mercoledì 1 giugno 2022

Sylos Labini su Marx: implicazioni per la politica economica - Massimo Cingolani

 

Su Moneta e Credito, vol. 68 n. 269 (marzo 2015), 81-147

Questo contributo si propone di inquadrare “Carlo Marx: è tempo di un bilancio” (Sylos Labini, [1991] 1994), nell’opera di Paolo Sylos Labini e di ripercorrere il dibattito lanciato da Sylos su Marx nel 1991. L’analisi critica della posizione di Sylos offre anche lo spunto per approfondire alcune questioni teoriche fondamentali, spesso trascurate, nonostante le loro importanti implicazioni per la politica economica.

Il testo che Sylos scrisse nel 1991 su Marx è oggi in gran parte dimenticato. Quando apparve, suscitò critiche e perplessità, specie a sinistra. Alcuni pensarono, forse senza osare dirlo troppo apertamente, che anche i grandi sbagliano. Altri, e in particolare i partecipanti al dibattito sul Ponte, hanno discusso le poste del bilancio di Sylos, contestandone alcune e confermandone altre. La tesi che si presenta è che questo bilancio, stilato poco dopo la caduta del muro di Berlino, è stato un momento di riflessione doveroso per un intellettuale fortemente influenzato da Marx, forse scritto in maniera un po’ troppo sbrigativa, ma che se fosse stato letto con maggiore attenzione, sarebbe stato utile per contrastare la deriva liberista degli ultimi decenni.

Infatti, la caduta del muro del muro di Berlino, oltre a segnare la fine del socialismo reale in Europa orientale, ha coinciso con l’affermarsi nell’intero continente di una forma di liberismo dai tratti caricaturali. Il declino dell’egemonia culturale progressista era cominciato già negli anni settanta con le crisi petrolifere e lo sgretolarsi dell’ordine internazionale di Bretton Woods, ma è solo dopo il 1989 che ha avuto inizio un venticinquennio di dominio pressoché incontrastato del neoliberismo nelle scelte di politica economica.

L’incapacità dei progressisti di incidere nelle principali scelte strategiche e l’emarginazione delle loro tesi nel dibattito pubblico sono state paradossali: sia perché vi era stata da parte loro una forte critica del socialismo reale (in particolare da parte della tradizione socialdemocratica), sia, e soprattutto, perché si sono fondate su un equivoco fondamentale. L’errore, nel quale invece Sylos Labini non è mai caduto, è stato quello di trarre dalla concomitanza fra le circostanze storiche del momento e la crisi in cui era entrata la teoria economica allora dominante, 1 la conseguenza logica che le tesi del liberismo estremo, fino allora considerate superate, andavano invece rivalutate e promosse.

Nel lanciare il dibattito su Marx, Sylos Labini non intendeva unirsi al coro dei critici del marxismo al momento della caduta del muro, quanto piuttosto proporre un esame critico di un autore che, al di là del giudizio da dare sul suo messaggio politico, può essere considerato uno dei maggiori esponenti della tradizione classica e precursore di Keynes nello sviluppo della macroeconomia moderna. Criticando Marx sul piano politico ed etico, ma mantenendo intatto il suo giudizio positivo sul Marx economista, Sylos si poneva nella prospettiva del socialismo liberale, che non può che porsi in contrapposizione frontale con il liberismo.

Il presente lavoro è articolato in cinque sezioni. Nella prima, s’inquadra la prospettiva politica del socialismo liberale, dalla quale Sylos sviluppa la sua critica a Marx. In quella successiva sono rievocate le principali prese di posizioni su Marx pubblicate negli scritti che precedono il dibattito sul Ponte. La terza sezione si concentra su “Carlo Marx: è tempo di un bilancio”, che è una sintesi di idee già espresse in scritti precedenti, e ricorda brevemente alcuni spunti del dibattito che ha generato. Nella quarta sezione si approfondiscono alcune implicazioni teoriche, con lo scopo di arrivare a un giudizio critico sintetico rilevante per la politica economica. La conclusione cui si perviene è che la dinamica economica di Marx ha fortemente influenzato la visione economica di Sylos, che ha tentato di completarla sul piano concettuale allargandola all’analisi dei mercati oligopolistici, e di integrarla sul piano politico in una visione riformista. Quest’aspetto assume un interesse particolare per il contributo dato da Sylos all’economia post-keynesiana. La quinta e ultima sezione considera le implicazioni dell’analisi svolta per le scelte odierne di politica economica argomentando a favore dell’uscita dal socialismo liberista che ha caratterizzato la posizione dei progressisti europei negli ultimi vent’anni, per entrare in quella del socialismo liberale, nella quale l’apporto positivo di Marx all’analisi dell’economia capitalista va riconosciuto, a complemento essenziale di una visione ‘classica’ della dinamica economica.

 

1. La critica etica e politica di Marx da parte del socialista liberale

Sylos non ha mai nascosto di essere un socialista liberale (Sylos Labini, 1989 e 1991; Roncaglia, 2008; Salvadori, 2008) e questa sua convinzione ha ovviamente condizionato il suo giudizio critico su Marx.

Il socialismo liberale si è sviluppato in Italia con Carlo Rosselli, Guido Calogero e Aldo Capitini, come opposizione di matrice non marxista al fascismo. Questa corrente di opinione si è poi ritrovata nell’esperienza politica di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione. Nel dopoguerra anche Norberto Bobbio, che era stato allievo di Capitini a Siena e che considerava Calogero un suo maestro, ha aderito a questa corrente di pensiero anche se, pur rimanendo azionista, si è poi allontanato dal socialismo liberale in senso stretto (Portinaro, 2014). Sylos invece non è mai stato iscritto al Partito d’Azione, contrariamente al suo amico e collega Giorgio Fuà, anche se è rimasto a lungo un membro molto attivo della redazione di Il Ponte, rivista di riferimento dell’azionismo, il cui fondatore, Piero Calamandrei, ne era stato un importante esponente. Un altro insigne economista iscritto al partito d’azione è stato Federico Caffè. Politicamente Sylos è stato vicino al partito socialista, dove erano confluiti diversi ex-azionisti, pur mantenendo un atteggiamento autonomo e molto critico rispetto alle sue derive clientelari.

Sylos conosceva e dava probabilmente per scontate le interpretazioni critiche di Marx fatte da Rosselli ([1973] 1997) e da Calogero ([1941] 1967), che distinguono i lati positivi e negativi del sistema marxista, e concentrano le loro critiche sugli aspetti etici e politici legati alla libertà dell’individuo. Alcuni studiosi considerano quest’approccio sbagliato sul piano metodologico perché vedono nell’analisi di Marx un tutto unico, inscindibile nelle sue parti. Sylos non accettava la loro posizione, che considerava fideistica:

“[è] relativamente diffusa l’opinione che Marx va accettato o respinto in blocco: molti pensano che non sia possibile accogliere certe parti di Marx e non altre, utilizzare certi suoi canoni interpretativi e respingere certe sue tesi, anche rilevanti, come la teoria del valore. Una tale opinione ha senso solo se si considera il marxismo come un sistema filosofico, come una concezione del mondo, quasi una fede; ma se lo consideriamo in termini laici, come un apparato analitico, allora è del tutto normale scegliere e discriminare” (Sylos Labini, 1984b, pp. 62-63).

In un dibattito che ebbe con Augusto Graziani, Aldo Cecchella e Siro Lombardini a Pisa nel 1983, dichiarò anche:

“[i]o non sono marxista, ma non sono nemmeno un avversario o nemico di Marx, e considero semplicistiche e inaccettabili tanto la posizione dell’adesione, quanto quella, opposta, del rigetto della costruzione di Marx considerata nel suo complesso: ‘chi non è con me è contro di me’ è un’asserzione che può andare bene in una fede religiosa, non in un’analisi critica, scientifica” (Sylos Labini, 1984a, p. 48).

Nell’articolo del 1991 che diede inizio al dibattito su Il Ponte, Sylos propose un criterio per distinguere quelli che, nell’analisi marxista, gli sembravano essere gli aspetti positivi, da quelli negativi, che rifiutava:

“[i]n generale, per sceverare le tesi erronee da quelle valide e analiticamente feconde si può adottare il seguente criterio: quanto più direttamente le tesi di Marx riguardano il suo programma rivoluzionario, tanto più bisogna diffidarne, mentre le tesi più lontane da quel programma, ossia le tesi strettamente analitiche, vanno considerate, pur sempre con occhio critico, ma con minore sospetto” (Sylos Labini, [1991] 1994, p. 10).

Per capire la posizione di Sylos è utile approfondire quelle di Rosselli e Calogero. In Socialismo Liberale, il rimprovero fondamentale che Rosselli muove al sistema marxista è il suo carattere deterministico, che non lascia spazio alla libertà e all’iniziativa individuali, che invece Rosselli propone come fondamento del socialismo liberale. “La scientifica dimostrazione della necessità storica di una soluzione socialista” (Rosselli, [1973] 1997, p. 45) è da rigettare perché ostacola la stessa azione politica (p. 62). Ma, una volta ammesso il principio di libertà, il socialismo di Rosselli è compatibile con quello di Marx. Non vi è per Rosselli la necessità di negare o criticare aspetti particolari dell’argomentazione marxista, purché si rifiuti di derivare scientificamente da quest’analisi la necessità del passaggio al socialismo.

Calogero ha invece sviluppato la critica del determinismo di Marx a partire dall’opposizione fra le categorie crociane di “filosofia dell’economia” e di “scienza economica”. La prima concerne le verità assolute valide a priori, indipendentemente dalle circostanze storiche, la seconda le verità “contingenti”, vere a posteriori, in un particolare contesto storico. Per Calogero, nel criticare Marx, è necessario scomporre il suo sistema seguendo questi criteri: ad esempio il valore d’uso appartiene alla prima categoria mentre il valore di scambio, basato sul lavoro socialmente necessario contenuto, appartiene alla seconda. Ne consegue che per Calogero la teoria del valore-lavoro di Marx, non è un concetto assoluto, dal quale si può dedurre meccanicamente il resto dell’argomentazione, ma un concetto contingente, che si può assumere come principio solo su basi etiche e quindi di scelta morale, contrariamente alla stessa interpretazione che ne dà Croce (1921), che la accetta come principio a priori (Calogero, [1941] 1967, pp. 61-62).

Calogero accetta quindi il materialismo storico di Marx, a condizione che questo non sfoci nel determinismo. Nel suo concetto di socialismo, egli introduce i valori di giustizia e di libertà, il che implica necessariamente dare anche importanza all’istruzione degli individui (p. 100) e rifiutare la violenza (p. 109). Il suo liberalsocialismo ha per principio metodologico l’esercizio e l’osservanza dei principi morali nella pratica politica. Tuttavia, come già quello di Rosselli, non è incompatibile con il socialismo di Marx una volta che quest’ultimo sia depurato dai suoi aspetti deterministici.

