giovedì 10 novembre 2016

I miei amici - Emmanuel Bove

opera prima di Emmanuel Bove (e che opera prima!).
la storia di un uomo reduce di guerra, povero, e solo, che ha uno straordinario bisogno di consolazione (usando le parole di Stig Dagerman), vuole essere considerato, vuole essere amico per qualcuno, e cerca sempre amici, con esiti tragicomici.
una cosa straordinaria del libro, del 1924, è la scrittura, leggendolo sembra di essere l'occhio della cinepresa che riprende la storia, la vita, i movimenti, le esitazioni di Victor Baton (in certi momenti proprio come nel film scritto da Samuel Beckett nel 1965 con Buster Keaton).
vogliatevi bene, leggete I miei amici - franz

(grazie ad Antonietta per avermi fatto scoprire questo libro)


inizia così;
"Quando mi sveglio, la mia bocca è aperta. I denti sono unti: lavarli la sera sarebbe meglio, ma non ne ho mai il coraggio. Agli angoli delle palpebre mi si sono asciugate delle lacrime. Le spalle non mi fan più male. Una ciocca di capelli induriti mi copre la fronte. Li butto all'indietro con le dita aperte. È inutile: come pagine di un libro nuovo, si raddrizzano e mi ricadono sugli occhi.
Quando abbasso la testa sento che la barba mi è cresciuta: mi punge il collo.
La nuca tiepida, resto lì sulla schiena con gli occhi aperti, le lenzuola tirate fino al mento perché non si raffreddi il letto.
Sul soffitto ci sono macchie di umidità: è così vicino al tetto. Sotto la carta da parati, in certi punti passa dell'aria. I mobili assomigliano a quelli esposti dai robivecchi lungo i marciapiedi. Il tubo della stufa è fasciato da uno straccio, come un ginocchio. In alto, sopra la finestra, un avvolgibile rotto pende di traverso.
Quando mi allungo, sento contro la pianta dei piedi le sbarre verticali del letto, come un equilibrista sulla corda.
I vestiti, che mi pesano sopra le gambe, sono tiepidi e piatti da una parte soltanto. I lacci delle scarpe sono senza punte.
Se piove la camera diventa fredda. È come se non ci avesse dormito nessuno. L'acqua, scivolando per tutta la superficie del vetro, corrode lo stucco e forma una pozzanghera per terra.

Quando il sole sfavilla da solo nel cielo, proietta la sua luce dorata al centro della stanza. Allora le mosche tracciano sul pavimento mille linee rette..."






Sono arrivata a questo libro su consiglio di Vila-Matas e di Wim Wenders.
Vila Matas ne Il dottor Pasavento dedica parecchie pagine a Bove, accostandolo in qualche modo a Walser : “Non gli piaceva farsi vedere, voleva passare inosservato. E al pari dello svizzero Walser, aveva una profonda allergia per tutte le forme di magniloquenza. A questa etica della scomparsa in vita, Bove affianca uno stile che consiste, secondo quanto ne disse Artaud, nel rifiutarsi di fare letteratura, fuggire da tutto ciò che era letterario e dalle sue servitù, a cominciare dalla maggiore di tutte, quella dello stile”.
E tanto basta per incuriosirmi.
E poi scopro che Wim Wenders, nel corto del 1982 Reverse Angle. A letter from New York , passeggia per la città con una copia di Mes Amis in mano, o nella tasca della giacca, mentre un vinile suona Turquoise Days di Echo & The Bunnymen, o forse Talk Talk Talk dei Psychedelic Furs.
E così ho letto il libro, che è la storia di un giovane uomo solo e povero, che, nella speranza di dare e ottenere amore, si dedica un po’ ossessivamente all’antieconomica pratica della flanerie in una Parigi post-bellica (la Grande Guerra) cinica e disincantata…

