mercoledì 30 novembre 2016

Quattro ragioni per gridare No - Francesco Gesualdi


Il 4 dicembre voterò no alla modifica costituzionale, perché è un regalo al mondo degli affari contro i cittadini. L’impegno di banche, assicurazioni, multinazionali e delle loro rappresentanze, per convincerci ad accettarla, né è una riprova.

In sintesi ecco le ragioni per cui a me non piace per niente e a loro, invece, piace così tanto:

Accresce il potere delle lobby
La riforma espropria le regioni di importanti competenze economiche, fra cui le grandi opere e la produzione energetica, per portarle sotto controllo statale. In conclusione per ottenere provvedimenti favorevoli ai propri affari, le grandi industrie di costruzioni e di estrazione energetica, non avranno più da fare anticamera in 20 regioni diverse, ma presso un unico ufficio: quello di Palazzo Chigi. Un unico organismo si condiziona sempre meglio di 20, specie se i partiti che ci stanno dietro sono già sotto scacco perché vivono di contributi elargiti dalle imprese.

Velocizza le leggi al servizio degli affari. 
Salvo poche eccezioni, la riforma riserva il potere legislativo alla sola Camera dei deputati. Il senato ha solo facoltà di commento. In un momento di grandi trasformazioni tecnologiche, le imprese hanno bisogno di rapidi passaggi legislativi per adeguare le norme alla tecnologia che avanza. Del resto la litania la conosciamo: la riforma è per la crescita. Serve, cioè, per creare un contesto attraente per le imprese. E oltre alle riforme per abbattere salari, diritti dei lavoratori, imposte sui profitti, servono leggi rapide per consentire l’uso di tecnologie che rompono con abitudini radicate, con profonde convinzioni morali, con una certa idea di sicurezza, con i rapporti interpersonali. Alcuni esempi sono l’uso dei robot in ambito produttivo e civile, il ricorso sempre più esteso alla bioingegnieria e alla procreazione artificiale, la circolazione dei droni a fini commerciali, le questioni legate a internet. In un contesto tanto amichevole per loro, a destra come a sinistra, le imprese non hanno nessuna difficoltà a fare inserire i loro desiderata nei programmi di governo e garantire automaticamente una corsia di approvazione privilegiata ai loro provvedimenti. Lo stabilisce la norma sul voto a data certa. Ma oltre a nuove regole per l’adozione di nuove tecnologie, le imprese hanno anche bisogno di approvazioni celeri dei trattati internazionali, che ormai si stipulano quasi esclusivamente per creare mercati più vasti e tutelare l’interesse delle imprese contro le leggi che pongono divieti agli affari in nome della salute e dell’ambiente. L’esclusione del Senato dalla ratifica dei trattati internazionali oltre a essere una garanzia di celerità, riduce i rischi di bocciature.

Ignora le peculiarità locali per garantire contesti legislativi uniformi a livello nazionale. 
Riducendo i livelli regionali a meri amministratori di politiche decise a livello statale, la riforma risponde a un’esigenza di fondo delle imprese che è quello dell’omologazione legislativa. Per le imprese è strategico disporre di un unico mercato con uniche regole perché la pluralità di regole, diversificate per territorio, le costringe a una pluralità di strategie produttive, sociali, fiscali, amministrative, che significano aumento di personale e quindi di costi. E’ significativo che anche la sicurezza sul lavoro sia stata riportata sotto controllo statale. Le imprese sognano un mondo con le stesse regole sanitarie, ambientali, sociali, in modo da standardizzare al massimo la produzione e le procedure amministrative. La standardizzazione abbatte i costi, la diversificazione li accresce. In base a questo principio i panini di McDonald’s sono gli stessi da un capo all’altro del mondo. Non a caso le imprese spingono per trattati internazionali che armonizzano le legislazioni nei paesi firmatari, esattamente come vorrebbero fare con il TTIP. La riforma costituzionale è un passo in questa direzione eliminando le diversificazioni in ambito nazionale.

Rende più difficile la partecipazione e la resistenza popolare. 
Lo dimostra la decisione di sottrarre il senato al voto popolare e di riportare un numero crescenti di competenze dalla periferia al centro. Più i centri decisionali si allontano dai territori, più diventa difficile organizzare il controllo e la pressione popolare per opporsi ai provvedimenti dannosi da un punto di vista sociale, sanitario, ambientale. Del resto “la licenza di protestare se vengono proposte modifiche sgradite dello status quo” è uno dei punti che JP Morgan ha messo sotto accusa nel documento del maggio 2013. Ed ecco la richiesta ai paesi del Sud Europa di sbarazzarsi di costituzioni socialisteggianti se vogliono attrarre gli investimenti. Ma a questo punto una domanda si pone: a che serve attrarre investimenti per ottenere nuovi posti di lavoro se dobbiamo pagarli al prezzo della vita e della libertà?

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