mercoledì 27 aprile 2022

MISTERI DELLA CARTOGRAFIA ANTICA – Antonio Mattera

 

 

Articolo postato su www.acam.it

 

Sinossi

 

1492: siamo su una caravella veleggiante nell’Atlantico; nella cabina del comandante un uomo, dai tratti austeri e decisi, studia per l’ennesima volta le carte in suo possesso.Quest’uomo è Cristoforo Colombo e tra pochi giorni passerà alla storia come lo scopritore del continente americano. Sa che i suoi uomini incominciano ad essere esasperati per questa continua navigazione in un oceano che sembra senza fine, ma dalle carte in suo possesso, in parte ereditate dal suocero, sembra che la fine di quel viaggio sia al termine. Egli è fin troppo sicuro che quelle carte, così anacronistiche per l’epoca, indicanti luoghi e terre mai visti prima di allora (o almeno così si supponeva), non siano menzognere e per infondersi coraggio rilegge la lettera del suo amico Toscanelli, cartografo del tempo, (il quale aveva sottoposto, prima di Colombo, lo stesso progetto al Re di Portogallo) il quale lo consigliava, nel suo viaggio, di far sosta nelle grandi isole che egli chiamava Antilia, dimostrando così di crederci fermamente.

 

1513: un famoso ammiraglio turco, Pirì Reis, è chino sul suo tavolo, nella sua casa di Costantinopoli, intento a ricopiare, su una pelle di gazzella, alcune antiche mappe di cui per molti versi alcuni tratti sono a lui sconosciuti, benché come ammiraglio della flotta turca, avesse avuto ben occasione di navigare nei mari sin allora conosciuti. La curiosità, e forse la capacità di concepire prima di altri che quelle coste e terre disegnate non siano semplici frutti di fantasia, ma piuttosto il retaggio di antiche conoscenze, fanno in modo che egli persegua un fine che alla vista di molti, allora, sembrava da visionario, ma che ai nostri occhi, oggi, diventa uno dei più grandi quesiti, ancorché spesso ignorato dalla scienza dogmatica.

 

1737: quasi due secoli dopo Pirì Reìs, troviamo, questa volta in Francia, un eminente geografo francese, Philiph Buache, intento a ricopiare alcune antiche mappe, che tracciano il profilo di un continente fino allora ( e sino al 1818) ancora sconosciuto: l’Antartide. Quello che non può sapere Buache è che il continente di cui sta tracciando il profilo esiste ma che tali tratti territoriali sono stati i suoi confini all’incirca 13000 anni prima, allorché tale terra era libera dai ghiacci che ora la ricoprono.

 

1959: un anziano professore di Storia delle Scienze, Charles Hapgood, sta studiando, davanti al fuoco del camino del suo studio, nella sua casa nel New Hampshire, alcune antiche mappe; tra le sue mani si trovano infatti le carte di Pirì Reìs, Buache, Mercatore, Oronzo Fineo, ed altre ancora. Ai suoi occhi balza subito la medesima discrepanza presente in tutte questi documenti: esse sono foriere di conoscenze geografiche e cartografiche apertamente in contrasto ai periodi a cui fanno riferimento: le nozioni che rappresentano precorrono di molto il normale progresso geografico e cartografico, così come noi lo conosciamo!

 

Ho voluto lavorare un po’ di fantasia per rappresentare quelli che potrebbero essere alcuni passi importanti nella conoscenza di alcuni dei più straordinari reperti “fuori posto” che spesso sbucano all’improvviso, quasi a voler sconvolgere l’ordine naturale delle cose e della storia così come noi la conosciamo. Ma tengo a precisare che i personaggi da me menzionati e le date sono veritiere ( ho lavorato di fantasia sulle ambientazioni) così come sono assolutamente veritiere, ancorché ignorate dalla scienza, le mappe e i documenti da me citati, e che saranno l’argomento di questo trattato, ovvero le mappe ” impossibili”.

