(da Fatto Quotidiano, 16 aprile 2025)
L’Europa di
oggi è afflitta, come la Grecia antica, da disuguaglianze e fratture: si sta
spegnendo perché è caduta in mano a élite scadenti, preoccupate solo della
propria sopravvivenza
Con il suo
folle piano di riarmo l’élite al potere in Europa Occidentale sta tentando di
costruire una minaccia russa che esiste solo nei suoi deliri e che serve a
nascondere la sua incapacità di giocare la vera partita, che è tutta interna
all’Europa stessa.
La partita del lento e inesorabile impoverimento della sua popolazione a
vantaggio di pochi privilegiati che dura da mezzo secolo. La partita della
perdita dell’energia vitale del continente, sempre più isolato in un pianeta
non più dominato dall’Occidente e che trabocca di voglia di emancipazione e di
pace.
Il progetto
europeo, concepito dopo il 1945 come reazione a due guerre mondiali che avevano
portato l’Europa sull’orlo dell’autodistruzione, ha esaurito la sua spinta
propulsiva.
Non è più un
grande piano di pace e prosperità condivisa. Si è corrotto e ribaltato in un
cupio dissolvi, in un rinnovato impeto suicida.
Che altro
può essere se non un folle voto verso la morte l’attacco che l’oligarchia
dell’occidente europeo sta sferrando ad un’altra parte dell’Europa, la Russia,
dotata di armi di distruzione di massa in grado di distruggere l’intera civiltà
europea?
E se la
Russia decidesse di prendere sul serio la minaccia di aggressione lanciata da
Bruxelles giocando d’anticipo e prendendo l’iniziativa invece di aspettare
vent’anni come nel caso dell’Ucraina? Per il momento Putin pare più propenso a
considerare poco più che un vaniloquio le dichiarazioni della von der Leyen e
le isterie anti-russe del Parlamento europeo. Ma nel caso opposto non credo che
la fine dell’Europa avverrebbe lentamente, nell’arco di secoli o di
generazioni, come è accaduto alla sua casa madre, la Grecia classica, estintasi
per le stesse assurde ragioni promosse oggi dagli inetti leader europei.
Non sono
stati gli archi dell’invasore persiano né le lance macedoni a spegnere la voce
di Atene, ma il graduale avvelenamento delle sue stesse radici. La Grecia
classica non cadde sotto i colpi di un nemico esterno. Morì per un prolungato
suicidio, consumato nell’arco di guerre fratricide. Lo sfacelo della Grecia
antica conserva una risonanza inquietante e un’attualità che non possiamo
permetterci di ignorare.
La
narrazione tradizionale che attribuisce alla “minaccia persiana” le origini del
declino ellenico è una semplificazione storica che non regge all’analisi
critica degli eventi. Come ha osservato Arnold Toynbee, le civiltà non muoiono
assassinate, ma si suicidano. Il caso greco ha contribuito a ispirare questa
massima, rivelando come il sistema delle poleis, le città-stato, con la sua
straordinaria vitalità culturale e le sue profonde contraddizioni politiche,
contenesse già in sé i semi del proprio disfacimento.
L’evento
catalizzatore di questo processo di autodistruzione fu indubbiamente la guerra
del Peloponneso (431-404 a.C.), un conflitto che lacerò il mondo greco per 27
anni, contrapponendo Atene e la sua Lega Delio-Attica a Sparta e la Lega
Peloponnesiaca. La guerra fu iniziata dagli Spartani ma Tucidide, il grande
storico testimone diretto degli eventi, distingue tra la “causa vera” e i
“pretesti immediati”.
Secondo lui,
la causa profonda era stata “la crescita della potenza ateniese e il timore che
essa provocava in Sparta”. Atene aveva trasformato la Lega di Delo (nata come
alleanza difensiva in stile Nato contro i Persiani) in un vero e proprio impero
marittimo le cui navi minacciavano le coste del Peloponneso spartano. Quindi,
se formalmente fu Sparta a dichiarare guerra, Tucidide suggerisce che fu
l’espansionismo ateniese a rendere il conflitto praticamente inevitabile. (Vi
viene in mente qualcosa?).
I numeri
parlano da soli: Atene perse circa 30.000 cittadini durante l’epidemia di peste
del 430-429 a.C., un quarto della sua popolazione.
L’aggressione
del 415-413 a.C. contro Siracusa, una splendida polis siciliana colpevole solo
di far ombra ad Atene, si concluse con la sconfitta e la perdita di 40.000
uomini e 200 navi. Quando, nel 404 a.C., la città si arrese a Sparta, le sue
mura furono abbattute mentre i suoi abitanti piangevano la fine dell’egemonia
ateniese e, con essa, di un’epoca d’oro del pensiero umano.
Come scrive
Luciano Canfora, “La Grecia classica morì così, consumandosi in
un’interminabile successione di guerre, in cui ogni vittoria era effimera e
ogni sconfitta permanente. Solo l’arte e il pensiero greco sopravvissero, ma in
forme sempre più distaccate dalla realtà politica”.
Nel cuore di
questa autodissoluzione giaceva un paradosso irrisolto: il sistema delle
città-stato, che aveva generato l’incredibile fioritura culturale del V secolo
a. C., si rivelò incapace di evolversi verso forme di aggregazione politica più
ampia.
Ogni polis
difendeva gelosamente la propria autonomia (autonomia) e libertà (eleutheria),
considerando l’indipendenza un valore assoluto e non negoziabile. Nessun
pensatore greco andò oltre effimeri vagheggi su una federazione delle poleis di
lingua greca.
Non
dimentichiamo, al riguardo, come i padri fondatori dell’Unione europea
consideravano l’inclusione della Russia come la meta finale del cammino verso
un Europa estesa dall’Atlantico agli Urali. Cammino interrotto e progetto
espansivo crollati ormai senza rimedio. E senza alternativa.
La lezione
della caduta della Grecia classica è che nessuna eccellenza artistica e
filosofica può salvare una civiltà la cui leadership non sa affrontare le sfide
politiche e sociali del momento. Le civiltà muoiono quando perdono la capacità
di rinnovarsi dall’interno, di ringiovanire come sta adesso accadendo alla
Cina: il paese più povero del mondo che diventa tra i più ricchi nell’arco di
soli 40 anni grazie alla qualità della sua leadership e del suo progetto
socialista.
L’Europa
contemporanea è afflitta, come la Grecia antica, da disuguaglianze e fratture
che appaiono insanabili. La nostra civiltà si sta spegnendo perché è caduta in
mano a élite scadenti, preoccupate solo della propria sopravvivenza, pronte ad
asservirsi a padroni esterni e condannate a diventare vittima delle proprie
paranoie.
Se la parte
russa dell’Europa decide di prendere davvero in considerazione la minaccia
armata che l’oligarchia dell’Europa occidentale sta cercando di costruirle
contro, la storia si ripeterà sotto forma di una tragedia ancora più definitiva
di quella che ha distrutto l’antichità greca. Perché adesso c’è in scena
l’Apocalisse nucleare.
Ma la storia
sembra ripetersi, fino adesso, sotto forma di farsa. Speriamo.
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