lunedì 13 giugno 2022

La scuola sta morendo

I pedagogisti sono utili? - Vincenzo Costa


Non bisogna fare di ogni erba un fascio. Il mondo della pedagogia italiana è vario, ci sono pedagogisti con un buon senso della realtà, dentro la cosa stessa. Ma la pedagogia nel suo insieme è diventata un problema, teorico e pratico.

Teorico perché pesca e si fa guidare di volta in volta dalle mode: il marxismo, la psicanalisi, le scienze cognitive, le neuroscienze. Usa di volta in volta categorie che durano una stagione per elaborare modi di affrontare il problema scolastico. I risultati da trent’anni sono devastanti.

Stiamo perdendo la capacità di formare, di trasmettere, travolti dalla didattica, da questa idea, opinabile e controversa, secondo cui il problema dell’insegnamento si supera con la tecnica, sia un problema tecnico, e la tecnica qui si chiama “didattica”: la classe rovesciata e gli infiniti altri metodi escogitati per aggirare il problema semplice: la scuola non coinvolge, ha perso la propria capacità di formare, cioè di permettere alla vita di prendere forma.

Il problema è la necessità di una riflessione pedagogica che metta in discussione tutti questi assunti, cioè se stessa. Difficile che lo faccia, la situazione è sclerotizzata in “scuole”, persa nel politicamente corretto accademico. L’esigenza resta.

I pedagogisti possono non cogliere la sfida, ma a studenti, insegnanti e famiglie le cose sono chiare: la pedagogia e la didattica (come disciplina accademica) sono ormai il problema della scuola.

Come possono essere utili se sono il problema? La pietra di inciampo? Se sono ciò che produce malfunzionamento? Se invece di eliminare le disfunzioni sono esse per prima ad essere disfunzionali?

Poi c’è un problema pratico. Il ministero è praticamente occupato dai pedagogisti, una sorta di occupazione militare. Il ministro Bianchi non è caduto dal cielo, si sviluppa entro una logica. E a guidare questa occupazione è un’impostazione demenziale, aziendalistica. I peggiori sono quelli che fanno capo alla fondazione agnelli.

Alcuni di questi campioni si sono distinti durante il lockdown, che per loro fu un’occasione ghiotta per imporre il loro mito (e la loro fonte di introiti): la dad.

Non c’era verso di farli ragionare. Loro sono il progresso, la tecnica.

Sappiamo che fu follia, che ha prodotto danni gravi su una generazione, e non solo dal punto di vista dei contenuti formativi, ma della crescita e della salute mentale.

Sono quelli delle competenze, quelli che trasformano esigenze anche in parte condivisibili, ma da usare con prudenza, in bandiere per lotte di potere, come strumenti ideologici.

In una società della conoscenza la formazione è il nucleo della società, quello formativo diviene un sistema-guida rispetto agli altri sottosistemi. Non lo stiamo capendo, mentre lo capiscono i ragazzi, gli insegnanti.

Stiamo perdendo su vari fronti, nel trasferimento di conoscenza, nella capacità di tramettere contenuti e l’abilità di orientarsi nel mondo.

Soprattutto stiamo perdendo le nuove generazioni.

Bisogna cambiare, e non solo ministro, che è pessimo di suo. Bisogna cambiare l’intera struttura ministeriale. Va azzerata.

Se non si fa questo lo sfacelo non avrà fine.

da qui



“Riforma Bianchi, un’umiliazione per gli insegnanti” - 

Gruppo La nostra Scuola Associazione Agorà 33


Appello di un gruppo di docenti ai sindacati: “Vi chiediamo di fare fronte unico contro questo ennesimo scempio della scuola e del lavoro dei docenti italiani, per il bene dei futuri cittadini”.


 

Cari sindacati,
scriviamo questo appello affinché l’ennesima apodittica e improvvisata riforma della scuola non si trasformi in una vera e propria umiliazione per i docenti italiani e, cosa ancor più grave, in una catastrofe educativa e culturale per gli studenti.

La bozza della riforma prevede, tra le altre cose, la cosiddetta “formazione continua incentivata”, che vorrebbe legare la progressione stipendiale dei docenti alla loro volontaria partecipazione a percorsi di formazione professionale i cui contenuti e le cui procedure di superamento sono rigidamente stabiliti a livello centrale o a livello di istituzione scolastica. La riforma prevede anche la modifica delle modalità di reclutamento del personale docente, dove l’unica vera novità introdotta è l’ulteriore squalifica della preparazione culturale dei docenti a vantaggio del loro precoce indottrinamento alle metodologie didattico-aziendalistiche di Stato. Entrambe le misure sarebbero in continuità e funzionali agli obiettivi previsti dal PNRR, che è il vero motore di questa scellerata riforma.

Noi riteniamo che una simile impostazione sia un insulto rispetto a tre questioni di centrale importanza: l’ampio dibattito parlamentare ed extraparlamentare su cui si deve fondare una qualsiasi riforma di un’istituzione così importante come la scuola; la libertà di scelta delle metodologie didattiche, in coerenza con l’articolo 33 della Costituzione; il diritto dei docenti ad avere uno stipendio più dignitoso indipendentemente da qualsiasi ulteriore requisito, in coerenza con tutta la retorica (vuota) che da tempi immemori informa questo tema.

