mercoledì 16 aprile 2025

Veleni biologici - Gian Andrea Franchi

 

L’articolo di Riccardo Bottazzo intitolato “Patagonia, acqua avvelenata”, pubblicato sul manifesto dell’8 aprile, indica uno dei sentieri del cammino di morte intrapreso dall’inarrestabile mercificazione della vita (sono diverse le affinità con la relazione tra femminicidio e capitalismo su cui ho scritto in Il femminicidio come segno dello stato presente della vita). Mostra infatti efficacemente, attraverso un elemento essenziale carico di risonanze simboliche quale è l’acqua, il carattere intrinseco della merce come radicale strumento di potere.

Rimanda inoltre a ciò che affermava Chiara Cruciati ancora in un articolo sullo stesso giornale del 19 marzo, al tema essenziale della “costruzione del possibile”. Cruciati vi riflette in rapporto a Gaza, che rappresenta un fondamentale superamento di soglia: il genocidio diventa accettabile come soluzione di un cammino storico. Lo Stato d’Israele si è assunto il compito apocalittico di spingere una violenza omicida e biocida oltre i limiti finora conosciuti, rendendola normale. La costruzione del possibile è il cuore di ciò che chiamiamo “potere”, come enuncia la stessa parola. Oggi il potere dominante riesce a rendere accettabile il genocidio come pratica corrente. Il genocidio non è nascosto – paradossalmente i nazisti subito dopo la sconfitta cercarono di cancellare le tracce – o compiuto in luoghi e situazioni che sfuggono alla visibilità, come all’epoca coloniale o anche oggi in situazioni che tuttavia sono lontane dalla rappresentazione diffusa: oggi è reso banale, quasi ovvio. Non mancano contestazioni, certo, ma restano alla superficie di corpi sociali la cui circolazione sanguigna è ormai il processo di mercificazione dell’esistenza.

In questa occasione si tratta di un elemento fondamentale della vita, colmo di antica valenza simbolica. L’articolo di Bottazzo tratta dell’acquisto da parte della società israeliana Mekorot, “la multiutility parastatale di Tel Aviv, che oggi gestisce l’80% delle risorse idriche della Palestina”, di “tutta l’acqua della Patagonia”, sotto il patrocinio di Milei: “Oggi l’azienda ha in concessione le risorse idriche di 12 delle 23 province” argentine, “nella zona più ricca di sorgenti e fiumi”. Questo affare sarà l’anima di settori industriali fondamentali: petrolio, energia, foreste e soprattutto miniere, che “prevedono un enorme consumo d’acqua”. Nel sito della Mekorot si trova “una perfetta celebrazione del mito della fondazione d’Israele”: “Abbiamo fatto fiorire l’arido deserto della Palestina trasformandolo in un’oasi per il popolo israeliano”: ovvero: i palestinesi non sono degni d’esistere. Si tratta di un’affermazione fattuale che sta rivelando la densità di un salto storico. La Mekorot, che governa ”le infrastrutture idriche del Golfo Persico” e ha rapporti con molti paesi, fra cui l’Italia, usa l’acqua come un’arma: la vende per tre shekel al metro cubo agli israeliani e per trenta ai palestinesi. I primi possono accedere a 400 litri al giorno, i palestinesi a 60, essendo il limite previsto dall’Organizzazione Mondiale della sanità di 100 litri.

Gaza non è che il culmine di una politica genocida strisciante in atto da molto tempo, che riprende le politiche coloniali e naziste alla piena luce del sole normalizzandole: è questa la grande terribile differenza.

Se nel Mediterraneo muoiono a migliaia esuli in cerca di vivere, ciò viene fatto ricadere a loro colpa in quanto “clandestini”, quasi fossero suicidi.

A Gaza è diventato possibile che gli antichi abitatori di quella terra vengano uccisi a decine ogni giorno o, in un futuro vicino, trasportati via: sono superflui, anzi, sono un’escrescenza come erba infestante, in un territorio che, secondo il mito biblico, appartiene agli israeliti-israeliani per diritto divino (su questo punto va letto l’importante libro dello storico israeliano Shlomo Sand, L’invenzione del popolo ebraico, Rizzoli 2010).

La cultura chiamata capitalismo sta soffocando in una rete mortale la vita sulla terra.

Lo Stato d’Israele si è assunto il compito di cavaliere dell’Apocalisse, spingendo la violenza omicida oltre i limiti storicamente accolti.

L’acqua è una merce che serve per produrre altre merci: efficacissimo strumento di potere in quanto elemento indispensabile alla vita, un cappio biologico e ontologico che la soffoca. Va così nel capitalismo estremo: l’acqua, l’aria, la terra, gli uomini, gli animali, tutti i viventi… L’universo raggiungibile è un pacco di merci. La merce rivela la sua natura di mezzo di predazione: tutto può essere predato, una sorta di globalizzazione delle fauci di un leone o di un pescecane.

La lotta di classe, che, mentre coltivava la speranza di un futuro diverso, costringeva la pulsione predatoria del Capitale entro limiti socialdemocratici, è stata sconfitta. Oggi la cultura del capitale si mostra quale è, libera da freni: uno slancio verso la rottura dell’equilibrio della vita così come la conosciamo.

La predazione umana sembra aver rotto l’equilibrio fra cura e predazione: i due momenti essenziali della vita, entrambi intensificati nel vivente umano, che agivano in un difficile equilibrio fino allo sviluppo del capitalismo a partire da alcune regioni d’Europa intorno al XVI – XVII secolo. Il fenomeno della caccia alle streghe fra XVI e XVIII secolo ne è il segnale profondo. Nel calvinismo britannico del XVII secolo la rottura di questo equilibrio trova la sua consacrazione, ad esempio con il genocidio irlandese di Cromwell missione affidatagli da Dio “per educare gli irlandesi al lavoro”.

Un secolo dopo si coglie perfettamente in Franklin Benjamin (il cui volto esemplarmente appare sulla banconota da 100 dollari) che affermava: “Il tempo è denaro”. “Il denaro è di sua natura fecondo e produttivo – diceva inoltre nel 1787 – Più vivo, più colgo prove convincenti di questa verità, ovvero che è Dio a governare le umane faccende”. Del resto anche Trump ha detto che È stato dio a salvarlo dall’attentato del 13 luglio 2024.

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