Perché impossibili? La motivazione di questa terminologia credo di averla già chiarita nelle righe precedenti, quindi credo che sia molto più semplice affrontare questo argomento scendendo nei particolari di alcune di queste carte. Sembra ormai accertato che le Americhe siano state raggiunte, prima di Colombo, dai Vichinghi, le cui tracce risulterebbero in un insediamento sull’isola di Terranova, e lo stesso Heydal, un avventuroso esploratore dei giorni nostri, ha dimostrato che le antiche navi potevano benissimo intraprendere un viaggio oceanico.

 

Sembra anche che, molto probabilmente, Fenici e Cartaginesi (e persino i Greci) conoscessero tali rotte e intraprendessero rapporti commerciali con i popoli di tali terre (potrebbero essere così spiegate le tracce di cocaina, prodotto originario del America meridionale,. su alcune mummie egizie (altro cover-up)) e che per difendere tali conoscenze procedessero all’affondamento di tutte le navi straniere che osavano attraversare l’allora confine del mondo conosciuto, le famose Colonne di Ercole (lo stretto di Gibilterra), o addirittura, allor quanto si accorgevano di essere seguiti, arrivassero all’autoaffondamento. In più, numerose leggende di mari impraticabili e mostri orrendi scoraggiavano vieppiù gli altri ardimentosi.

 

L’ammiraglio cartaginese Imilcone parla di un ”mare impraticabile, pieno di alghe et immoto…dove vento non soffia e le navi diventano putride ( forse un allusione al Mar dei Sargassi, noto per le alghe che coprono la sua superficie e da cui prende il nome, e per le sue bonacce interminabili?)…mentre mostri marini nuotano intorno alle nostre navi…”. Questo potrebbe spiegare come mai il continente americano ed alcuni gruppi di isole (le Antilie, identificabili con Cuba, Haiti, Bermuda etc) fossero di dominio pubblico su alcuni portolani antecedenti la scoperta di Colombo.

Ci sono tuttavia altri elementi che sembrerebbero provare la possibilità che queste rotte fossero conosciute e battute da una razza di navigatori assai più antica e noi completamente sconosciuta Uno dei punti in discussione è la capacità, da parte dei compilatori di tali mappe, di rappresentare un continente, l’Antartide, sconosciuto sino al 1818, ed in condizioni di disgelo, effettuatisi per l’ultima volta non meno del 4000 a.C., agli albori della storia a noi conosciuta.

La capacità rappresentativa di tali terre e il loro posizionamento preciso, dovuta ad un’effettiva conoscenza dei concetti di latitudine e longitudine, qual cosa che implica una conoscenza scientifica e strumentaria cui noi siamo arrivati negli ultimi tre secoli, implica un’altra domanda: se l’Antartide è stata rilevata e cartografata tra il 13000 e il 4000 a.C., quale popolo è stato capace di codesta impresa, allorché i popoli più evoluti da noi conosciuti ( Egizi, Sumeri, Babilonesi, Greci e Romani) erano allora in uno stadio che definire primitivo è molto riduttivo? Ma andiamo ora all’esame di queste carte.

 

La carta di Pirì Reis.

Il 2 novembre 1929, durante il lavoro di catalogazione degli oggetti appartenenti al Museo Topkapi di Istanbul, venne ritrovata una carta geografica, in due pezzi, che lasciò esterrefatti gli studiosi. Quella carta è oggi nota come “carta di Pirì Reis”, dal nome del suo autore, Pirì Reis Ibn Haja Mehemet. Pirì era un uomo di incredibile cultura (conosceva il greco, l’italiano, lo spagnolo ed il portoghese) ed uno stimato cartografo.

