L’episodio della tiratina di capelli di Romano Prodi alla giornalista, con lo scontato complemento di indignazione a comando, in sé è irrilevante, ma ha l’utilità di dimostrare ancora una volta che le destre, quando fa loro comodo, adottano il politicamente corretto; anzi, ci sguazzano più e meglio delle sedicenti “sinistre”. Chi avrebbe mai pensato che il ministro dell’Istruzione e del “Merito” (?), Giuseppe Valditara, fosse un campione dell’inclusione, un “woke” in incognito? E invece sì, visto che ha decretato lo stanziamento di settecentocinquanta milioni di euro per le scuole parificate, allo scopo di favorire l’inclusione degli studenti. Prima lo stanziamento era di soli settecento milioni, ma per essere sicuro dell’inclusione, Valditara ci ha messo cinquanta milioni in più.
A non essere ancora persuaso della vocazione woke di Valditara, è il
pedagogista Dario Ianes, il quale contesta al ministro di aver espresso
implicitamente la tesi secondo cui sarebbe stata l’inclusività a far scadere i
contenuti della didattica. Il pedagogista Ianes però è in grado di offrirci la
vera soluzione al problema, cioè fare corsi di formazione per docenti, in modo da prepararli all’inclusività. Per le
orecchie del ministro questa è musica; infatti Valditara non sapeva più quale
balla escogitare pur di stanziare soldi per corsi di formazione dei docenti.
Ultimamente Valditara s’era inventato persino un corso per preparare gli insegnanti ai rischi dell’intelligenza
artificiale. Se non
fosse arrivato Ianes a fornirgli un assist a così alta carica valoriale, magari
Valditara si sarebbe fatto sgamare ricorrendo a qualche pretesto ancora più
demenziale.
Certo, questo continuo screditare e delegittimare gli insegnanti, questo
umiliarli davanti alla pubblica opinione in quanto inadeguati cronici ed
eternamente immaturi, quindi bisognosi di formazione, finisce per renderli
zimbelli agli occhi di studenti e genitori. Il livello degli insegnanti non è
mai stato granché (e sarebbe irriguardoso il contrario, visto l’infimo livello
mentale dei ministri dell’Istruzione), eppure la didattica funzionava lo
stesso, mentre invece ufficializzare lo sputtanamento dei docenti destabilizza
la Scuola e impedisce qualsiasi collaborazione, poiché l’unica priorità diventa
la sopravvivenza personale. La debacle didattica risulta comunque utile e
preziosa come alibi del business degli appalti ad aziende private per la
formazione (quindi a distribuire soldi pubblici agli amici degli amici); perciò
ben venga il caos.
Valditara e Ianes sembrano su sponde valoriali opposte, ma alla fine non
variano sul dato essenziale, cioè il business della formazione degli
insegnanti, in nome dell’emergenza causata dall’incompetenza della classe
docente. Sarebbe interessante vedere se questo schema emergenziale-affaristico
non si stia riproponendo anche in altri contesti. Per il prossimo 5 aprile
Giuseppe Conte ci chiama alla mobilitazione contro il piano di riarmo europeo
da ottocento miliardi imposto da Ursula von der Leyen. Conte è fatto bersaglio
di commenti astiosi e pieni di contraddizioni, per cui da un lato lo si
ridicolizza e lo si presenta come ininfluente, dall’altro lato lo si accredita
come un pericolo micidiale per la sicurezza dell’Europa. Conte trova invece simpatia in chi
apprezza il suo richiamo al “welfare” della sanità e dell’istruzione come vero
valore europeo da difendere nei confronti del “warfare” delle armi. Sembrerebbe
tutto bello, ma sorge qualche dubbio. Cosa intende Conte per welfare? Forse
spendere per emergenze pandemiche e sieri vari spacciati da vaccini? Oppure in
corsi di formazione per docenti in modo da prepararli alle misure
anti-contagio? Il problema è che la parola “welfare” non è più rassicurante
come una volta, dato che il suprematismo “occidentale” (versione politicamente
corretta del suprematismo bianco) può essere declinato in molti modi.
La questione non è pretestuosa, se si considera che la von der Leyen è assurta
ai fasti del divismo e dell’onnipotenza proprio grazie all’umile avvocaticchio
di Foggia. Da Presidente del Consiglio Conte ha avviato l’emergenza Covid in
Europa. La von der Leyen ha acquisito il suo strapotere personale grazie alla
sua “poco trasparente” gestione dell’acquisto dei sieri salvifici; inoltre ha
potuto gestire per la prima volta un debito comune europeo, il Recovery Fund,
alias Next Generation EU. Manco a dirlo, è stato proprio Conte ad ottenere un
debito comune europeo, un risultato che prima del bistrattato avvocaticchio
sembrava impossibile. Negli anni precedenti all’emergenza Covid nessun
presidente di Commissione Europea aveva gestito tanti soldi e tanto potere. Il
predecessore della von der Leyen, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, era
diventato un personaggio noto solo grazie al fatto di presentarsi in pubblico
ubriaco fradicio; per il resto il suo protagonismo doveva limitarsi a fare il
micragnoso sugli zero-virgola dei bilanci statali.
Nella disputa valoriale tra pacifinti e bellicifinti si riscontrano delle
invarianze, come appunto l’emergenzialismo, col suo corollario di gestione
cleptocratica della spesa e dell’indebitamento. Se non ci fosse l’emergenza
della guerra contro Putin nel 2030 (mi raccomando Vladimir, sii puntuale), ora
magari la von der Leyen starebbe lanciando il debito da ottocento miliardi per
combattere qualche altra psicopandemia e comprare altri pseudo-vaccini.
La questione non riguarda la persona di Conte ed un eventuale processetto di
Norimberga nei suoi confronti, bensì di superare il livello della fintocrazia,
cioè quel gioco delle parti per cui ci si appunta sull’ultimo anello della
catena, senza aver chiaro quel percorso emergenzialista che ci ha condotti
dritti dalla mascherina all’elmetto. L’emergenzialismo è una forma di
schizofrenia sociale che annulla la distinzione tra realtà e simulazione. Per
alcuni questo stato di euforia è l’occasione per fare affari e muovere soldi
scavalcando controlli e procedure legali; per altri invece l’emergenzialismo
apre uno spazio ludo-pedagogico nel quale riplasmare l’umanità castigando i
reprobi. Nell’uno e nell’altro caso, il tratto distintivo dell’emergenzialismo
è un’intrinseca cialtroneria. Sono infatti le loro priorità a smascherare la
loro inattendibilità; se un Saverio Tommasi o una Selvaggia Lucarelli fossero
stati animati da una salda convinzione nell’esistenza del pericolo pandemico e
nel potere salvifico dei sieri, la loro priorità non sarebbe stata quella di
sbertucciare gli scalcagnati no-vax, bensì di chiedere conto alle autorità del
fatto di non aver sospeso i brevetti dei sieri e di non aver commissariato la
produzione farmaceutica. Allo stesso modo dimostra di essere un “bellicifinto”
chi ha come priorità lo sparlare dei “pacifinti”. Un governo veramente
intenzionato a condurre una guerra non si limiterebbe a “comprare armi”, ma si
preoccuperebbe di controllare la produzione bellica ed energetica. Calenda e la
Meloni dimostrano di essere dei fantocci della fintocrazia nel momento in cui,
invece di nazionalizzare Leonardo ed ENI, stanno lì a battibeccare con Conte,
il quale fa solo il suo roleplay, esattamente come la Meloni, quando questa
conduceva una “opposizione” di facciata contro il lockdown ed il green pass.
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