La prima questione si pone poiché in realtà questa riforma è stata furbescamente inglobata all’interno del PNRR che è figlio di un’emergenza che nulla ha a che vedere con la scuola; si è soppressa così ogni possibilità di dibattito pubblico su un tema che invece ne dovrebbe usufruire ampiamente, visto che riguarda tutta la società e il suo stesso futuro democratico.

La questione della libertà di insegnamento si pone prepotentemente poiché, dopo decenni in cui la riduzione dei contenuti culturali nei programmi scolastici a vantaggio di metodologie spesso vuote e fini a se stesse è stata imposta de facto (attraverso la riduzione del tempo scuola dovuta alle classi pollaio e alla messe di attività extracurricolari che invadono i PTOF), ora questa degenerazione viene imposta su basi ancora più esplicite. L’anticipazione della formazione professionale già al periodo universitario e la successiva formazione continua incentivata, determineranno inevitabilmente la riduzione della preparazione culturale dei futuri docenti – poiché i contenuti culturali saranno sostituiti dall’indottrinamento su metodologie astratte di insegnamento – e mineranno alla base la loro possibilità di porsi agli studenti come figure di riferimento culturali, motivate e motivanti allo studio e alla crescita culturale e umana; con la triste (e voluta) conseguenza che i docenti non potranno che fondare la loro identità professionale su un cumulo di attestati che certificheranno solo la loro capacità di scimmiottare metodologie didattiche decontestualizzate e il loro grado di sottomissione ideologica alla non-scuola aziendalista, da esecutori passivi di metodologie burocratizzate più che da intellettuali ed educatori in grado di guidare gli studenti con umanità e cultura.

Riteniamo che la metodologia didattica da adottare in ciascuna lezione non possa e non debba essere imposta da regole astratte e scollegate dalla disciplina e dalla realtà educativa in cui opera il docente; piuttosto, essa deve essere di volta in volta scelta, nell’ambito dell’esercizio della libertà di insegnamento, in modo consapevole e responsabile dal docente tra l’ampio ventaglio delle metodologie utilizzabili, proprio allo scopo di garantire che il diritto all’istruzione degli studenti sia esercitato pienamente e in modo ottimale, anche attraverso la scelta della metodologia più adatta al contesto educativo reale. Si deve riconoscere al docente l’autonomia professionale di scegliere le metodologie su cui formarsi e attraverso cui lavorare.

La questione stipendiale è strettamente collegata alla precedente: laddove non arriverà la coercizione ideologica precoce, si confida che arriverà lo stato di necessità. Tra i docenti peggio pagati d’Europa, quelli italiani saranno facilmente spinti ad abbracciare i nuovi percorsi formativi che garantiranno loro una progressione stipendiale accelerata.

Ma non ci saranno solo motivazioni economiche. La non obbligatorietà dei nuovi percorsi creerà di fatto una discriminazione etica (quando non addirittura professionale) tra docenti “allineati” e “non allineati”, che causerà in alcuni un’ulteriore spinta ad aderire anche ideologicamente ai dettami della didattica astratta e aziendalistica. Un’altra distorsione di questa misura è che si lega lo stipendio a una “formazione continua” eterodiretta senza però nessun riscontro sui risultati che tale formazione avrà sugli apprendimenti (risultati d’altra parte difficilissimi da verificare dall’esterno della relazione educativa). La formazione così intesa diventerebbe quindi un fine e non un mezzo, con il conseguente rischio di spreco di denaro pubblico, che nella migliore delle ipotesi sarà destinato ad alimentare un indotto di aziende private ed enti preposti alla erogazione di una formazione di incerta utilità destinata ai docenti, e nella peggiore potrebbe alimentare un vero carrozzone burocratico destinato a produrre inefficaci attestazioni di attività formative. Paradossalmente, si arriverebbe a premiare un docente che si è profuso nei corsi di formazione ma che ha scarsa cultura e scarsa capacità didattica, rispetto a un docente che non ha aderito ai corsi ma che ha un’ottima interazione con gli alunni e un’ottima capacità di trasmettere contenuti e passione. In tal modo si incentiverebbe il docente a mettere al centro dei suoi impegni il suo stipendio e non il suo servizio agli alunni e la sua libertà di insegnamento, nella peggiore tradizione del New Public Management in cui si realizza la sostituzione della motivazione interiore, idealistica, con l’incentivazione economica. Il docente diventa così, più o meno consapevolmente, complice dell’indottrinamento aziendalistico, spinto a tradire la natura della sua professione.

Per tali ragioni, noi docenti del Gruppo La nostra Scuola, vi chiediamo di fare fronte unico contro questo ennesimo scempio della scuola e del lavoro dei docenti italiani, per il bene dei futuri cittadini.

da qui

Nessun commento:

Posta un commento