Questo breve e perfetto romanzo di Bove è un’elegia triste, una sonata patetica; possiede l’equilibrio e il rigore della poesia e della musica e li raggiunge per mezzo di una scrittura preziosamente dimessa, volutamente monocorde, splendida nel suo assoluto rifiuto dell’effetto, nella sua volontà di rimanere ancorata ai dettagli per utilizzarne l’alfabeto e la voce. E’ l’elegia di Victor Baton che canta la sua solitudine e la sua povertà, che lo disgustano, e i suoi vani tentativi di avere degli amici, di lavorare, semplicemente di vivere, in un lungo racconto monologante che rende conto sostanzialmente di una serie di fallimenti che non possono che condurre alla disillusione, già presente in nuce, come un destino, fin dalla prima pagina. Bove permette ai lettori di scrutare la miseria e la solitudine, la povertà materiale e la ben più desolante mancanza di rapporti umani, fin nelle loro viscere più profonde, accompagnandoli, attraverso una storia semplice ed esemplare, a toccare quasi con mano le minutaglie, gli scarti, le briciole che pure, tutti insieme, possono comporre la vita di un uomo…

Una delle storie più struggenti e dolorose del novecento letterario europeo: un uomo, invalido di una mano a causa della prima grande guerra, per la quale disabilità ha ottenuto una piccola pensione, gira per le strade di Parigi cercando inutilmente un’amicizia per rendere meno triste e spaventosa la sua esistenza.
La solitudine mi pesa dice il protagonista, Victor Baton, all’inizio di una sua disavventura: perché quel che vive, nonostante un’investigazione straziante dei rapporti umani, son solo fondi dell’esistere…

chi da un romanzo si aspetti azione, artifici fantastici, sintassi amorose, precipizi della mente e quant' altro, se ne tenga alla lontana. Bove dà il meglio di sé quando racconta che cosa accade quando non accade nulla. Entrai in un bar. Un vapore leggero scappava fischiando da una macchina di caffé nichelata. Un cameriere, avvolto in un grembiale bianco, asciugava con un panno l' impronta dei bicchieri sui tavoli rotondi. I cucchiaini risuonavano nelle tazzine spesse come monete false... Quattro donne fumavano. Le loro camicette erano tinte a mano col colorante in bottiglia. Una di loro aveva uno di quei cappotti su cui si soffia per sapere se è di lontra. La filosofia di Bove è questa, dura e semplice: le cose sono come sono. E l' unico modo di stare al mondo è quello indicativo. Di fronte al disordine della realtà è inutile protestare, reagire. Meglio scegliere la strategia della rinuncia. E dedicarsi alla contemplazione delle magiche, istantanee apparizioni di cui è colmo il teatrino del mondo. Quei momenti in cui la vita, non ancora formata, è già sul punto di dileguarsi: Finalmente apparve nuda. Le sue coscie traboccavano sopra le giarrettiere. La colonna vertebrale le ammaccava la pelle all' altezza dei reni. Era vaccinata sulle braccia. Persi la testa. Dei brividi mi corsero lungo il corpo, simili a quelli che scuotono le gambe dei cavalli. Guardare e ascoltare

Questo breve romanzo è un gioiello prezioso.
E’ il primo romanzo di Bove, scritto in gioventù, pubblicato nel 1924. Ebbe molto successo, di pubblico e di critica. Bove scrisse poi altri romanzi apprezzati, ma morì piuttosto giovane e fu dimenticato dopo la sua morte; recentemente riscoperto grazie all’interesse di Peter Handke che lo ha tradotto in tedesco. Da allora, Mes amis è tornato ad essere un romanzo di culto. E’ ora che venga riscoperto come merita anche in Italia.
Mes amis: un giovane reduce dalla grande guerra, con una piccola invalidità che gli permette di sopravvivere miseramente con una piccola pensione di guerra. Vagabonda per le vie di Parigi, fantasticando, riflettendo, introspettivo, ingenuo, timido, sporco e malvestito, solo. I lungosenna, le osterie, le camere ammobiliate, i bordelli, le panchine dei parchi, il volto di una ragazza sconosciuta nella folla. E’ una versione parigina del Sognatore di Dostoevskij. E poi richiama alla mente Rimbaud, Dylan Thomas, Sergej Esenin, Knut Hamsun e Rilke (quest’ultimo era in effetti amico di Bove). I giovani poeti raminghi e solitari!
Un romanzo che ho letto in e-book ma che sarebbe bello possedere in una pubblicazione antica, un libriccino ingiallito, la copertina decorata da un motivo a cornice, il segnalibro di seta. Una delle cose più romantiche che abbia mai letto.
da qui

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