In tempi normali, i giuristi dediti al diritto pubblico, che regola l’organizzazione e il funzionamento dello Stato, interpretano e insegnano la Costituzione e assumono anche posizioni individuali sulla vita normativa della nostra comunità. “Ci sono momenti però nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità, di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso assumere insieme delle pubbliche posizioni”, avverte l’Appello per la sicurezza democratica (testo integrale) firmato da 257 giuspubblicisti di tutte le Università italiane, compresi Presidenti e vice-Presidenti emeriti della Corte costituzionale: Ugo de Siervo, Gaetano Silvestri, Gustavo Zagrebelsky, Enzo Cheli, Paolo Maddalena. L’Appello si aggiunge a quelli dell’Associazione Magistrati, delle Camere penali, dei professori di diritto penale per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica verso il decreto sicurezza approvato l’11 aprile dal governo di Giorgia Meloni. Un intervento che, scrivono i promotori, “nel metodo e nel merito esplicita un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura”.
“E’ raro che
un numero così alto di professori universitari prenda pubblicamente posizione
verso un singolo provvedimento legislativo”, spiega Roberto Zaccaria,
ordinario di Diritto Costituzionale già docente all’Università di Firenze, tra
i promotori dell’Appello. “Un atto di impegno civile”, lo definisce. Di fronte
a un intervento “che può ledere le libertà fondamentali ed essere addirittura
più pericoloso di una riforma costituzionale”. Tanto che, ammette, “non ricordo
in epoca recente interventi di sicurezza pubblica di questa intensità e forza”.
Il problema di fondo, spiega Zaccaria, è il rischio di trasformare il tema
della sicurezza “in un valore ideale fondante, in un limite generale
inaccettabile perché le libertà costituzionali non possono andare
incontro a limiti di carattere generale. Come l’ordine pubblico che nella
Costituzione non ha cittadinanza”. Peggio ancora se il piano si realizza
stracciando un disegno di legge già in dirittura d’arrivo. “Un vero e
proprio scippo nei confronti del Parlamento ed un clamoroso
aggiramento della Costituzione”, attacca Zaccaria. E cita Meloni: “Ha detto che
in occasione del 25 Aprile riaffermiamo la centralità di quei valori democratici che il regime
fascista aveva negato. Ma se tu fai approvare in questo modo un
decreto sicurezza col quale un cittadino rischia anni di carcere per un sit-in,
non stai comprimendo le libertà fondamentali?”.
“Confidiamo
che tutti gli organi di garanzia costituzionale mantengano
alta l’attenzione e censurino questo allontanamento dallo spirito della nostra
Costituzione, che fonda la convivenza della comunità nazionale su democrazia,
pluralismo, diritti di libertà ed uguaglianza di fronte alla legge, affinché
nessuno debba temere lo Stato e tutti possano riconoscerne, con fiducia, il
ruolo di garante della legalità e dei diritti”, conclude l’Appello dopo aver
elencato i profili di incostituzionalità del decreto. Nel
metodo, a sdegnare i giuspubblicisti è appunto l’utilizzo improprio della
decretazione d’urgenza. Con un cambio di passo: “In quest’occasione la
violazione è del tutto ingiustificata e senza precedenti, dato che
l’iter legislativo, ai sensi dell’art. 72 della Costituzione era ormai prossimo
alla conclusione, quando è intervenuto il plateale colpo di mano con cui il
Governo si è appropriato del testo e di un compito, che, secondo l’art. 77
Costituzione può svolgere solo in casi straordinari di necessità e di urgenza,
al solo scopo, sembra, di umiliare il Parlamento e i cittadini
da esso rappresentati”.
Quanto al
merito, “si tratta di un disegno estremamente pericoloso di repressione di
quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società
democratica”. In particolare, l’Appello denuncia l’equiparazione dei centri
per stranieri alle carceri e la resistenza passiva agli
atti violenti. Il cosiddetto “daspo urbano“, deciso dal questore, che
limita la libertà personale trattando allo stesso modo chi è condannato e chi è
solo denunciato. Preoccupa che la polizia possa portare armi non di
ordinanza anche fuori servizio, e l’inasprimento delle pene per
illeciti avvenuti “in occasione” di una manifestazione pubblica. Una
disposizione tanto vaga che “contrasta con il principio di tipicità delle
condotte penalmente rilevanti, violando per giunta la specifica protezione
costituzionale accordata alla libertà di riunione in luogo pubblico o aperto al
pubblico”. Altrettanto vaghe sarebbero infine le disposizioni che prevedono
pene fino a sette anni per l’occupazione di luoghi che
presentano un’estensione del tutto imprecisata e rimessa a valutazioni e
preferenze del tutto soggettive dell’interprete”. Scelte che mettono in
discussione la nostra forma di Stato perché, dice conclude Zaccaria, “l’eterno
equilibrio tra individuo e autorità è risolto solo a favore di quest’ultima,
con una “ossessione securitaria” che non appartiene alla visione
degli Stati democratici, ma che ricalca pericolosamente la logica degli Stati
di polizia”.
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