Si può quindi concludere che il socialismo liberale di Rosselli ([1973] 1997) e di Calogero ([1941] 1967), pur contestando aspetti rilevanti del marxismo, e in particolar modo il determinismo, non aderiva alla critica di Marx fatta dal liberalismo ‘di destra’ di Croce e Einaudi, contestando in particolar modo il fatto che questa versione del liberalismo non avrebbe consentito di realizzare quella giustizia sociale senza la quale la libertà non si può esercitare. Il loro socialismo recupera quindi come valori etici fondanti la libertà e la giustizia, che portano con sé l’istruzione, l’uguaglianza, la tolleranza e tutti i “motivi ultimi della civiltà morale dell’uomo”, che erano anche quelli del socialismo utopistico, criticato da Marx per la sua incapacità di capire e agire sulla realtà capitalistica.

L’adesione di Sylos al socialismo liberale spiega il suo rifiuto categorico delle tesi politiche di Marx, ed è in gran parte un rifiuto etico dell’opportunismo e della spregiudicatezza politica che si esprimono nei suoi scritti privati, enumerati ad esempio in Sylos (1984b, p. 63, nota n. 3). Malgrado il tono sovente polemico, in pratica Sylos non si trovava però su posizioni metodologicamente molto lontane da quelle degli studiosi marxiani che hanno provato a superare Marx attraverso l’indagine critica. Diceva infatti:

“[i]l capitalismo può certo venir meno – nella pienezza del tempo – ed essere sostituito da un altro sistema economico-sociale: il socialismo. Personalmente sono convinto che – nella pienezza del tempo appunto – è molto probabile che ciò avvenga. Ma la trasformazione può aver luogo in modi radicalmente diversi da quelli prospettati da Marx” (Sylos Labini, 1984b, p. 53).

 

2. Gli scritti economici su Marx precedenti a È tempo di un bilancio

In “Carlo Marx: è tempo di un bilancio” Sylos Labini riprende sinteticamente temi che aveva affrontato in scritti precedenti sull’argomento, molti dei quali sono elencati all’inizio dell’articolo (Sylos Labini, [1991] 1994, p. 4). 3 Proprio perché passa in rassegna abbastanza velocemente posizioni già prese in passato e ne dà altre per scontate, lo scritto, elaborato – come si è detto – poco dopo la caduta del muro di Berlino, potrebbe essere letto come un commento istantaneo all’attualità. Tuttavia, ricostruendo il percorso logico dell’autore e le sue precedenti posizioni, appare chiaro che si tratta invece di un’occasione di riflessione autocritica che si conclude in gran parte con una conferma delle sue posizioni precedenti.

Questa sezione esamina le prese di posizione di Sylos sul Marx economista pubblicate prima dell’articolo del Ponte. Queste sono state fortemente influenzate dai suoi maestri di Cambridge e di Harvard: Sraffa e Schumpeter. Da Sraffa (1960), Sylos riprende l’interpretazione critica della teoria del valore-lavoro, mentre da Schumpeter eredita il rispetto per la dinamica del ‘ciclo-trend’ di Marx e dell’analisi monetaria che l’economista austriaco ne ha tratto, ulteriormente sviluppata dallo stesso Sylos. Pure a Schumpeter si può ricondurre l’attenzione di Sylos per le leggi di movimento dell’economia capitalistica, la cui critica, combinata con quella sraffiana alla teoria del valore-lavoro, serve a Sylos per contestare il determinismo del socialismo scientifico di Marx e del programma rivoluzionario a esso associato. In sostanza, Sylos sviluppa quindi un’argomentazione economica che conferma la critica etica e politica di Marx fatta dai socialisti liberali, riabilitando così anche il loro socialismo utopistico e il loro riformismo.

2.1 L’interesse per l’approccio classico

Sylos applicava l’approccio critico non solo a Marx ma all’insieme dei temi economici. In entrambi i volumi delle sue Lezioni di economia, poi confluite negli Elementi di dinamica economica, discute in maniera abbastanza dettagliata degli schemi di riproduzione e dei prezzi di produzione di Marx, dà esempi della loro applicazione e fa confronti con i prezzi alla produzione di Sraffa (Sylos Labini, 1979, pp. 20-37; 1982, pp. 93-104; 1992, pp. 59-80), aspetti raramente presenti nella manualistica dell’epoca, come anche di quella contemporanea, specie di stampo anglosassone.

Nelle sue lezioni universitarie, Sylos distingueva chiaramente due visioni alternative in economia: la visione “ad arco” e quella “a spirale” o “circolare” (Sylos Labini, 1985), una metafora che, come osserva Roncaglia (2009, p. 116), trova origine in Sraffa (1960, Appendice D, p. 121). Per Sylos, come per Sraffa, i modelli ad arco sono quelli caratteristici dell’economia “neoclassica”, basata sulla scarsità delle risorse date, in uno schema essenzialmente statico, mentre i modelli circolari o a spirale fanno riferimento a un’impostazione “classica” della produzione e della distribuzione del reddito, in una visione dinamica dell’economia, che riconosce la prevalenza di forme di mercato non concorrenziali.

Indubbiamente Sylos privilegiava i modelli dinamici (a cerchio o a spirale), che considerava gli unici rilevanti per le decisioni di politica economica, un’impostazione che condivideva con molti economisti che, in seguito alla pubblicazione del libro di Sraffa (1960), si erano avvicinati all’approccio classico in economia. La peculiarità di Sylos era però quella di distinguere l’arco e la spirale su base di criteri microeconomici di formazione dei prezzi. Per lui questi si estendevano in maniera naturale a livello macroeconomico, un passaggio logico tutt’altro che ovvio ma già proposto da Kalecki, che Sylos considerava scontato per averlo trattato nella seconda e soprattutto nella terza parte di Oligopolio e Progresso Tecnico (Sylos Labini, [1956] 1975). Come egli stesso osserva nelle sue lezioni, la sua concezione della dinamica economica andava oltre “il significato puramente formale e di comodo della distinzione fra analisi micro e macroeconomica” (Sylos Labini, 1982, p. 102) e permetteva invece di superare lo spartiacque artificiale tra i due approcci. Era quindi una visione articolata, che traeva spunto sia dalla riabilitazione della tradizione classica operata da Sraffa, sia dalla lettura della dinamica di Marx fatta da Schumpeter e che trovava conferma nella sua interpretazione dei risultati empirici delle sue stime econometriche sulle equazioni di prezzo.4 Questa visione articolata non è d’immediata comprensione perché, come per Caffè e per Fuà, le sue intuizioni teoriche procedevano per ampi salti logici, motivati anche dal desiderio di giungere rapidamente a conclusioni utili per le decisioni da prendere (Fuà e Sylos Labini, 1963).

2.2 Il giudizio sulla teoria del valore-lavoro

L’influenza di Sraffa si fa sentire soprattutto nell’interpretazione della teoria del valore-lavoro di Marx. Sylos aveva conosciuto Sraffa a Cambridge e ne aveva promosso lo studio in Italia attraverso un primo seminario del 1963 all’università di Roma, cui seguì la costituzione del Gruppo per lo studio dei problemi economici dello sviluppo, del progresso tecnico e della distribuzione del CNR nel 1964. Nel 1969, questo gruppo, che in quel momento era composto da Nino Andreatta, Federico Caffè, Gioacchino d’Ippolito, Giorgio Fuà, Pierangelo Garegnani, Augusto Graziani, Siro Lombardini, Vittorio Marrama, Claudio Napoleoni, Luigi Pasinetti, Luigi Spaventa e Sergio Steve, decise la pubblicazione di Prezzi relativi e distribuzione del reddito.5

Nell’Introduzione, Sylos (1973, p. 13) menziona che la prima stesura di alcuni dei saggi risale al seminario del 1963. Nella stessa introduzione, affronta la teoria del valore-lavoro di Marx, riprendendo l’interpretazione sraffiana del problema, che era comunemente accettata all’epoca:

“[s]econdo il giudizio di chi scrive, la critica esplicitamente rivolta da Sraffa alla teoria marginalistica mina alle basi questa costruzione, mentre la critica implicitamente rivolta alla teoria marxista non ha conseguenze distruttive: lo schema di Sraffa, anzi, si colloca sullo stesso piano delle costruzioni teoriche di Ricardo e di Marx e consente di risolvere problemi fondamentali che Ricardo e Marx, che pure li avevano visti, non avevano risolti o avevano risolti male” (Sylos Labini, 1973, p. 10).6

Riprendendo l’analisi sviluppata nei saggi di Vianello (1973) e di Biasco (1973),7 che cita fra quelli la cui prima stesura risale al 1963, Sylos dissente da Marx per quello che individua come il suo principale, e forse unico vero errore economico:

“Marx ritiene di poter trattare separatamente il problema del valore e quello del prezzo di produzione; e ritiene che, in un secondo stadio dell’analisi, si possa trovare un nesso rigoroso e non equivoco fra valori (misurati in ore lavoro), e prezzi di produzione. Queste proposizioni si fondano sull’assunto che sono ammissibili, simultaneamente, due equivalenze: da un lato, fra somma dei valori e somma dei prezzi di produzione; dall’altro, fra plusvalore totale e profitti totali. Ora, se si esclude il caso non realistico di una composizione organica uguale per tutte le merci, appare che queste due equivalenze non possono sussistere simultaneamente: se è vera la prima non è vera la seconda, e viceversa. […] La teoria del valore-lavoro così com’è stata formulata da Marx, non funziona […]” (Sylos Labini, 1973, p. 14).

Il risultato, che evidentemente Sylos considerava scontato, è enunciato brevemente e le fonti sono citate senza sviluppare tutta l’argomentazione. Il medesimo risultato, criticato dalla letteratura marxista anglosassone più recente (cfr. § 4.1), è accolto anche da Colletti (1969, p. 431), Graziani (1993, pp. 110-115), Pasinetti (1977, pp. 19-24 e cap. V, pp. 122-150) o da Garegnani (1981, pp. 112-115; 1991). Lo stesso Napoleoni (1989; 1991), pur cambiando tre volte il suo punto di vista su Marx (Bellofiore, 1991), non lo ha mai negato. Peraltro Sylos lo aveva trattato nel primo volume del suo corso universitario (Sylos Labini, 1979, p. 28), dove, sulla trasformazione, si era limitato a ricordare che, salvo in casi particolari, come quello in cui il profitto è nullo, i prezzi non sono proporzionali ai valori-lavoro (lavoro diretto e indiretto), mentre, nel secondo volume (Sylos Labini, 1992, pp. 66-73), sviluppava il caso della riproduzione semplice, per il quale forniva degli esempi che sviluppavano le equazioni corrispondenti ai sistemi di Marx, von Bortkiewicz e Sraffa, e constatava che, in questo contesto semplificato, nel sistema di Marx non è possibile assicurare l’eguaglianza dei tassi settoriali di profitto in una situazione di concorrenza e la proporzionalità dei valori ai prezzi, eccetto nel caso di costanza nella composizione organica del capitale. In sostanza Sylos dava al problema un trattamento conforme a quello “tradizionale”, sviluppato da Sweezy (1942, cap. VII) per il caso della riproduzione allargata, ma lungo le linee di una critica sraffiana volta a riprendere, amplificare e sistematizzare le analisi precedenti, come quelle di von Bortkiewicz e von Charasoff (Kurz e Salvadori, 1995, pp. 384-390). Questo punto verrà ripreso oltre al § 4.1.

