ma ancora
relativamente contenuto rispetto ad oggi; secondo, perché la sussistenza del genocidio,
oggetto della causa promossa da Sudafrica, necessita di un’attività istruttoria
(peraltro ostacolata in tutti i modi possibili da Israele) non ancora avviata
nel gennaio 2024.
P.C. Però sembra almeno presente lo sforzo di dissociarsi dall’attività
criminale di Israele?
U.G. Non precisamente, visto che la tesi n.6 afferma che Israele non può
essere identificato con il governo Netanyahu. Argomento ricorrente e
giustificazionista. Che il governo attuale sia il più a destra nella storia di
Israele è indubbio. Ma è pur vero che il progetto sionista è stato perseguito
da tutti i governi israeliani e che la colonizzazione e la repressione non si
sono mai fermate. La repressione del premio Nobel per la pace Rabin, ministro
laburista durante la prima intifada, fu feroce e lo ricordiamo soprattutto per
l’ordine di spezzare le braccia ai bambini che lanciavano sassi; è il caso di
ricordarlo anche come colui che ordinò nel 1989 l’assedio alla cittadina di
Beit Sahour, tagliando elettricità e ingresso di cibo ed acqua, quasi una
anticipazione di Gaza 2024. Inoltre la colonizzazione non si è certo fermata
durante i governi laburisti. Ignorarlo è una forma di manipolazione della
realtà. Altra mistificazione emersa dal Congresso è criticare il governo
perché non ha impedito l’azione violenta e terroristica dei settori più
fanatici dei coloni, legittimando con tale critica l’esistenza delle colonie i
cui membri non siano troppo violenti, mentre è l’esistenza stessa delle
colonie ad essere illegale.
P.C. Sembra la stessa ambiguità che si ritrova nelle manifestazioni
israeliane contro Netanyahu
U.G. Infatti la tesi n.7 è dedicata proprio all’Israele che lotta, quello
progressista e pluralista. Indubbiamente esiste questa realtà ma la lotta
riguarda solo gli interessi della popolazione ebraica. Non a caso si sono viste
grosse manifestazioni per la riforma della giustizia, ma non certo per i
diritti violati dei palestinesi. La tesi n.7 dice che il 69% dell’opinione
pubblica chiede un accordo per il rilascio degli ostaggi, ma non dice che il
72% della popolazione appoggia la criminale idea della deportazione della
popolazione di Gaza. E la percentuale include certamente anche parte della
componente di sinistra degli israeliani. Le voci ebraiche di dissenso sono
presenti più all’estero che in Israele, tanto che questa diminuzione di
appoggio verso il Paese che pretende di essere lo Stato di tutti gli ebrei del
mondo preoccupa i sionisti. E dire sionisti non è casuale, infatti la tesi n.8
rivendica il diritto del sionismo nella sua dimensione di movimento di
liberazione nazionale e sociale degli ebrei e critica coloro che ne parlano
come una forma di colonialismo di rapina. In effetti è riduttivo definirlo
colonialismo di rapina in quanto si tratta di colonialismo d’insediamento,
ben più grave visto che mira non solo ad appropriarsi delle ricchezze di un
territorio ma anche all’eliminazione dei nativi. Questa tesi ricorda
l’esperienza dei kibbutzim, ispirata a un solidarismo di matrice laburista,
basata sui principi di cooperazione, lavoro, giustizia ed eguaglianza. Ma è
solo il mito. La realtà è stata ben diversa: il kibbutz seguiva una ideologia
coloniale, socialista al suo interno ma con discriminazioni razziste verso i
palestinesi e, talvolta, anche verso gli ebrei mizrahi, cioè quelli
mediorientali e magrebini. La tesi n. 8 rivendica il sionismo ed evita di
ricordare che i kibbutzim sono stati costruiti sulle macerie dei villaggi
palestinesi distrutti. Tutto questo ha ben poco a che vedere con il solidarismo
laburista, men che meno con il principio di uguaglianza ma, come affermato
dalla ministra israeliana di orientamento nazista Ayelet Shaked,
“L’uguaglianza è un pericolo per lo Stato ebraico”.
P.C. E dopo questa tesi che altro ci possiamo aspettare?
