giovedì 10 dicembre 2020

I Cimenti Dell'agnello - Gavino Ledda

nel libro ci sono racconti, poesie, lettere, e non solo, un collage che cattura chi legge.

non è un libro facile, per chi è abituato a trovare quello che cerca, qui si fa un salto senza rete, chi scrive non è un autore classificabile, cantore di un mondo lontanissimo, occorre entrare dentro un territorio sconosciuto, per quasi tutti.

non tutto potrà piacere, non su tutto si sarà d'accordo, ma ogni pagina sarà una scoperta, un'avventura.

cercatelo, qualche biblioteca, se non è chiusa, ce l'ha ancora.

buon viaggio, 



 

Un’impressione che il tempo dovrà confermare è di essere di fronte, con I cimenti dell’agnello, a uno dei fatti linguistici più rilevanti degli ultimi decenni. È questo lo stesso Gavino Ledda di Padre padrone in cui la lingua dei sardi era prima di tutto l’arma della contestazione? Lo stesso del capitolo La pecora e la sua vita, qui accolto, dove il registro antropologico si mescolava a quello autobiografico in una simbiosi perfetta tra l’animale e il pastore? Certamente sì, è lo stesso contestatore, uomo di crucci e di assalti, armato di sacrosanto furore (il tema della hybris).
Eppure è sempre più chiaro che per Ledda la lingua sarda non è stata semplicemente un’esperienza d’identità, un modo di verificare nella parola la vita biologica, ma il trampolino di lancio per un’avventura infinita. Basta passare – tra i racconti realistici d’apertura – da Gli acchiappati del 1977 a Le canne amiche del mare dell’anno successivo, e vedremo questa lingua allargarsi su se stessa in un fenomeno di autogenesi che punta alla poesia, dove tutti gli idiomi convivono nell’autonomia delle proprie risorse foniche.
Gavino, che è sempre protagonista, persona e maschera di se stesso, sia quando inventi una mitologia fatta di giochi d’acqua, sia quando dia fiato ai suoi dissensi accademici, si trasforma in un astrale Arlecchino, in un Ruzante grandiosamente epico, in un Cavalier Marino tutto musica. A quelle temperature si brucia la tradizione di oralità che è uno dei punti fissi della sua poetica, oppure cresce la selva mitologica della “sinfonia drammatica”, Zanne di terra, di una densità simbolica oggi senza riscontro.

da qui

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