2.3Schumpeter e la dinamica ciclica e monetaria di Marx

Mentre lo criticava per la sua teoria del valore-lavoro, Sylos era attratto da Marx per la sua concezione della dinamica, in particolare nei suoi legami con lo sviluppo economico, visto come processo endogeno generato dalle stesse forze che regolano questa dinamica. Quest’aspetto traspare chiaramente dal suo articolo del 1954 su “Il problema dello sviluppo economico in Marx e Schumpeter” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 19). La lettura che Sylos fa della dinamica di Marx in quest’articolo, come nel resto dei suoi scritti, è fortemente impregnata della lettura di Schumpeter, che era stato suo insegnante a Harvard.8 Entrambi vedevano in Marx il principale studioso della dinamica dell’economia capitalista (Sylos Labini, [1954] 1972, pp. 44-45).9

Avvalendosi dell’analisi di Schumpeter ([1934] 2012), Sylos sottolinea anzitutto l’originalità della teoria del ciclo economico di Marx, intesa come una teoria dello sviluppo che va oltre una semplice teoria delle crisi.10 Per Marx, il ciclo proviene dall’accumulazione che porta a un aumento della composizione organica del capitale (cioè di quello che in economia neoclassica si chiama l’intensità capitalistica) e che in ultima analisi provoca un aumento dell’esercito di riserva del lavoro:

“[M]arx è dunque chiaramente consapevole dell’esistenza del ciclo economico. Egli fu forse il primo economista che abbia avuto una teoria del ciclo e non semplicemente una teoria della crisi. Non solo; ma è chiaramente consapevole dell’unicità del problema del ciclo e del problema dello sviluppo: il ciclo, per Marx, è la forma che l’accumulazione – lo sviluppo – concretamente assume nella società capitalistica; ed il ciclo è, prima di tutto, il ciclo dell’occupazione operaia” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 31).

La spiegazione congiunta di ciclo e sviluppo, che va oltre una semplice teoria della crisi, e che accomuna Schumpeter e Marx, è ribadita nell’introduzione di Sylos all’edizione italiana della Teoria dello sviluppo economico di Schumpeter.11 Le analogie fra Marx e Schumpeter nella spiegazione dello sviluppo spingono Sylos a qualificare quest’ultimo come un “marxista conservatore”:

“[s]embrerebbe strano chiamare Schumpeter un marxista conservatore. Ma se con questa definizione si volesse mettere in evidenza l’affinità fondamentale – di là dagli schemi analitici – delle due concezioni, essa perderebbe il carattere di paradosso” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 45).

E aggiunge in nota:

“Del resto lo stesso Schumpeter afferma che ‘non è sufficiente essere marxista per essere socialista’ […], e ‘un uomo può accettare completamente l’opera analitica di Marx e pur tuttavia essere in pratica un conservatore”.

2.3.1La condizione di nullità dei profitti nel flusso circolare stazionario

Al tempo stesso Sylos prende fin dall’inizio le distanze da Schumpeter, perché quest’ultimo rimaneva essenzialmente ancorato a un concetto di equilibrio statico a profitto nullo che aveva desunto da Walras.

Nel caso di un’economia stazionaria, che corrisponde per Schumpeter al flusso circolare e, in Marx, a quello dello schema della riproduzione semplice, l’analisi dinamica dei due autori converge quasi pienamente. Ma non sfugge a Sylos la sottile ma fondamentale differenza fra lo schema del flusso circolare di Schumpeter, che non ammette il profitto nello stato stazionario, e quello della riproduzione semplice di Marx, nel quale questo profitto esiste:12

“[N]ella riproduzione semplice di Marx, oltre i salari, esistono tutti i redditi capitalistici, che Marx chiama plusvalore. In queste condizioni, il plusvalore esiste indipendentemente dall’accumulazione e da variazioni di metodi tecnici. Nel flusso circolare di Schumpeter esistono, invece, oltre i salari, rendite e redditi di monopolio: non esiste né il profitto, né il suo frammento: l’interesse” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 46).13

È questo un punto successivamente rilevato anche da Bellofiore (1983, p. 78) che però inizialmente non gli dà molta importanza. 14 Conviene soffermarcisi, perché è abbastanza centrale ai fini dell’argomentazione svolta. Schumpeter si fonda sull’analisi del flusso circolare, per il quale ipotizza che in condizioni “normali” i profitti si annullino, per affermare la centralità di Walras nella sua visione del pensiero economico; un punto sul quale però non riesce a convincere Sylos:

“[r]iguardo alla costruzione teorica del flusso circolare, Schumpeter insiste molto sul suo debito intellettuale verso Walras. In verità, appare che questo debito sia piuttosto limitato: il debito si riduce alla concezione che, in equilibrio, l’imprenditore di Walras (il ‘dirigente’ di Schumpeter) non fa né profitti né perdite” (Sylos Labini, [1971] 2002, p. XXVI)

Sylos osserva che, a rigore, anche nello schema di Schumpeter, la rendita fondiaria entra a far parte del sovrappiù:

“[i]n verità, se si abbandona il punto di vista dei costi e delle soddisfazioni in termini psichici e, ponendosi dal punto di vista della produzione, si riflette sui requisiti indispensabili affinché un sistema economico possa riprodurre uniformemente se stesso, ci si rende agevolmente conto che, nell’ambito delle assunzioni di Schumpeter, solo i servizi del lavoro debbono essere remunerati: la rendita fondiaria è un sovrappiù” (Sylos Labini, [1971] 2002, p. XXV).

Così, mentre Schumpeter ([1971] 2002, p. LX) vede un’analogia fra il suo “interesse nullo” e il fatto che il capitale costante di Marx non produce profitto, nel caso di concorrenza perfetta è anche possibile identificare nella condizione di profitto nullo lo spartiacque fra l’analisi neoclassica e quella classica e post-keynesiana, nello schema della riproduzione semplice. Quest’ultimo coincide come visto con l’economia stazionaria neoclassica, o più generalmente con la statica. Mentre nell’analisi neoclassica, a rigore, in condizioni concorrenziali non si può avere un profitto diverso da zero, 15 nell’analisi classica nelle stesse condizioni i tassi di profitti settoriali si eguagliano, ma non tendono necessariamente verso zero. Discendono pure da questo discriminante le implicazioni diverse dei due approcci nello schema della riproduzione allargata e in quello dello sviluppo, dove la condizione di profitto nullo si traduce nell’eguaglianza fra il tasso di profitto e il tasso d’interesse. In entrambi i casi la massima efficienza comporta anche l’assenza di disoccupazione involontaria e la piena utilizzazione della capacità produttiva. Come rilevato da Roncaglia (2013a, p. 258), per Sylos (1987) il livello dell’occupazione è storicamente determinato, il che equivale a dire che la sua dinamica privilegia la path dependence.

La considerazione di situazioni in cui il tasso di profitto diverge da zero nel flusso circolare e di quelle in cui il tasso di profitto diverge dal tasso d’interesse nella riproduzione allargata rappresenta quindi l’elemento che differenzia i modelli ad arco da quelli a circolo o a spirale, che, anche per queste ragioni, possono essere considerati più generali e pertinenti per la politica economica.

2.3.2 Il caso della riproduzione allargata

A partire dall’analisi della riproduzione semplice, Marx costruisce il suo ragionamento dinamico sviluppando il caso della riproduzione allargata. Sylos osserva che per Marx, come d’altronde per Schumpeter:

“[l’]ipotesi veramente rilevante per studiare il processo produttivo concreto è la seconda, quella della riproduzione su scala allargata, ossia dell’accumulazione. Per Marx la società capitalistica non è e non può essere stazionaria” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 22).

La dinamica ciclica di Marx assume però un carattere macroeconomico che è del tutto assente in Schumpeter. Come Sylos argomenta più tardi:

“[m]entre Marx, sia pure entro un ambito circoscritto e preliminare, svolge una certa analisi macroeconomica sulla base della divisione dell’economia in due settori, quello dei beni di consumo e quello dei beni d’investimento, Schumpeter è ostile in via di principio al metodo degli aggregati e svolge tutta la sua analisi su un piano disaggregato” (Sylos Labini, 1979, pp. 125- 126).

Per Sylos lo schema della riproduzione allargata dimostra che Marx aveva anticipato Keynes e la letteratura sulla crescita del XX secolo nell’individuare le condizioni per la crescita bilanciata in un modello a due settori:16

“[i] due schemi vengono particolarmente elaborati nel libro II. Qui Marx compie la famosa distinzione fra i due settori fondamentali: il settore producente mezzi di produzione e il settore producente beni di consumo ed indica, con riferimento a questi due settori, le astratte condizioni di equilibrio sia della riproduzione semplice che della riproduzione su scala allargata; ossia, in questo secondo caso, indica le astratte condizioni di quel processo che gli economisti moderni chiamano ‘sviluppo equilibrato’” (Sylos Labini, [1954] 1972, pp. 21-22).

Questo paragrafo comporta una presa di posizione implicita su questioni legate alla rappresentazione multisettoriale della dinamica economica e alla definizione stessa di macroeconomia, che verranno riprese al § 4.2.

2.3.3 La dinamica monetaria

Lo spessore della visione dinamica di Sylos risiede nell’avere sempre riconosciuto il ruolo della moneta e del credito, nella riproduzione semplice come nella riproduzione allargata. È un punto appena accennato da Marx e che invece Schumpeter ha sviluppato, pur restando ancorato al suo concetto di equilibrio economico generale definito nel flusso circolare stazionario. 17 Sylos osserva che nella dinamica di Marx, come ancor più in quella di Schumpeter, il credito e la moneta giocano un ruolo essenziale nel generare fluttuazioni che deviano l’economia dal sentiero di crescita uniforme, in particolare nel momento in cui, al di là delle fluttuazioni cicliche, generano le crisi:

“ […] la parte che Marx attribuisce al credito e alla moneta, nel moto ciclico, è secondaria e subordinata […]. Tuttavia Marx mette varie volte in rilievo che la crisi ha la sua manifestazione immediata e più violenta nella sfera monetaria e creditizia” (ivi, p. 33).