U.G. Beh, la tesi n. 9 nega ad Hamas la qualifica di forza della resistenza
e auspica una nuova leadership palestinese legittimata dal consenso popolare,
ignorando volutamente che è stato proprio il partito Hamas ad avere consenso
popolare vincendo le ultime elezioni. Sinistra per Israele è consapevole del
discredito di cui gode l’Autorità nazionale palestinese ma si guarda bene dal
richiedere l’inserimento di Marwan Barghouti, militante di Fatah capace di
unire le due fazioni rivali, tra i prigionieri da rilasciare nello scambio con
gli ostaggi, cosa peraltro richiesta da Hamas. L’auspicata nuova leadership, si
dice, deve emergere tramite elezioni generali e libere. Le elezioni generali e
libere che si svolsero 2006 in Palestina, come detto sopra, videro
la vittoria di Hamas non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. La tesi n. 9
ricorda che negli anni “90 esisteva nella società civile politica palestinese
una élite laica e pragmatica. Osservo che questa società laica e pragmatica
sarebbe stata anche più vasta se Israele non avesse per anni praticato
l’assassinio o la deportazione dei dirigenti politici e sindacali palestinesi,
i cosiddetti “deportees” da me in una occasione visitati nel carcere di Nablus:
tutti giovani sui 30 anni destinati all’espulsione senza alcuna accusa se non
il loro impegno politico.
P.C. Negare la qualifica di forza della resistenza era scontato, altrimenti
resta senza soggetto l’aggettivo “terrorista”. Circa l’ultima tesi cosa
ci vuoi dire?
U.G. La tesi n. 10 riguarda l’antisemitismo e ripropone, in modo
leggermente sfumato, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo. Non è
citata la definizione elaborata dall’IHRA (international holocaust remembrance
alliance) oggetto di severe critiche anche da parte di ampi settori della
comunità ebraica mondiale, ma neppure si cita la Dichiarazione di
Gerusalemme che ne rappresenta una parziale modifica utilizzando cinque
esempi di comportamenti non antisemiti come le critiche al sionismo e allo
Stato di Israele o il BDS come forma legittima di protesta politica. Come si
spiega, allora, l’inserimento della definizione dell’IHRA nello statuto
dell’associazione che all’art. 4 afferma l’adesione “alla completa definizione
dell’IHRA con tutti gli esempi inclusi” tra cui, appunto, l’equiparazione tra
antisionismo e antisemitismo? Inoltre, nella tesi n.10 si parla di uso
improprio della categoria di genocidio per quanto è in corso a Gaza.
P.C. Contraddizione o voluta manipolazione?
U.G. Per capirlo è necessario valutare i 5 compiti che dovrebbero dare
concretezza alle 10 tesi: innanzitutto battersi all’interno della sinistra
italiana per contrastare ogni forma di pregiudizio antiisraeliano per
perseguire l’obiettivo dell’affermazione del diritto ad esistere di Israele
come Stato ebraico “e democratico” a fianco di uno Stato palestinese. Secondo
compito, superare la diffidenza tra la sinistra e l’ebraismo italiano. In
proposito si afferma : “ è un dato di fatto che non pochi ebrei italiani oggi
si sentano più rappresentati dalle forze politiche che si dichiarano vicine
alle scelte compiute dal governo israeliano”. Si avverte un certo pudore
nell’incapacità di affermare esplicitamente che la larga maggioranza
dell’ebraismo italiano è orientato a destra, quella destra ora anche di governo
in Italia e che è molto vicina e solidale alla estrema destra al governo di
Israele. Lo storico ebreo israeliano Zev Sternhell, ben prima del genocidio in
corso e delle dichiarazioni razziste dei vertici politici israeliani, ha
affermato: “ in Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo
vicino al nazismo ai suoi esordi”. Esistono realtà ebraiche dissidenti come i
sottoscrittori del recente appello “Ebree ed ebrei italiani dicono no alla
pulizia etnica” raccolti sotto le sigle del “Laboratorio ebraico antirazzista”
e di “Mai indifferenti, voci ebraiche per la pace”. Il timore è che, così come
le residue realtà “pacifiste” israeliane, queste sigle rappresentino, pur con
alcuni limiti, una coraggiosa ed apprezzabile testimonianza, ma siano
ininfluenti sul piano politico.
P.C. Non hai speranza che queste voci possano avere ascolto?
