giovedì 10 dicembre 2020

Witold Gombrowicz. Kronos - Francesco M. Cataluccio

 

“In generale si è mangiato abbastanza bene, tranquillamente si è vissuto, finché… Kismet (parola turca che significa: Destino)”, questo annotava, al termine della sua vita, nel 1968, lo scrittore Witold Gombrowicz, partito dalla Polonia nel 1939 alla volta dell’Argentina, dove visse ventiquattro anni, per poi stabilirsi prima a Berlino e poi a Vence, in Provenza (dove è sepolto, vicino ai girasoli). Questa sorta di bilancio, abbastanza inconsueto in un egocentrico esuberante (almeno in pubblico) come lui, si può ora leggere in Kronos, il suo diario-segreto inedito, appena pubblicato in Polonia dalla casa editrice Wydawnictwo Literackie di Cracovia, che è stato presentato lunedì a Varsavia, dalla sua vedova, la canadese Rita Labrousse, che per molti anni ha gelosamente tenuto nel cassetto questo materiale, ritenendo giustamente che potesse essere accessibile e apprezzabile nella giusta misura soltanto quando, come avviene oggi, l’opera di Gombrowicz fosse ben conosciuta, in patria e nel mondo, e la morale sessuale finalmente più aperta e libera.

Kronos è una sorta di diario-parallelo rispetto al Dziennik (Diario) scritto e pubblicato tra il 1953 e il 1969 (edito in italiano da Feltrinelli in due volumi, nel 2004 e nel 2008) che molti considerano il suo capolavoro filosofico-letterario. Kronos è invece un’opera iniziata molto prima, nel 1923, quando Gombrowicz stava per iniziare controvoglia a studiare, per volere del padre, Legge all’Università.

 

Significativamente (e un po’ beffardamente, per uno scrittore che amerà soprattutto l’immaturità) la prima frase suona così: “maggio: maturità”. Kronos è una sorta di raccolta di appunti di pensieri e di lavoro, ma soprattutto una scarna ricapitolazione degli avvenimenti (soprattutto erotici e sanitari) della sua vita, non destinata alla pubblicazione. Ma il valore di questo inedito -pubblicato 43 anni, 9 mesi e 28 giorni dopo la sua morte- sta nel fatto che ci permette di conoscere un Gombrowicz non “in posa”, privo delle numerose maschere che amava indossare per provocare e pavoneggiarsi davanti ai lettori.

Eppure, anche in questo caso, lo scrittore polacco riesce a sorprendere e non risultare mai banale o scontato. La sua sincerità e il suo stile sono sempre eleganti e ironiche, anche quando racconta delle sue scorribande per la Piazza Retiro di Buenos Aires in cerca di avventure erotiche con “giovinetti del popolo curiosi”, operai e militari. E poi, il 26 ottobre del 1964, annota: “Amore con una donna, dopo 20 anni almeno. Strano cambiamento, conversione, Rita, ma a doppio taglio”.

Come la registrazione di un flusso, spesso disordinato, di coscienza scorrono lungo le pagine annotazioni di fatti privati e pubblici, mischiati assieme, come saltellando di palo in frasca: 1939:

 

“Arrivo a Buenos Aires. Notizia del patto russo-tedesco. Marchesa dell’Orso. Visita al giardino zoologico. Fiera del bestiame”; 1952: “Scrivo una commedia musicale. Avventura con un poliziotto. Il marinaio Carlos. Anno nuovo in solitudine a Plaza Retiro”; 1955: “Ci si trastulla ancora con la rivoluzione. La prostata va meglio, ma il dente fa male”; 1956: “Gomułka in Polonia. Rivoluzione in Ungheria. Sabato con Roul a Plaza Retiro. Mi interesso di politica. Invasione di Suez. Mi propongono di pubblicare un diario”; 1957: “In Polonia sono diventato un ‘orgoglio nazionale’. Ne sono entusiasta e scrivo di meno”; 1961: “Salute: non male, ma col respiro ho difficoltà, la morte è sempre più vicina…”; 1964: “Prof. von Kres: operazione alle tonsille. (Morte). (Morte)… Dio, Dio mio, non sono mai stato così male, così senza alcuna speranza!... Inizio a pizzicare Rita… Erotismo. Improvvisamente: una passeggiata, al sole, nel pomeriggio, bellissimo…”.     

 

In tutto questo caos di avvenimenti ed emozioni, soltanto tre volte Gombrowicz si lascia andare ad espressioni di grande entusiasmo: quando riesce a comprare un grammofono e può ascoltare la musica (1959: “Ho messo in moto il Ken Brown: Hammer, quartetti, sonate. Un crescendo di entusiasmo”); quando si manifesta la passione erotica (1941: “Cresce l’attivismo e cammino per il parco Retiro, che mi entusiasma”); e quando parla di Rita (anche se non è abituato a convivere con qualcuno, annota scrupolosamente tutti i piaceri domestici: le cene, i giochi con il cane, le piccole attenzioni, le gite in macchina e le passeggiate, le visite degli amici). Solo una volta, a proposito di lei, usa, quasi con timidezza, la parola amore. Quell’amore del quale parla nel suo TestamentoConversazioni con Dominique de Roux (1968; trad.it. Feltrinelli 2004), come qualcosa che, per colpa della madre, gli “era stato tolto per sempre” e per il quale non “sapeva trovare una forma”.

  

Tutta la vita di Gombrowicz (nato, da una famiglia di proprietari terrieri, nel 1904 a Małoszyce, che si trovava allora sotto l’Impero russo) trova nelle pagine di Kronos una sorta di grande ricapitolazione all’insegna della numerologia (una delle sue grandi manie). Tutto ciò che viene annotato ha, per Gombrowicz, un senso all’interno della combinazione dei numeri: il suo “anno fatale”, il 1964, ha somma 20 e Rita, che conobbe proprio allora, ha il simbolo 22…

 

Rita Gombrowicz ha ricordato, nella conferenza stampa a Varsavia nella quale ha annunciato il libro: “Dell’esistenza di Kronos sono venuta a sapere nel 1966, ma non mi resi conto di cosa fossero quegli appunti: non parlavo polacco. Due anni dopo, mio marito, sempre più ammalato e stanco, iniziò a introdurmi alle questioni legate all’ ‘amministrazione della sua fama’, cioè a come occuparsi delle sue opere. Mi insegnò a leggere i contratti con gli editori, come sbrigare la corrispondenza. Fu allora che mi mostrò una cartella con il manoscritto di Kronos. Mi disse: ‘Se scoppiasse un incendio, agguanta Kronos e i contratti e scappa, il più rapidamente possibile’. Si rendeva conto che, essendo ammalato di asma, non sarebbe stato in grado di salvare nulla. Fu allora che compresi quanto fossero importanti per lui quegli appunti”.   

 

Se il Diario di Gomrowicz è una sorta di autocreazione artistica, Kronos ci fa conoscere la materia sulla quale si basò quell’autocreazione. Qui si vede chi era lui davvero. Ed è interessante confrontare, alla medesima data, i fatti raccontati nel Diario e in Kronos, perché si coglie bene lo scarto tra la descrizione secca di fatti e sentimenti e la potente macchina letteraria messa in atto (nel Diario) per dare di sé una rappresentazione “adeguata alle sue aspirazioni”. Anche per questo, il volume (arricchito da molte foto e note esplicative) è una lettura ricca di sorprese.

 

Questo articolo è apparso su la Domenica de Il Sole 24 Ore del 19 maggio 2013

 

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