Sylos riconosce l’originalità con la quale Marx tratta il tema della moneta e del credito (Sylos Labini, 1984b, p. 60) e attribuisce a Schumpeter il merito di aver sviluppato le idee abbozzate da Marx sul credito e la banca a partire dal flusso circolare (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 53). Per Schumpeter, il banchiere crea i mezzi monetari che permettono all’imprenditore innovatore di procurarsi i fattori di produzione necessari anche in situazione di piena utilizzazione della capacità produttiva. L’innovazione permette all’imprenditore di generare dei profitti temporanei grazie al potere di monopolio che questa gli conferisce, ma questo profitto è destinato a estinguersi. Dopo un’interruzione, le condizioni stazionarie di profitto nullo tornano a prevalere, eventualmente a un livello di output più alto.18

Pur sviluppando le idee di Schumpeter sulla moneta, e in particolare la dicotomia fra banche e imprese,19 Sylos, proseguendo autonomamente sulla via della comprensione di Marx aperta da Schumpeter, si è comunque allontanato dal flusso circolare schumpeteriano per orientarsi verso la riproduzione allargata di Marx, senza riferirsi al Wicksell monetario, che presumibilmente giudicava troppo neoclassico. In Sylos (1948) ad esempio, il ruolo delle banche moderne come creatrici di nuovi mezzi monetari è introdotto espressamente in un contesto di sviluppo dell’attività economica, mentre, nel caso stazionario, questo ruolo si limita a quello di intermediare il risparmio.20

In questo stesso articolo Sylos presenta esempi in cui appare chiaramente che la funzione delle banche come creatrici di nuovi mezzi monetari si iscrive in una sequenza che è anche quella del modello di credito puro di Wicksell, confermata anche da Schumpeter nel flusso circolare: l’imprenditore finanzia anticipatamente il costo totale di produzione prendendo a prestito (in parte o totalmente) mezzi di pagamento. In seguito realizza vendite per un ammontare superiore ai costi, generando un profitto, cosa sempre possibile in un’economia in sviluppo, e rimborsa parte di questo profitto come interesse. Questo processo implica la creazione endogena di nuova moneta da parte delle banche su richiesta delle imprese, una sequenza essenzialmente analoga a quella del circuito monetario. Non a caso Graziani (2003, p. 4) cita questo articolo di Sylos come un precursore della letteratura italiana sull’argomento.21

Pur criticandolo sull’azzeramento dei profitti, Sylos si sentiva inizialmente più vicino a Schumpeter che non a Keynes, l’altro grande autore che ha sviluppato la tesi della moneta endogena. In un articolo dai toni fortemente polemici nei confronti dei keynesiani americani dell’epoca, Sylos si appella infatti chiaramente all’endogeneità della moneta per contestare la preferenza per la liquidità:

“[…] La ‘produzione’ di mezzi di pagamento nel processo economico moderno non ha fatto e non fa capo, nella sua sostanza, alle miniere o, rispettivamente, all’autorità monetaria; ha fatto capo e facapo alle banche (e fra esse è la stessa banca centrale in quanto non operante sotto il controllo pubblico), le quali tutte emanano dalle imprese. Non è vero che le imprese non possano ‘produrre’ moneta: la producono: non direttamente, ma attraverso le banche, le quali a loro volta sono esse stesse imprese. Le banche cioé, continuativamente, proprio per conto delle imprese non bancarie, creano mezzi di pagamento (non diciamo creano ‘credito’: questa espressione ha generato tanti equivoci); e tali mezzi di pagameto non sono legati ai risparmî individuali che in un modo molto elastico. A rigore i mezzi di pagamento ‘creati’ non sono né rappresentano risparmio di nessuno [...]” (Sylos Labini, [1949] 1955, p. 465, nostra traduzione). 22

Posta poi tra parentesi l’animosità verso Keynes, ma non quella verso i neo-keynesiani, Sylos (1979, p. 84) presenta esplicitamente l’endogeneità della moneta come la linea di spartiacque fra Milton Friedman e gli approcci monetari alternativi, molto in anticipo rispetto alle analisi di Kaldor e Trevithick (1981) e di Moore (1988), che hanno eretto il trattamento post-keynesiano della moneta su questa dicotomia (Sylos Labini, 1949, p. 4 e 1979, p. 86 e p. 130). Sylos propende per una moneta parzialmente esogena e parzialmente endogena, qualificandosi quindi come un “verticalista” nel gergo contemporaneo (Moore, 1988; Rochon, 1999). Inoltre, nelle dispense del 1979, scrive un paragrafo che corregge l’articolo del 1949 e che dimostra la sua successiva comprensione della coerenza fra il Keynes del Trattato, che sviluppa la moneta endogena, e quello della Teoria Generale che dà per data la quantità di moneta e, in questo contesto, sviluppa il moltiplicatore come argomento critico a fondamento della domanda effettiva per realizzare l’eguaglianza fra risparmi investimenti:

“[i]l secondo aspetto per il quale la discussione fatta nei precedenti paragrafi presenta interesse dal punto di vista della teoria keynesiana riguarda la proposizione: gli investimenti creano il risparmio che li finanzia. Ora, questa proposizione vale non solo in condizioni di estesa disoccupazione, ma anche in condizioni di sviluppo; anzi, diviene particolarmente significativa proprio con riferimento al processo di sviluppo. Questa proposizione non può essere veramente compresa senza far riferimento alla cosiddetta creazione di credito o creazione di mezzi monetari. Le azioni rilevanti sono tre. Prima: la decisione delle imprese d’investire o dello Stato di spendere in deficit (in eccesso alle entrate tributarie ed ai proventi dei prestiti). Secondo: la decisione delle banche di finanziare quell’investimento o quella spesa con mezzi monetari creati. Terza: l’erogazione dei fondi ottenuti. Dopo tale erogazione, la spesa per l’investimento o la spesa pubblica in deficit risulta finanziata con un risparmio addizionale, nel senso che i beni mobilitati con quelle spese non sono consumati da nessuno e nel senso che, nel sistema bancario e poi nel più ampio sistema economico, a fronte dell’aumento dei prestiti c’è un aumento dei depositi (che originariamente veri e propri depositi non erano). Il risparmio genuino c’è, ma esso, o serve da supporto indiretto alle banche, che attuano il processo descritto, ovvero serve a finanziare attività già esistenti” (Sylos Labini, 1979, p. 131).

Si può quindi concludere che Sylos ha ereditato l’analisi monetaria di Marx attraverso la mediazione di Schumpeter. Grazie alla comprensione e al superamento di quest’ultimo, Sylos riesce a sviluppare una spiegazione esauriente del ruolo keynesiano del credito nella creazione di mezzi di pagamento in particolare nella creazione di moneta “privata” da parte delle banche, con largo anticipo rispetto ai risultati della teoria post-keynesiana monetaria più avanzata e precorrendo molti dei temi sviluppati poi dalla teoria del circuito monetario, alla quale tuttavia non ha mai aderito.

2.4 Le “leggi di movimento” tendenziali dell’economia capitalistica

Oltre alla dinamica monetaria del ciclo-trend discussa nel paragrafo precedente, Sylos (1984b, p. 47) individua in Marx altre quattro leggi di movimento tendenziali del capitalismo che, pur considerando i vari fattori contrari che Marx stesso individua e che possono rallentarle, si possono considerare altrettante ‘previsioni’ da confrontare coi fatti. Queste sono: i) l’immiserimento crescente della classe lavoratrice a causa della gravitazione dei salari attorno al loro livello di sussistenza; ii) la tendenza alla proletarizzazione dei ceti medi; iii) la caduta tendenziale dei profitti, accompagnata dalla tendenza del capitalismo alla crisi; e, iv) la tendenza alla concentrazione delle attività produttive.

Sull’immiserimento del proletariato, nel 1984 Sylos (1984a, p. 51) constata che i salari reali hanno avuto periodi lunghi di crescita sistematica, mentre la disoccupazione, pur fluttuando, non ha avuto tendenza a crescere in maniera strutturale. Conclude quindi che su questa previsione Marx si è sbagliato. L’andamento dei salari e della disoccupazione negli anni più recenti lo avrebbe forse portato a rivedere il suo giudizio.

Considerazioni simili si possono fare sulla proletarizzazione dei ceti medi, che come aveva documentato Sylos per l’Italia nei suoi saggi sulle classi sociali, è stata contraddetta storicamente dallo sviluppo della classe media. Al tempo stesso queste tendenze, contrarie alle tesi marxiste, si sono probabilmente rovesciate a partire dagli anni novanta (si veda la discussione nel § 4.3).

Per quanto riguarda i profitti, la spiegazione data da Marx della tendenza a una riduzione del tasso di profitto è legata alla sua spiegazione del ciclo-trend basata sulle innovazioni e il progresso tecnologico, che provocano una tendenza endogena all’aumento della composizione organica del capitale. Si può osservare con Joan Robinson ([1942] 1974, p. 36) che, in un’economia in espansione, la caduta dei profitti dovuta a un aumento della composizione organica del capitale non può realizzarsi se non quando i salari crescono in linea con la produttività, il che è in contradizione con la tesi dell’immiserimento del proletariato. Tuttavia non è questa la linea di attacco che sceglie Sylos, che concede che sulla caduta dei profitti l’evidenza empirica non è chiara (si veda più avanti § 4.3). Egli critica invece la legge sul piano teorico: infatti questa richiede che ci sia “corrispondenza univoca fra valori e prezzi” cosa che, a causa delle difficoltà della teoria del valore-lavoro, non è garantita (Sylos Labini, 1984a, pp. 52-53).

Dando per acquisita la lettura sraffiana del problema della trasformazione, Sylos rileva quindi che la non proporzionalità tra valori e prezzi spezza la logica lineare della legge sulla caduta dei profitti, e quindi priva il programma rivoluzionario di Marx della sua principale giustificazione ‘scientifica’. Come già nel suo scritto del 1973, dove nega l’interpretazione causale dello sfruttamento nella spiegazione dei profitti, Sylos si limita a introdurre il problema della trasformazione solo a conferma della critica etico-politica fatta a Marx dai socialisti liberali. Non è possibile desumere la necessità del passaggio al socialismo su basi scientifiche e deterministiche perché non è possibile dimostrare la causalità dello sfruttamento sui profitti e perché al di fuori della proporzionalità fra valori e prezzi, la legge tendenziale della caduta dei profitti cade e con essa cade il determinismo sul crollo inevitabile del capitalismo.

Infine, sulla tesi della concentrazione del potere di mercato, Sylos ne attribuisce la primogenitura a Marx che aveva dedicato attenzione alle forme di mercato diverse da quelle della concorrenza perfetta:

“[s]ulle tendenze di lungo periodo delle economie capitalistiche, la tesi più vitale di Marx è indubbiamente quella della progressiva concentrazione delle imprese, o, come egli dice, ‘dei capitali’. […L]a tesi marxista della concentrazione, per quanto soltanto abbozzata, è risultata una delle più feconde. Quando si discute oggi, sulla ‘necessità’ o ‘inevitabilità’ del processo di concentrazione delle imprese, in fondo si discute di una tesi che fa capo a Marx” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 40).