U.G. Sai, a sei mesi dalla nascita di Israele, il 2 dicembre 1948, 28
intellettuali ebrei tra i quali Albert Einstein e Hannah Arendt inviarono una
lettera alla redazione del New York Times per denunciare la deriva fascista
imposta dal futuro primo ministro Menachem Begin alla natura dello Stato
israeliano. Vi si legge: “ Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi
emerge quello relativo alla fondazione nel nuovo Stato di Israele del partito
della libertà, un partito politico che nell’organizzazione, nei metodi, nella
filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti
nazista e fascista. È stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del
precedente Irgun Zvai Leumi, un’organizzazione terroristica, sciovinista, di
destra ……….. Le confessioni pubbliche del signor Begin non sono utili per
capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e
antimperialismo mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello
Stato fascista. È nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo
reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà
nel futuro. Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel
villaggio arabo di Deir Yassin…….. Il 9 aprile bande di terroristi attaccarono
questo pacifico villaggio che non era un obiettivo militare uccidendo la
maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e
trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di
Gerusalemme……… All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di
ultranazionalismo, misticismo religioso, superiorità razziale.”
Nonostante questa durissima e autorevole denuncia, Begin farà carriera sino
a divenire Primo Ministro di Israele dal 1977 al 1983. Nel 1973 lascerà il
Partito della Libertà e fonderà il Likud, il partito di Netanyahu attualmente
al governo. Nel 1978 fu addirittura insignito del premio Nobel …per la pace! Il
cerchio così si chiude. Continuità assoluta dal 1948 al 2025.
P.C. E cosa pensi che faccia Sinistra per Israele, al di là delle tiepide
critiche al governo di destra e ultra destra, visto che non riesce neanche a
riconoscere il genocidio e la pulizia etnica in corso ?
U.G. Sinistra per Israele ha modificato il proprio nome in “Sinistra
per Israele – due popoli due Stati” per evidenziare quello che è il suo
obiettivo. Per dare concretezza e rendere credibile la propria azione, dovrebbe
quantomeno indicare tappe intermedie che conducano a quello che chiamano
orizzonte. Ad esempio: Sinistra per Israele dice di battersi per il ripristino
della legalità internazionale. E come lo fa? Chi l’ha visto? potrebbe cominciare,
per esempio, col chiedere un programma concreto di ritiro dei coloni dai
territori occupati: 10.000 entro il 2025; 50.000 entro il 2026 e così via sino
agli attuali 700.000. Non ha senso chiedere uno Stato di Palestina sovrano
senza liberare il territorio dagli occupanti, peraltro fuorilegge. Solo con un
programma concreto si rende credibile un’idea che altrimenti resta solo un
orizzonte lontano e, forse, utile a guadagnare tempo e realizzare una
completa pulizia etnica. Il dubbio è legittimo e non va confuso con
l’antisemitismo, tanto più che il vero antisemitismo, quello mai sopito,
si annida in una destra mondiale di cui il governo di Israele a pieno titolo fa
parte e di cui fanno parte realtà islamofobiche, razziste e violente. Ebraiche e
non. E questo, il congresso di “Sinistra per Israele-due popoli due Stati” lo
sa, ma non ha trovato spazio nelle sue 10 tesi.
P.C. Un’ultima domanda a margine delle osservazioni sulle 10 tesi. Come ha
reagito Sinistra per Israele allo spregio per la Corte Penale Internazionale
mostrato dall’ungherese Orban accogliendo con tutti gli onori il carnefice di
Tel Aviv che invece avrebbe dovuto arrestare?
U.G. Se una reazione c’è stata è rimasta segreta. Sinistra per Israele
vuole la caduta di Netanyahu, uomo di destra, che nel suo blog definisce “Orban
prima che lo fosse lo stesso Orban” ma non mi risulta sia stata presa alcuna
posizione ufficiale circa lo spregio verso la CPI. Sinceramente sarei rimasto
stupito del contrario!
* Ugo Giannangeli avvocato penalista, impegnato da sempre nel sociale,
prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione
delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a
sostegno della resistenza del popolo palestinese. Osservatore internazionale al
processo nel 2002 contro Marwan Barghouti e alle elezioni del 2006 in
Palestina. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana
“Crimini contro l’umanità” e alla riedizione nel 2018 del libro “Coi miei
occhi” di Felicia Langer, entrambi editi da Zambon. Ha contribuito alla
nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di
Venegono. Collabora con la Scuola dei diritti umani di Como.
Nessun commento:
Posta un commento