venerdì 25 novembre 2016

Bene gli scambi commerciali con la Cina. Ma non dimentichiamo Weiwei - Giorgio Todde


Molto ricche le riflessioni del sinologo Gian Luca Atzori. Ho imparato molto dal suo ottimo scritto.
Però lo ritengo amnesico, addirittura monco sul tema grande delle libertà fondamentali in Cina, forse perché – ho riflettuto – lo stesso Gian Luca, il quale campa a Pechino, potrebbe avere qualche difficoltà dall’affrontarlo apertamente.
Noi qua, invece, difficoltà non dovremmo averne.
Compreso chi con la Cina combina affari leciti e onesti.
Non compreso, al contrario, chi stabilisce rapporti politici, anche questi ovviamente legittimi. Nella relazione politica è insito l’obbligo di ricordare alcuni aspetti drammatici di quella realtà sconfinata.
Ognuno di noi dovrebbe ricordare il dovere di difendere chi diritti non ne ha e magari è stato perfino convinto di non possederne.
È impossibile dimenticare – lo cito tra tutte le dolorose invocazioni cinesi – il grido metaforico di “Ai Weiwei libero” che arriva da tante parti del pianeta.
La condizione dell’eroico Weiwei è una metafora perfetta di quella realtà orientale di cui nessuno in questi giorni ha parlato in Sardegna. Tutti presi da menù, dolci sardi, latte da esportare e turisti da importare. Attività, s’intende, legittime e, con misura, augurabili.
In tutto il pianeta le mostre e i filmati del valoroso Weiwei, che ha fuso con perfezione orientale vita e arte, raccontano orrori. Perseguitato con crudele precisione dal regime sin dal 1989. Ottantun giorni di carcere nel 2011 in un luogo segreto, il tentativo di deprogrammazione cerebrale con mezzi atroci, una guardia presente sempre, anche nei momenti più intimi. Il suo studio abbattuto con le ruspe e molti altri sistemi di persecuzione. Sorveglianza continua. Infinite forme quotidiane di tortura.
E Weiwei viene in mente, almeno per assonanza, quando si legge che un rappresentante del Governo della nostra isola va nella sede di Huawei – tanto più che privata non è ma, a forte partecipazione dello Stato – per procurare affari.
Una cosa legittima e trasparente e grande occasione di collaborazione tramite il nostro CRS4.
D’altronde si sa che il denaro non ha un odore riconoscibile. Ma si sa pure che Shenzhen è una città fenomenale cresciuta in modo per noi incomprensibile nell’arco di 30 anni. Da borgo di pescatori con poche decine di migliaia di abitanti ad area industriale di oltre dieci milioni di persone. Altro che lo spaesamento di cui parlano gli antropologi, altro che shock sociale. Una migrazione biblica decisa dal governo nel 1978, un mondo anche simbolico non decriptabile.
E ancora, insieme a Weiwei – che è perseguitato nella sua terra dove resiste al supplizio con sublime pazienza buddista e lo volge in bene – vengono alla mente i giornali cinesi censurati e diretti dal Dipartimento della Propaganda. Il web controllatissimo. L’assenza di giornali stranieri nella distribuzione. Padroni dell’informazione, il sogno di ogni regime.
In Italia non va bene sotto questo aspetto, ma in Cina va peggio.
Viene alla mente l’inquinamento intollerabile e privo di regole – ah, quanto ricorda l’intolleranza alle regole di tanti altri Paesi, il nostro compreso – che crea una nube perenne sulla Cina. E chissà quando e come si stabilirà il limite.
Viene alla mente l’acquisto di milioni di chilometri quadri da coltivare in base al principio che chi è padrone del cibo è padrone del mondo. Lo chiamano Landgrabbing ed è l’accapparramento di suoli agricoli da parte di multinazionali. Nella nostra isola ne abbiamo un assaggino. Le serre fotovoltaiche di Narbolia per coltivare roba che crescerebbe da sola sono di proprietà cinese.
Viene alla mente la negazione di molti diritti umani. Viene alla mente un paese dove la pena di morte è mostruosamente praticata. Un paese dove le donne ricevono trattamenti intollerabili come la sterilizzazione forzata.
Ora, questo premesso e mai, ma proprio mai dimenticato, si sa che parliamo di un grande popolo e di una complessità alla quale non possiamo forse accedere con le nostre teste dure. Oltretutto la presenza cinese intorno a noi è prevalentemente produttiva e operosa. E una vaghissima idea di quanto differente sia l’etica del lavoro cinese ce la siamo fatta, nel nostro piccolo, anche noi.
Però la Foxconn con i suoi ritmi di lavoro e i dipendenti suicidi è una realtà incancellabile. Il lavoro a Prato è una realtà. Che i cinesi “non muoiano mai” perché il sistema è misterioso e incontrollabile è un’altra inquietante realtà.
In breve, dimenticare oppure omettere, non esercitare la critica e il dubbio e immaginare un mondo fatto solo dagli affari e non anche da diritti, rappresenta un modo parziale e colpevole di considerare le cose e la vita.
Così l’invocazione Weiwei libero, la sua allegorica persecuzione e la sua reazione titanica all’oppressione e alle torture riemergono continuamente. La richiesta di libertà del grande artista rimane senza risposta e senza risposta rimane anche la domanda di chiarezza a chi intrattiene rapporti politici con quell’immenso Paese.
Chiarezza significa – in questo caso – la separazione tra legittimo scambio commerciale (anche quando è così smisuratamente impari) e il giudizio su un sistema inflessibile. Un organismo che sta sovrastando tutti gli altri ma con forme di sfruttamento e di privazione, con un prezzo all’avvelenamento del pianeta che non possiamo ignorare.
Almeno parliamone. Obiettiamo. Dubbi. Domande. Non omissioni e silenzio.

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