In conclusione, coerentemente con la sua lettura critica di Marx, Sylos accetta le “leggi tendenziali” meno legate al suo programma politico rivoluzionario, mentre contesta quelle che sostengono la tesi del “crollo del capitalismo”, in particolare la legge tendenziale sulla caduta dei profitti. Tuttavia come visto in precedenza nel brano citato, Sylos (1984a, p. 53) non nega la possibilità di un passaggio al socialismo per altre vie, così come afferma nello stesso scritto che, per quanto riguarda il valore-lavoro “il metodo di Sraffa non è affatto incompatibile col concetto di sfruttamento” (Sylos Labini, [1954] 1972, p. 45).

 

3. La sintesi offerta sul Ponte e il dibattito che ne è seguito

Come osservato in precedenza, Sylos Labini decise di lanciare il dibattito su Marx sulla rivista Il Ponte23 in un momento storico di cesura, quando con la caduta del muro di Berlino si è sviluppato un clima di rifiuto delle giustificazioni teoriche portate fino ad allora alle politiche progressiste.

3.1 La sintesi di Sylos

Fin dalle prime righe del contributo iniziale al dibattito, Sylos esordiva polemicamente:

“[t]utti gli uomini sbagliano: gli uomini modesti sbagliano modestamente e i loro errori sono agevolmente confutabili e producono danni limitati; gli uomini geniali sbagliano genialmente e i loro errori vengono individuati solo in tempi lunghi e provocano danni enormi. Fra gli uomini della seconda categoria dobbiamo annoverare Carlo Marx” (Sylos Labini, [1991] 1994, p. 3).

Argomentava poi che, nel campo socio-economico, i due principali errori di Marx erano stati la tesi della tendenza alla proletarizzazione delle società moderne e quella dell’immiserimento della classe operaia. Queste tesi erano state contraddette dall’emergenza e lo sviluppo delle classi medie nel ventesimo secolo che, per l’Italia, Sylos aveva studiato in due celebri scritti (Sylos Labini, [1974] 1975; 1986).

Sul piano analitico, il principale errore dell’analisi economica di Marx restava per Sylos la formulazione e l’uso che aveva fatto della teoria del valore-lavoro.24 Nell’articolo, pronunciava poi un commento ripreso anche in Sylos (1995, p. 35):25

“[s]ulla tomba della teoria marxista del valore-lavoro possono essere scritti, come epitaffio, due righi che si trovano nell’indice analitico di Produzione di merci a mezzo di merci di Piero Sraffa: ‘il valore è proporzionale al costo del lavoro quando i profitti sono zero’” (Sylos Labini, [1991] 1994, p. 6).

Viceversa, Sylos rivide il suo punto di vista sulla tendenza alla concentrazione della proprietà nelle grandi imprese, in parte contraddetta dallo sviluppo della piccola e media impresa in Italia.

Ma mentre affermava la rilevanza di questi errori di Marx, Sylos non si allontanava dall’essenza della sua analisi per quanto riguardava la dinamica economica. Allorché ribadiva che la teoria del valore-lavoro come esposta da Marx è sbagliata, concedeva che lo sfruttamento è una realtà. Sulla concentrazione, mentre rilevava l’importanza assunta dalla piccola e media impresa, ammetteva che il capitalismo moderno è caratterizzato da una progressiva concentrazione della proprietà, un’osservazione che non sorprende da parte dell’autore di Oligopolio e progresso tecnico (Sylos Labini, [1956] 1975).

Al tempo stesso, coerentemente con i suoi scritti precedenti, nel suo esame critico, Sylos continuava a trovare molte idee feconde in Marx:

1) l’analisi delle classi sociali fatta negli scritti a carattere storico, come: Marx ([1895] 1969); Marx ([1852] 1937) e Engels ([1852] 1896);

2) l’idea di guardare all’economia come composta da due settori, prefigurazione dei macro-settori keynesiani del consumo e dell’investimento, distinguendo il caso della riproduzione semplice da quello della riproduzione allargata;

3)l’idea che l’accumulazione deriva ed è trainata dal progresso tecnico e ha un carattere ciclico;

4) l’idea che la creazione monetaria da parte delle banche svolge un ruolo essenziale per l’accumulazione;

5) l’idea della path dependence nel tempo storico che Schumpeter ([1943] 2003, p. 43) aveva già individuato come uno dei tratti caratteristici dell’analisi di Marx.26

Dato l’interesse di Sylos per la dinamica economica, a cui aveva dedicato un volume di sintesi nel 1992 (Sylos Labini, 1992), non sorprende che considerasse la path dependence l’idea positiva più importante proposta da Marx, come confermato dalle considerazioni svolte a chiusura del dibattito:

“[…] ma indico poi tesi analiticamente feconde – a titolo esemplificativo, ne indico cinque, di cui la quinta, che riguarda l’approccio dinamico in economia, riveste importanza fondamentale” (Sylos Labini, [1993] 1994, p. 189).

Come accennato nella sezione precedente, per Sylos lo sviluppo di una teoria pienamente dinamica, che integri diversi settori, e che distingua almeno il settore dei beni capitali da quello dei beni di consumo per spiegare lo sviluppo economico, deve basarsi sul trattamento del progresso tecnico e dei suoi effetti sul ciclo e deve includere un’analisi del ruolo della moneta che ne identifichi l’impatto sul ciclo e le sue conseguenze per la distribuzione del reddito fra le classi sociali: ovvero deve integrare Marx, Schumpeter, Keynes e Sraffa.

L’attenzione per la dinamica è tipica della tradizione economica italiana, la quale, dopo avere studiato in dettaglio il modello statico a cavallo fra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX, fu tra le prime ad accorgersi delle sue lacune e tentò in diversi modi di integrarvi senza successo considerazioni dinamiche. 27 Sotto certi aspetti Sylos si può considerare come l’erede e il capofila di questa tradizione italiana nel dopoguerra, essendo Demaria un economista che si era affermato già negli anni trenta.28 Non sorprende quindi che egli indichi nel contributo alla dinamica economica l’aspetto più fecondo dell’analisi di Marx. Tuttavia, questo punto specifico non fu ripreso nel dibattito che si sviluppò sulla rivista, al punto che Sylos fu obbligato a ribadirlo nelle conclusioni.

3.2 Aspetti economici nel dibattito sul Ponte

L’articolo “Carlo Marx è tempo di un bilancio” suscitò diverse reazioni che furono anch’esse pubblicate su Il Ponte,29 e poi nel volume omonimo di Laterza. Quelle più attinenti agli aspetti economici sono richiamate brevemente.

Jossa ([1991] 1994) condivise in gran parte l’analisi critica di Sylos, che interpretò nel senso di un rifiuto del determinismo di Marx:

“[s]e dunque […] crediamo che il grande errore di Marx stia nell’aver accettato l’idea, generalmente condivisa ai suoi tempi, che le leggi dello sviluppo sono ‘leggi inesorabili’, che è compito della scienza scoprire, potremmo forse condividere l’opinione ventilata da Sylos Labini, che, per quest’aspetto in particolare, ‘la filosofia di Marx’ sia stata una ‘sciagura per l’umanità’, ma pregi e difetti dell’opera di cui trattasi ci parranno più immediatamente identificabili” (p. 27).

Jossa dissentì però sulla lettura di Sylos della questione del valore- lavoro e del problema della trasformazione e delle conseguenze sulla teoria marxiana dello sfruttamento. Per Jossa, la formulazione della teoria del valore di Marx è effettivamente errata, ma è merito di Marx l’aver “per primo impostato, e, a suo modo risolto, il problema della trasformazione” dei valori in prezzi (p. 32). Ciò priva la teoria dello sfruttamento della sua principale giustificazione teorica ma non vieta di concludere con Baumol (1974) che “il profitto non dipende dalla produttività del capitale, ma è lavoro non pagato, plusvalore” (Jossa, [1991] 1994, p. 33).

Lunghini ([1992] 1994) intitolò il suo intervento: “Il seppellimento prematuro”, esprimendo il timore che l’autorità di Sylos potesse essere usata per screditare Marx:

“[i]l rischio di un uso strumentale del ‘bilancio’ di Sylos Labini, da parte di quanti si dicevano marxisti per opportunismo e che per la stessa ragione hanno fretta di liquidare l’ingombrante eredità marxiana, nasce dal fatto che al passivo e all’attivo di questo bilancio stanno voci eterogenee, così che il saldo è una grandezza spuria” (p. 56).

Implicitamente Lunghini interpretò il rifiuto netto di Marx da parte di Sylos come una reazione contro lo stalinismo comunista, ma ricordò anche che, come sono esistiti comunismi non marxisti, sono esistiti anche marxismi antistalinisti, citando ad esempio Trotskij (1936), molto lucido sull’inevitabile prevalenza della burocrazia nel regime sovietico e sulla necessità per il proletariato di espropriarla prima o poi dopo la rivoluzione.

Caravale ([1992] 1994), che aveva curato un’ampia raccolta di scritti sull’argomento (Caravale, 1991; 1993), concentrò i suoi commenti su alcuni aspetti del problema della trasformazione e sulle loro conseguenze per la teoria dello sfruttamento, perché a suo giudizio Sylos e Jossa avevano lasciato zone d’ombra nel loro trattamento della questione. Caravale osservò ad esempio che Sylos distingueva la nozione analitica di sfruttamento da quella accolta dal senso comune, che gli pareva più intuitiva. Caravale discusse la possibilità di definire un concetto di valore alternativo, che potesse rimanere valido all’interno della teoria marxiana, come quello proposto da Garegnani (1986) con la sua distinzione fra lavoro astratto e lavoro concreto. Tuttavia concluse negativamente, e quindi alla fine concordò con Sylos che lo sfruttamento non può essere spiegato all’interno del sistema marxista.

Per Porta ([1992] 1994) Sraffa aveva demolito l’analisi economica di Marx e qualsiasi tentativo di usare Sraffa per salvare Marx era destinato a fallire. I risultati di Sraffa dovevano secondo lui essere usati indipendentemente da ogni riferimento a Marx.

Lombardini ([1992] 1994) concordò con Lunghini sul “seppellimento prematuro” di Marx, la cui influenza persistente gli parve confermata dal numero di persone che si orientano al marxismo nella loro azione politica.