Disegnò la mappa in questione nel 1513, collezionando numerose carte antiche, tra cui una venuta in possesso tramite un marinaio di Colombo, catturato da Kemal Rais, zio di Pirì. Ma che cosa ha di tanto speciale questa mappa? La carta di Pirì ha suscitato l’attenzione di molti ricercatori, poiché è forse la più strana ed incredibile delle cosiddette “mappe misteriose”, cioè carte geografiche che raffigurano territori inesplorati ai tempi in cui vennero disegnate.

La carta di Pirì raffigura gran parte della penisola iberica, una piccola porzione della Francia, una vasta parte dell’Africa nordoccidentale, le coste dell’america centromeridionale ed un tratto del litorale antartico. Ebbene, nel 1513, molte di queste regioni erano completamente sconosciute, come mostra un esame della cartografia coeva. Dell’Antartide, la carta di Pirì rappresenta la Penisola di Palmer, la Terra della Regina Maud e parecchi picchi subglaciali, al largo delle coste, riconosciuti come tali solo nel 1949 da una spedizione organizzata da Norvegia, Svezia e Gran Bretagna. Lo stesso continente antartico fù scoperto solo durante il XIX secolo (1820).

La carta raffigura inoltre, con relativa precisione, altre regioni dell’Antartide che non potevano essere in alcun modo note nel ‘500, poiché ricoperte da ghiacci, e che fu possibile cartografare solo nel 1958 nel programma di ricerche organizzato dall’Anno Geofisico Internazionale:. Tra le diverse miniature che corredano la mappa,è possibile distinguere, accanto alla Cordigliera delle Ande, un lama ed un puma. Questi animali e la stessa Cordigliera dovevano essere, all’epoca di Pirì, completamente sconosciuti, poiché l’esplorazione del sistema andino iniziò soltanto dopo il 1531, quando Pizzarro mosse alla conquista dell’impero Inca.

Tutto questo sarebbe spiegabile solo ammettendo che l’America e le coste dell’Antartide fossero già state esplorate in tempi remoti e che antichi cartografi ne avessero realizzato mappe dettagliate. Ma ciò non fa che infittire il mistero: l’ultima volta che l’Antartide sarebbe stata possibile rilevarla e cartografarla priva di ghiacci, risalirebbe a circa 15000 anni fa: Quale civiltà poteva esistere a quell’epoca, in cui storicamente si colloca l’uomo di cro-Magnon? In un suo memoriale, intitolato Bahriye, Pirì afferma che Colombo conosceva l’esistenza dell’America ancora prima di esserci stato, poiché in possesso di antiche mappe che la mostravano, e che avesse usato queste stesse mappe per convincere la regina di Spagna a finanziare la sua impresa. Pirì aggiunge che Colombo vi giunse portando perline di vetro poiché sapeva che gli indiani erano attratti da questo genere di ninnoli.

 

Sempre secondo Pirì, non solo Colombo aveva raggiunto l’America, ma anche i Vichinghi, S. Brindano, Nicolas Giuvan, Antonio il Genovese, ed altri ancora. La carta fù oggetto di studio, nel XX secolo, da parte dello studioso Charles Hapgood, la quale per confermare le proprie impressioni, la sottopose allo studio dell?USAF, l’ente aeronautico militare degli USA. La loro risposta fù strabiliante in quanto essi stessi asserivano, in una nota inviata ad Hapgood, che era inspiegabile l’esistenza di tale mappa, in quanto riportante elementi non conosciuti all’epoca di Pirì Reis o di qualunque altra civiltà, a noi conosciuta, di epoca antecedente. Ciò costrinse Hapgood a rigettare l’idea che la mappa derivasse da sunti Vichinghi, in quanto, seppur essi fossero mai giunti, prima di Colombo, nelle Americhe, non avrebbero potuto rilevare il continente Antartico, in un’ eventuale altra spedizione, così come era stato disegnato, cioè senza ghiacci.

