lunedì 28 luglio 2014

L’indifferenza di Israele - Gideon Levy

Il totale, aggiornato al 23 luglio, è di 155 bambini. La mattina ne sono morti altri tre. Dieci bambini al giorno, in media. Secondo le Nazioni Unite il numero supera quello delle vittime tra i combattenti di Hamas. L’Al Mezan center for human rights ha pubblicato una lista con i nomi di 132 bambini uccisi, mentre il quotidiano britannico The Telegraph ha pubblicato un “grafico della morte” con i nomi dei bambini, la data di morte e la loro età. La tabella comprende neonati, bambini e ragazzini. Ogni bambino e il nome che gli avevano dato i genitori. Bitul, quattro anni; Suhila, tre anni; Bissan, sei mesi; Siraj, quattro anni; Nur, due anni. Sono i nomi dei bambini della famiglia Abu Jama, nella quale sono morte 25 persone.
Il grafico non mente. L’operazione Margine protettivo è in realtà la replica dell’operazione Piombo fuso e la supererà in termini di orrore e morte. Il grafico non è stato diffuso in Israele, e nessuno si preoccuperà di farlo. Non c’è posto per questa conta, siamo in guerra. La colpa dei morti palestinesi è di Hamas. I piloti dell’aviazione israeliana non volevano uccidere i bambini.
In ogni caso non c’è nulla da temere: se mai qualcuno dovesse pubblicare il grafico scatenerebbe soltanto l’indifferenza di un’opinione pubblica indottrinata. Forse addirittura la gioia, per quanto sia difficile da credere. “Anche Hitler è stato un bambino” si legge su un muro vicino all’ingresso di Netivot.
Sul sito internet “Walla!” si trovano una serie di commenti in risposta a un articolo sulla morte di quattro bambini sulla spiaggia di Gaza. Shani Moyal: “Non me ne frega niente della morte dei bambini arabi. Peccato che non siano stati di più. Ben fatto”. Stav Sabah: “Queste sono immagini bellissime. Mi rendono felice. Non smetterei mai di guardarle”. Sharon Avishi: “Solo quattro? Peccato. Speravamo fossero di più”. Daniela Turgeman: “Ottimo. Dobbiamo uccidere tutti i bambini”. Chaya Hatnovich: “Non esiste un’immagine più bella di quella che mostra i bambini arabi morti”. Orna Peretz: “Perché soltanto quattro?” Rachel Cohen: “Non chiedo la morte dei bambini di Gaza. Chiedo che bruciate vivi tutti gli arabi”. Tami Mashan: “Devono morire più bambini possibile”.
Dai nomi e dalle foto si capisce che tutti i commenti sono stati scritti da donne. Fanno la spesa nei negozi sotto casa vostra. Frequentano lo stesso cinema che frequentate voi, vanno in vacanza dove andate voi. Sono israeliane. Nessuno pensa di licenziarle, come invece fanno con gli arabi e i simpatizzanti di sinistra. Nessuno le condanna. Nessuno le attacca o le minaccia. Sono normali, almeno secondo la legge israeliana, la stessa che considera la compassione un tradimento e la bestialità un’espressione di patriottismo.
Ma perché incolpare le donne e i loro commenti? Ascoltate le parole dei generali, dei politici e degli analisti. Dicono le stesse cose, usano solo toni un po’ meno aggressivi.
Parole così perfide non si sentono in nessun altro paese del mondo, ma neanche le dichiarazioni più estreme rendono giustizia all’atmosfera che si respira in questo momento. Sono pochi gli israeliani che pensano ai 155 bambini morti e li considerano per quello che sono: bambini. Non vogliono immaginarli. Non vogliono pensare al loro destino, alla loro triste vita e alla loro morte.
I soldati israeliani combattono e muoiono a Gaza, e la gente ha paura per loro. È umano e naturale. I razzi, intanto, continuano a cadere. Ma accanto alla paura emerge una completa assenza di compassione per le vittime dell’altro schieramento. Anche per i bambini, che muoiono a decine e segneranno un nuovo record di vergogna persino in una storia vergognosa come quella israeliana.
Le immagini che arrivano da Gaza dovrebbero sconvolgere tutti gli israeliani. Forse anche gli abitanti di Gaza festeggerebbero la morte dei bambini israeliani, ma non possiamo saperlo perché per fortuna non è accaduto. Se assistessimo a una reazione di questo tipo saremmo giustamente disgustati. Ma intanto continuiamo a ignorare il massacro dei bambini palestinesi, giorno dopo giorno. O addirittura lo celebriamo. Dopo tutto, “anche Hitler è stato un bambino”.

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