In sostanza quindi, la maggior parte degli argomenti a favore o contro l’analisi economica di Marx nel dibattito su Il Ponte verterono sulla pertinenza della teoria del valore-lavoro e sulla discussa questione della trasformazione, sulla quale il dibattito non si è mai spento dalla data della pubblicazione del Capitale. Tuttavia, essendo molto tecnico, il problema della trasformazione non fu esaminato in dettaglio nel dibattito su Il Ponte, una rivista di scienze politiche, non adatta a entrare nelle diatribe fra specialisti in economia. Peraltro la posizione di Sylos Labini sulla teoria del valore-lavoro era già stata espressa in dettaglio in precedenti pubblicazioni specializzate, in particolare quelle del 1973 e del 1979 citate in precedenza, quindi nel dibattito Sylos fece riferimento a quei risultati, che diede per acquisiti.

 

4. Un giudizio sul bilancio di Sylos vent’anni dopo

A una prima lettura, la posizione di Sylos Labini su Marx nel dibattito sul Ponte appare un netto rifiuto. Ma, guardando con maggiore attenzione, è sorprendente constatare quanti aspetti positivi egli trovi nell’analisi economica marxista, che lo portano in definitiva ad adottare la dinamica di Marx come elemento base della sua personale sintesi post-keynesiana.

Nel seguito di questa sezione si riesaminano in particolare quattro voci del bilancio di Sylos: i) la teoria del valore-lavoro; ii) il ruolo degli schemi di riproduzione nella spiegazione della domanda effettiva e gli aspetti monetari ad essa legati; iii) la legge sulla caduta tendenziale del tasso di profittoe iv) l’interpretazione data alla dinamica della path dependence marxiana. Nel paragrafo conclusivo si tenta una caratterizzazione della sintesi di Sylos, tracciando una possibile rete di influenze reciproche con altri autori che hanno contribuito a sviluppare l’analisi post-keynesiana in senso lato.

4.1 La teoria del valore-lavoro

Come già osservato, i contributi di Sylos sulla teoria del valore- lavoro (Sylos Labini, [1991] 1994; 1992; 1982; 1973) riprendevano un’interpretazione tradizionale del problema della trasformazione, affermatasi da Böhm-Bawerk in poi, secondo cui la non proporzionalità dei prezzi di produzione ai valori lavoro rompe il nesso causale tra sfruttamento e profitto sviluppato da Marx e quindi rende inutile, in quanto non necessaria per lo sviluppo dell’argomentazione, la teoria del valore-lavoro. A sua volta la non proporzionalità tra valori e prezzi contraddiceva l’argomentazione a favore della caduta tendenziale del saggio di profitto. Tuttavia, per Sylos questo non escludeva la possibilità di correggere i calcoli di Marx sulla trasformazione, mostrando, come in Sraffa, che i prezzi di produzione possono essere ridotti a quantità datate di lavoro, né lo portava a negare l’esistenza dello sfruttamento, da lui considerata come un dato dell’esperienza.30

Per i partecipanti al vivace dibattito che si era sviluppato in Italia su questi temi tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, era infatti chiaro che Sraffa andava interpretato “in positivo”, come un contributo alla soluzione del problema della trasformazione. Vicarelli (1975) aveva esposto esaustivamente i termini di questo dibattito, ripercorrendo i contributi di Dmitriev, von Bortkiewicz e Sraffa e la letteratura a essi collegata, incluso Pasinetti (1977). L’articolo presentava una sistemazione che all’epoca era abbastanza consolidata in Italia, e quindi poteva essere considerata come nota da Sylos al momento di proporre il suo bilancio di Marx. Al termine di una revisione minuziosa, Vicarelli concludeva:31

“[i]l ‘problema della trasformazione dei valori in prezzi’, oltre che essere insolubile nel senso voluto da Marx, cioè oltre che mostrare la insostenibilità dell’idea-base che il valore e il plusvalore mutano di forma (si trasformano) ma si conservano come sostanza e come grandezza, si rivela dunque un falso problema. Il dibattito tuttora in corso sulla essenzialità o meno di mantenere la categoria del ‘valore’ non sembra tenere sempre conto del fatto che: a) è senz’altro possibile, come si e visto nella prima parte di questo lavoro, determinare correttamente i prezzi e il saggio del profitto partendo dai ‘valori’, cioè dalle quantità di lavoro incorporato nelle merci, usando il metodo ‘iterativo’ o la ‘merce composita’, ecc.; b) tale possibilità non ha però nulla a che vedere con la necessità di cui parlava Marx; c) in ogni caso, come si e cercato di dimostrare, le parti essenziali dell’edificio teorico marxiano possono rimanere in piedi anche senza i mattoni del ‘valore’, ‘plusvalore’, ecc.” (Vicarelli, 1975, pp. 137-138).

Come ha osservato Bellofiore (2008), quest’interpretazione ‘positiva’ della ‘correzione’ di Sraffa a Marx, trova conferma anche nei manoscritti inediti di Sraffa, conservati presso la Wren Library a Cambridge, che confermano che Sraffa con la sua teoria, oltre a sostenere la maggiore rilevanza dell’approccio classico del sovrappiù rispetto alla teoria marginalista (dei modelli circolari rispetto ai modelli ad arco), voleva confermare anche la validità della teoria del valore-lavoro di Marx. In proposito si può anche osservare con Petri (2012), che Garegnani (1981) considerava che l’analisi di Sraffa rafforzasse l’argomentazione di Marx (Petri, 2012, p. 2).

L’approccio sraffiano alla teoria del lavoro è stato esaminato sistematicamente da Pasinetti ([1975] 1977, appendice al cap. V, pp. 159-193) per il caso senza produzione congiunta e, nel caso più generale della riproduzione allargata, in Pasinetti ([1973] 1980). 32 L’analisi è stata estesa in Pasinetti ([1981] 1984), che ha poi sviluppato il caso dell’economia di puro lavoro in Pasinetti (1993). Sotto ipotesi che si possono applicare a casi concreti relativamente generali (progresso tecnico esogeno ma diverso da settore a settore, crescita della popolazione data, gusti governati dalla legge di Engel), il modello della dinamica strutturale di Pasinetti ha risolto la questione della scomposizione dei prezzi in lavoro incorporato e lavoro comandato, che è stato uno dei principali problemi dell’economia classica e che era stato un punto a cui Sylos Labini aveva sempre dedicato molta attenzione. Nel caso particolare in cui ogni settore produce un solo output e non vi è quindi produzione congiunta, Pasinetti ([1975] 1977) mostra che il problema della trasformazione si risolve con un’identità algebrica non lineare fra valori e prezzi di produzione che, pur essendo un po’ convoluta, resta relativamente accessibile (cap. V, relazione V.A.58). Il fatto che questa relazione sia un’identità non permette di stabilire una direzione di causalità fra valori e prezzi e quindi di porre lo sfruttamento alla base della spiegazione del profitto, confermando il punto di vista di Sylos, poiché entrambi sono determinati simultaneamente, ma permette comunque la riduzione del valore di ogni merce a quantità di lavoro datate (Salanti, 1990).

Il trattamento proposto in Pasinetti ([1981] 1984) fa invece ricorso più sistematicamente alla nozione di settore verticalmente iperintegrato (Pasinetti, [1973] 1981; 1988), grazie alla quale, usando i prezzi e i tassi di profitto “naturali” e scegliendo il salario come numerario, si può porre l’identità fra lavoro incorporato e lavoro comandato alla base del valore di ogni prodotto, là dove i prezzi e il tasso di profitto naturali sono “di equilibrio”, nel senso che rispettano la condizione per la realizzazione completa della domanda effettiva e quindi per la piena occupazione. A questo punto, ci si ritrova di fatto nel caso della economia di puro lavoro:

“[l]e caratteristiche ‘naturali’ fanno così riguadagnare al sistema economico tutte le proprietà di un’economia di puro lavoro, purché tutte le relazioni vengano riferite alle merci nella loro capacità di essere beni di consumo. L’uguaglianza di fondo che emerge è tra lavoro e consumo, sia in ciascun settore (verticalmente iperintegrato) – dove il valore ai prezzi naturali diventa uguale alla quantità fisica di lavoro – sia nel sistema economico nel suo complesso – dove il valore totale di tutti i beni di consumo diventa uguale alla forza lavoro.

Come il lettore si sarà reso conto, questa è una generalizzazione completa della teoria pura del valore-lavoro” (Pasinetti [1981] 1984, p. 167).

Il modello nel caso più intuitivo di un’economia di puro lavoro, illustrato in Pasinetti (1993), è applicato nel libro del 1984 al caso in cui il capitale è presente, la capacità produttiva in espansione e il tasso di profitto è positivo, cioè in condizioni ‘realistiche’ di riproduzione allargata. Tale modello permette di mostrare che quando i tassi di crescita del progresso tecnico sono diversi da settore a settore, in generale il tasso di profitto di piena occupazione non potrà essere uniforme. Come osserva Sylos ([1995] 1996, pp. 285-286), questi tassi di crescita settoriali vanno considerati esogeni solo per comodità e in prima approssimazione, ma, in una seconda approssimazione, dipenderebbero dagli incentivi introdotti dalla dinamica della struttura dei salari e dei prezzi.

Se nella dinamica strutturale di Pasinetti si impone una condizione di uniformità settoriale del tasso di profitto, allora i prezzi “di equilibrio” che permettono di garantire la piena occupazione non permettono più di definire il valore delle merci rispettando l’identità tra il valore del lavoro incorporato e quello del lavoro comandato. 33 In tal caso, in linea di principio nulla vieta di usare i prezzi naturali di Pasinetti come prezzi ombra e sviluppare così un calcolo economico basato sulla teoria del valore-lavoro. In effetti, nel suo esame delle scuole sraffiane odierne, Roncaglia (2009) osserva che, come riconosce lo stesso Pasinetti, la sua analisi ha carattere normativo e qualifica il programma di ricerca di Pasinetti come “sraffiano-ricardiano”, rispetto alla natura più positiva del programma “smithiano-sraffiano” di Sylos, entrambi da confrontarsi anche col programma “sraffiano-marxiano” di Garegnani. Roncaglia osserva, con ragione secondo chi scrive, che non vi è contraddizione fra questi tre approcci. 34 In particolare, essendo normativa, l’analisi di Pasinetti non concerne le forme di mercato né il mark-up, che l’interesse per l’analisi positiva di Sylos lo aveva portato ad analizzare a livello teorico ed empirico. Tuttavia non appare neppure in contraddizione con essa, come lo stesso Sylos aveva osservato, ad esempio in Sylos (1988), o in Sylos ([1995] 1996). In quest’ultimo articolo, dopo una discussione dettagliata del contributo di Pasinetti del 1981 Sylos conclude:

“[a] me pare evidente che i due modi di affrontare il problema della crescita non proporzionale, quello mio e quello di Pasinetti, tendono a convergere” (Sylos Labini, 1996 [1995], pp. 285-286).