Non è nemmeno possibile che sia stato il marinaio di Colombo, catturato dallo zio di Pirì Reis, ad informare lo stesso Pirì in maniera tanto dettagliata, poiché, al ritorno della sua quarta spedizione (1504) Colombo aveva esplorato soltanto le coste dell’Honduras, Costarica, Nicaragua e Panama. Hapgood conclude che doveva esserci stata un’antica civiltà di re dei mari, con conoscenze marittime, geografiche et astronomiche, estremamente sviluppate e poi andate perdute.

 

La carta di Charles Hapgood

Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbattè in una raffigurazione del 1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, “Mappamondo di Oronzio Fineo”.

Tale mappa è il risultato di copiature di numerose carte “sorgenti” e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva di ghiacci. In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e posizionato, geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.

Il mappamondo di Fineo sembra essere un’altra prova convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del continente australe e lo ritrae in un’epoca corrispondente alla fine dell’ultimo periodo glaciale. La carta mostra anche numerosi estuari, insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il Beardmore e lo Scott.

I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a sostegno della tesi che l’Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C. l’Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.

 

La mappe di Mercatore e Buache

Chi erano Gerardo Mercatore e Philiphe Buache? Mercatore, conosciuto ancora oggi per la proiezione cartografica che porta il suo nome, fu un insigne studioso della sua epoca, tanto che la sua voglia di sapere lo portò, nel 1560, ad avventurarsi in Egitto per visitare la Grande piramide e ad accumulare testi antichi per la sua biblioteca personale.Nel suo “Atlante” rappresentò il continente australe, (questo nell’anno 1569, e ricordiamo che il continente antartico fu scoperto solo nel 1818): alcune parti identificabili di tale continente sonoCapo Dart, il Mare di Amundsen, l’isola Thurston, le isole Fletcher, l’isola di Alexander I, la penisola Antartica di Palmer, il Mare di Weddel, la Catena Regula, la Catena Mühlig-Hoffman, la costa Principe Harald, e la Costa principe Olaf.

Buache era un geografo francese del XVIII secolo.La sua carta ha una peculiarità unica: rappresenta, perfettamente, il continente antartico completamente privo di ghiaccio.

Ricordiamo che la topografia subglaciale di tale terra fù possibile solo nel 1958. Il canale navigabile che sembra dividere in due il continente esisterebbe realmente se non fosse ricoperto dai ghiacci eterni, quindi dovremmo dedurre che le carte originali, cui dovette fare riferimento Buache per la compilazione della sua mappa, erano antecedenti di millenni rispetto alle fonti a cui avevano attinto Mercatore, Fineo, Pirì Reìs.

 

Conclusioni

Cosa aggiungere di più a quanto già detto? Le vicissitudini che hanno passato i documenti antichi nel corso dei secoli (basti ricordare che uno sceicco usò i testi della biblioteca di Alessandria, forse la più importante e fornita, nell’antichità, per fornire di combustibile i bagni pubblici della città, sostenendo che se quei testi contenevano insegnamenti contrari a quelli del Corano, erano da condannare per empietà, mentre se tali testi si confacevano al Corano, inutili in quanto bastava lo stesso Corano. Oppure ricordiamo le distruzioni di testi maya, perpetrati, in nome della fede cattolica, dal vescovo Landa in Messico.), bastano a spiegare la mancanza di documenti risalenti ad un’antica civiltà, precursore di tutte le altre. Inverosimilmente vi sono testi che citano tali documenti. Ecco, queste strane mappe, ricavate da documenti originali molto più antichi, potrebbero essere l’unica prova, tangibile, di un passato, di una storia, di una gloria, che fù, e a cui la scienza dogmatica, intransigente, nega l’opportunità di rivelarsi appieno, celandosi dietro un imperioso no-comment o addirittura ignorando impassibilmente questi frammenti di storia antica che ogni tanto si riaffacciano, quasi a voler sfidare la stessa scienza, beffardamente, ponendoci nuovi quesiti e attendendo nuove risposte.

 

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