Si può osservare che nella vasta letteratura sul problema della trasformazione, i riferimenti al contributo di Pasinetti del 1984 sono rari, malgrado frequenti accenni alla “soluzione sraffiana”. In Carlo Marx: è tempo di un bilancio Sylos Labini non lo menziona probabilmente perché, facendo astrazione di possibili considerazioni editoriali sull’opportunità di affrontare un tema così tecnico in una rivista non specialistica,35 la soluzione non inficiava, nella sostanza, la critica liberal- socialista della teoria del valore-lavoro già espressa da Rosselli e da Calogero, secondo la quale non si può accettare il determinismo di Marx. Poiché l’analisi di Pasinetti implica simultaneità e non causalità fra valori e prezzi,36 si può solo ammettere con Calogero che, posto su basi etiche che tutto il valore proviene dal lavoro, se ne possono dedurre gran parte delle conseguenze politiche tratte da Marx. Ma quest’adesione al principio etico del valore-lavoro presuppone il libero arbitrio di una scelta anteriore, che non può essere giustificato da nessun determinismo scientifico e, come tutte le scelte, è opinabile.

Non sembra peraltro che gli approcci alternativi alla teoria del valore-lavoro che si sono sviluppati negli ultimi decenni partendo dall’assunto che i valori siano ugali ai prezzi di produzione o, talvolta, ai prezzi osservati, riescano veramente nel loro intento di riabilitare la teoria nella sua versione originale. Non è questa la sede per una discussione approfondita di questa vasta letteratura, ma si può brevemente ricordare che Petri (2012) ha osservato che nella Nuova Interpretazione di Duménil (1980; 1983-1984) e di Foley (1982; 2000), come anche nell’approccio di Wolf et al. (1982) e nel Temporal Single System di Freeeman e Carchedi (1996), i prezzi relativi sono indipendenti dai valori lavoro e questi non svolgono nessun ruolo né nella determinazione dei prezzi né in quella dei profitti. Peraltro Foley non rigetta la teoria neoclassica, né spiega i punti sui quali la sua teoria si differenzia da essa. Wolf et al., così come Freeman e Carchedi soffrono delle stesse lacune. Bellofiore (2009a), critica invece Moseley (1993; 1997; 2002; 2004) per aver considerato la moneta come velo e per aver ammesso la possibilità di un’aggregazione dalla microeconomia alla macroeconomia, negando quindi qualsiasi fallacy of composition. Nel complesso, pur seguendo impostazioni diverse, Petri e Bellofiore convergono nel rigettare questo nuovi approcci, né sembrano negare la validità dell’interpretazione sraffiana della teoria del valore-lavoro (nella versione di Garegnani per Petri e in quella propria legata all’interpretazione marxista del circuito monetario per Bellofiore). Non sembra quindi che gli approcci alla teoria del valore-lavoro sviluppatisi negli ultimi decenni portino a rimettere in discussione i risultati sraffiani già enunciati e accolti da Sylos.

4.2 Domanda effettiva, crescita, sviluppo: aspetti monetari

Gli schemi di riproduzione, che fanno parte dell’eredità ‘positiva’ di Marx accettata da Sylos, definiscono le condizioni per la crescita bilanciata e permettono di introdurre i concetti keynesiani di domanda effettiva e di moltiplicatore, nonché il ruolo della moneta nell’analisi della crescita e dello sviluppo. Vale quindi la pena di tornare alla citazione riportata a pagina 96 per discutere alcuni aspetti impliciti relativi alle conseguenze teoriche delle condizioni per la crescita bilanciata in un modello a due settori. In particolare:

1.      la questione della convergenza di un modello di crescita dinamico verso il sentiero di crescita bilanciata (o uniforme);

2.      la teoria della crisi di Marx e la sua spiegazione in termini di realizzazione e/o di sproporzione fra i settori;

3.      la relazione degli schemi di riproduzione al moltiplicatore di Keynes e alla teoria della domanda effettiva;

4.      il ruolo delle forme di mercato nel generare le condizioni per la riproduzione semplice, la riproduzione allargata e il fenomeno del moltiplicatore;

5.      il rapporto dei punti precedenti con la visione monetaria del ciclo di Marx, Schumpeter e Sylos.

Sul punto 1), come osservato da Morishima (1973, cap. X, pp. 117- 128), gli esempi di riproduzione allargata di Marx convergono verso la crescita uniforme molto più rapidamente che non i corrispondenti schemi neoclassici (si vedano i riferimenti al § 4.3). Per Morishima questo è dovuto al comportamento degli investitori ipotizzato da Marx, che assume che i capitalisti del dipartimento I (settore dei beni di produzione) consacrino una frazione costante del loro sovrappiù all’accumulazione e che questa venga investita interamente nel loro stesso settore, mentre i capitalisti del dipartimento II (settore dei beni di consumo) adattano il loro investimento in modo da bilanciare offerta e domanda di beni capitali, investendo sempre e solo nel loro settore. Morishima dimostra che qualora i capitalisti dei due dipartimenti investissero fuori dal proprio settore, la convergenza verso la crescita uniforme non sarebbe più garantita. Inoltre, egli mostra che, con qualche modifica, è possibile ricavare dal modello della riproduzione allargata a due settori di Marx un modello del ciclo economico del tipo di quello sviluppato da Hicks (1950): generatore cioè di variazioni cicliche attraverso la combinazione deterministica del moltiplicatore e dell’acceleratore. Ciò conferma l’intuizione di Marx che la crescita uniforme è una prima approssimazione volta a facilitare il ragionamento sulla dinamica economica.

Sul punto 2), anche per Desai e Veneziani (2009, p. 24), gli esempi della riproduzione allargata presentati da Marx illustrano un insieme d’ipotesi, in parte contraddittorie con altri aspetti della sua analisi economica, che fa sì che la convergenza verso la crescita uniforme sia molto rapida. Fra queste, Desai e Veneziani enumerano le seguenti:

·         assenza di progresso tecnico, ciò che implica che il valore per unità di prodotto e la composizione organica del capitale sono costanti nei due dipartimenti di produzione;

·         tasso di profitto diverso nei due settori, calcolato in termini di valore e non in termini monetari;

·         tasso di profitto costante nei due settori, senza nessuna tendenza alla sua riduzione.

Ma, come osservato anche da Sylos, per Marx le condizioni di riproducibilità, siano esse relative alla riproduzione semplice o a quella allargata, non si verificano necessariamente nella realtà ‘del tempo storico’. Quando non sono verificate, si apre la possibilità della crisi. Per Sardoni:37

“gli schemi di riproduzione allargata possono essere visti come una spiegazione schematic da parte di Marx di quali speciali condizioni debbano essere soddisfatte perché la crescita capitalista avvenga senza crisi di sovraproduzione” (Sardoni, 1981, p. 387, nostra traduzione).

Come osservato inizialmente da Rosa Luxemburg e poi da Kalecki e da Kowalik (si vedano i saggi raccolti in Bellofiore et al., 2014), la possibilità di crisi ricorrenti negli schemi della riproduzione allargata prefigura il principio della domanda effettiva di Keynes, anche se Sylos preferisce non enfatizzare questo aspetto.

Kalecki (1968, p. 74, eq. 1) osserva infatti che la condizione di riproducibilità marxista, che scrive in un modello a tre settori P3=W1+W2, è sempre valida quando si esclude la possibilità di un’accumulazione infinita di stock di beni invenduti, e non solo, quindi, nelle condizioni della riproduzione allargata quando l’economia cresce a un tasso costante r. Ne consegue che, data la distribuzione del reddito fra profitti e salari nei tre dipartimenti, l’investimento lordo e il consumo dei capitalisti Ck determinano i profitti e il reddito nazionale. In altre parole, le variabili che determinano la realizzazione dei profitti e del reddito fuori dalle condizioni della crescita bilanciata sono decise dalla classe dei capitalisti, un fatto che Robinson e Kaldor hanno tradotto nel famoso apologo che i salariati consumano quello che guadagnano e i capitalisti guadagnano quello che spendono. Per Kalecki, che, per seguire l’impostazione di Marx, esamina un modello senza governo e settore estero, fuori dalle condizioni per la crescita bilanciata, la domanda effettiva deriva quindi direttamente dalla condizione di riproducibilità e dipende dalle decisioni degli imprenditori sull’investimento.

Kalecki osserva pure che sul sentiero di crescita bilanciata si ha necessariamente la costanza del rapporto capitale/prodotto e che è su questa base che si sviluppa la moderna teoria della crescita, da Harrod- Domar in poi. Perché l’economia resti sul sentiero in cui il rapporto capitale prodotto è costante bisogna che i capitalisti investano a sufficienza. Se per un motivo qualsiasi l’investimento realizzato è inferiore a quello necessario per la crescita bilanciata, non ci sono motivi di credere che si torni alla crescita uniforme. Per cui, per la stabilizzazione di un’economia capitalistica sono indispensabili i “mercati esterni” al settore privato nazionale, cioè i mercati esteri, il governo e, per certi versi, l’azione del progresso tecnico. Kalecki aveva quindi individuato nell’aumento della spesa pubblica, in particolare per la difesa, la ragione della stabilità dell’economia capitalista nella fase del primo dopoguerra, un messaggio che pochi hanno capito in occidente, tra cui, come testimoniano i riferimenti precedenti sulla moneta endogena (Sylos Labini, 1949) e sul ruolo del governo nel circuito monetario (Sylos Labini, 1979), si può annoverare Sylos Labini.

Sul terzo punto elencato sopra, per Sylos (1982, p. 98) il legame fra Keynes e gli schemi di riproduzione di Marx esiste ed è dimostrato, nel modello a due settori, dalla relazione C+ I = v1 + v2 + sco + sav + sac dove rappresentano rispettivamente il consumo e gli investimenti, v1 è il capitale variabile nel settore del consumo, v2 in quello degli investimenti, sco la quota consumata del sovrappiù, sav la quota del plusvalore accumulata in capitale variabile (salari) e sac quella accumulata in capitale costante (materie prime, prodotti intermedi, variazione di scorte, macchine e impianti). Questa relazione implica però che il modello di Keynes non può diventare un modello circolare se non al prezzo di radicali mutamenti, essenzialmente perché non include il capitale costante nella definizione del reddito.

Trigg (2006, p. 19), sulla scia dell’analisi di Pasinetti, su cui si tornerà più avanti, deriva algebricamente un’espressione del moltiplicatore dagli schemi di riproduzione espressi sotto forma d’input- output. In quest’espressione il termine equivalente alla propensione al consumo keynesiana rappresenta il valore della forza lavoro. La trattazione di Trigg rivela i numerosi caratteri comuni fra gli schemi di riproduzione di Marx, il moltiplicatore keynesiano, il moltiplicatore di Kalecki e la teoria del circuito monetario.

Sul punto 4), per Sardoni (2009, pp. 169-171) bisogna essere però prudenti nell’individuare in Marx un concetto già compiuto di moltiplicatore e quindi di domanda effettiva, poiché nella logica classica di Marx l’output è dato e l’economia opera sempre alla piena capacità produttiva, anche se non necessariamente in regime di piena occupazione della forza lavoro, e in condizioni di concorrenza perfetta. È solo durante le crisi periodiche di sovrapproduzione che si può parlare di un problema di domanda effettiva in Marx. In generale, perché la domanda effettiva sia inferiore all’offerta e crei un equilibrio in cui la capacità non è pienamente utilizzata, bisogna abbandonare alcune delle ipotesi originarie di Marx, e in particolare quella di concorrenza perfetta. Su questo punto Sardoni sembra concordare con Sylos Labini ([1957] 1975, parte III) che sostiene che un difetto permanente di domanda effettiva può verificarsi solo con strutture di mercato oligopolistiche, in modo particolare nel lungo periodo. In caso contrario il moltiplicatore keynesiano, che è l’altra faccia della medaglia della domanda effettiva, ha senso solo nel breve termine (si veda anche Sylos Labini, [1992] 2007).

Infine sul punto 5), sulla moneta, Sylos riprende e sviluppa l’analisi svolta da Schumpeter nel caso del flusso circolare, inserendola in una dinamica di sviluppo con path dependence, fuori cioè dalle condizioni di crescita bilanciata enunciate negli schemi di riproduzione. Per Kalecki, meno esposto all’influenza di Schumpeter ma più vicino a Keynes e spesso in anticipo su di lui, il fattore monetario spiega la genesi della domanda effettiva, e risponde alla critica degli schemi della riproduzione allargata di Marx sviluppata da Rosa Luxemburg (Bellofiore, 2009b; Kowalic, 2009). Anche Kalecki dava una lettura ‘di squilibrio’ della dinamica economica in termini di path dependence (Sawyer, 1985), legata anche alla sua teoria dei profitti, sulla quale si può presumere che Sylos, che era un suo ammiratore, concordasse. Entrambi gli autori accoglievano quindi la spiegazione monetaria della causalità keynesiana tra investimenti e risparmio che trova un’illustrazione chiara nel flusso circolare.

Tuttavia Sylos rifiutava la lettura del flusso circolare di Schumpeter fatta dalla teoria del circuito monetario,38 malgrado questa si basi sulla teoria dei profitti e della distribuzione di Kalecki, dia una spiegazione monetaria della genesi dei profitti in termini di moneta endogena39 e sia compatibile con la path dependence. Il circuito esprime infatti un equilibrio monetario temporaneo che non è unico né stabile (Graziani, 2003, p. 147). Come chiarito da Graziani (2003, pp. 125-128), in questo equilibrio temporaneo, che non presume nessun profilo particolare per il debito, 40 la disoccupazione è “d’equilibrio”, come lo è d’altronde in qualsiasi approccio veramente keynesiano (nozione di equilibrio come ‘soluzione’ di un sistema macroeconomico, cfr. Artus et al., 1986, pp. 120-122) e può avere radici monetarie e finanziarie che si situano nella discrepanza fra tasso di interesse sulle obbligazioni emesse dalle imprese e tasso di interesse sui prestiti bancari.

In un contesto di path dependence, che si svolge necessariamente fuori dai binari dell’equilibrio walrasiano, il circuito ha dato due spiegazioni della creazione monetaria dei profitti: una prima, più vicina all’analisi marxista, secondo cui tutto il valore trova origine nel lavoro e quindi i profitti rappresentano un trasferimento dovuto all’espropriazione dei salari durante la fase di realizzazione (com’è il caso nella teoria delle emissioni di Cencini e Schmitt, 1986-1987, e in Schmitt, 2012) e una seconda, più vicina alla tradizione della banking school, secondo cui i profitti sono un sovrappiù anticipato dai produttori e validato dal sistema bancario attraverso creazione monetaria (Parguez, 2004).41

Si può quindi concludere su questo punto che Sylos, grande ammiratore di Kalecki e profondo conoscitore di Marx e Schumpeter, ha colto pienamente la rilevanza dei fattori monetari nella genesi delle crisi e in generale delle fluttuazioni delle economie capitaliste, come testimoniato dal fatto, già rilevato, che trova nelle analisi monetarie di Marx uno degli aspetti più positivi della sua analisi. Ma non ha percorso la via presa in seguito dalla teoria del circuito per integrare Keynes negli schemi di Schumpeter e Marx. Criticando giustamente Marx per non essere riuscito a dimostrare che il profitto trova origine nello sfruttamento a causa delle lacune della sua teoria del valore-lavoro, Sylos non ha posto l’accento sul fatto che Marx è stato il primo economista che ha proposto una spiegazione macroeconomica del profitto in termini monetari.42

4.3 La caduta tendenziale del saggio di profitto

Sylos individua nella legge della caduta tendenziale del tasso di profitto uno degli errori economici di Marx, cui però non dà eccessivo rilievo, adducendo che essa è incompatibile con altri aspetti della teoria marxiana, mentre rappresenta un’interessante descrizione della convergenza verso l’equilibrio in condizioni di riproduzione allargata. Il processo di convergenza verso l’equilibrio è raramente discusso dall’economia neoclassica, 43 dove sarebbe cruciale per dimostrarne la stabilità. In assenza di stabilità di quest’equilibrio cade l’ipotesi, assunta a priori in tanta letteratura sulla regulation e sull’intervento pubblico, che i mercati si equilibrino spontaneamente, ipotesi necessaria ad esempio per giustificare la posizione di principio a favore delle privatizzazioni o le politiche di austerità. Se, infatti, l’annullamento dei profitti è una condizione per la “massima efficienza” dell’equilibrio neoclassico statico in condizioni di concorrenza perfetta (Allais, 1986) o dell’equilibrio di lungo termine corrispondente (Desai, 2008), qualsiasi sentiero di convergenza verso l’equilibrio che parta da una posizione con (sovra-) profitti positivi, deve necessariamente essere caratterizzato da una loro caduta, come Pigou (1943) aveva ben capito e come è anche implicito in Allais ([1943] 1994); [1981] 1989). In condizioni dinamiche, questa condizione corrisponde poi all’eguaglianza del tasso di profitto col tasso d’interesse e col tasso di crescita dell’economia, ferme restando la tecnologia e gli altri fattori esogeni.

Le analisi empiriche degli autori neoclassici mostrano che in genere, quando c’è convergenza verso la crescita uniforme, questa convergenza è molto lenta, contrariamente a quanto accade negli esempi della riproduzione allargata dati da Marx. 44 La conclusione che emerge da questi modelli è che, assumendo una tecnologia identica e una determinazione esogena del tasso di crescita di equilibrio, diversa per ogni regione e/o paese, la convergenza verso il sentiero di equilibrio è lenta: dell’ordine del 2% l’anno. Come osserva Sala-i-Martin (1996) questo significa che ci vogliono trentacinque anni per recuperare metà della distanza tra il livello di reddito iniziale e quello del sentiero di equilibrio con crescita uniforme. Quest’ultimo non è però necessariamente unico per tutte le regioni e/o i paesi, per cui, anche quando la convergenza verso il sentiero di crescita uniforme specifico alla regione e/o al paese si verifica, non implica necessariamente una riduzione della dispersione ‘trasversale’ (o spaziale) dei livelli di reddito nel tempo.

Si può quindi dire che, secondo gli autori neoclassici, quando c’è, la tendenza verso la crescita uniforme a tasso costante (steady state) è molto lenta e non comporta necessariamente una tendenza alla riduzione della dispersione totale dei redditi. Al contrario, osservando un’evoluzione verso l’aumento della dispersione nella distribuzione dei redditi, si può dedurre che non vi è convergenza verso l’equilibrio e quindi inficiare le conclusioni di politica economica desunte dai modelli che presuppongono una tale convergenza, come ad esempio l’analisi neoclassica dei mercati competitivi o il socialismo di mercato.

Al contrario, per molti degli autori marxisti che hanno affrontato il tema, non è sufficiente osservare una dispersione crescente dei redditi e un’evoluzione della loro distribuzione sfavorevole al lavoro per invalidare la teoria marxista della caduta tendenziale del tasso di profitto, come anche non basta un’evoluzione negativa della profittabilità ‘contabile’ per confermarla. Bisogna, infatti, distinguere in primo luogo l’evoluzione relativa dei profitti da quella del tasso medio di profitto. Inoltre occorre essere precisi nella definizione del tasso di profitto e scegliere dati statistici che siano conformi ai concetti teorici sottoposti a verifica.

Reati (1980; 1981; 1984; 1986) e Reati e Roland (1988) hanno condotto una minuziosa verifica empirica dell’evoluzione del tasso di profitto nell’industria in diversi paesi europei dal primo dopoguerra all’inizio degli anni ottanta, nella prospettiva dei cicli lunghi di Mandel.45 Questi lavori sono molto accurati nella scelta e nella definizione degli indicatori statistici utilizzati, includendo ad esempio tutto il capitale circolante al denominatore della redditività. Reati parte dal principio teorico che la caduta del tasso di profitto prevista da Marx è un fenomeno di lungo periodo ed è tendenziale solo quando si accompagna a un aumento della composizione organica del capitale. Le sue conclusioni empiriche sono che nella maggior parte dei paesi esaminati c’è stata effettivamente una caduta del tasso di profitto dell’industria fino alla fine degli anni settanta, ma che questa è stata dovuta a fattori diversi dall’intensità capitalistica: essenzialmente un’evoluzione della distribuzione del reddito sfavorevole ai profitti industriali. Altri autori marxisti che hanno trattato la questione sono Weisskopff (1979; 1985) e Wolff (1979; 1988; 2003), Moseley (1985; 1987; 1988), Shaikh e Tonak (1994), Shaikh (1997). In generale si osserva una tendenza alla riduzione del tasso di profitto fino a circa la fine degli anni ottanta, seguita da un movimento inverso fino alla crisi recente. Un’evoluzione simile si era già registrata nel periodo tra le due guerre mondiali negli Stati Uniti e in Inghilterra e, anche se conforme alla tesi delle onde lunghe di Mandel, implica che per periodi decennali non vi è nessuna caduta dei profitti e quindi pare difficile parlare di “caduta tendenziale”.

Peraltro il verdetto empirico sull’evoluzione della distribuzione dei redditi è abbastanza chiaro, soprattutto per gli ultimi tre decenni. I dati diretti sulla profittabilità sembrano confermare la dispersione crescente dei redditi. Con le dovute cautele, sembra allora lecito concludere con Sylos che la previsione sulla caduta tendenziale del tasso di profitto sia uno dei punti sui quali le previsioni di Marx si sono rivelate più inesatte, anche se, come egli nota, Marx aveva individuato diversi fattori che si sarebbero potuti opporre a questa tendenza.46

Al tempo stesso, a seguito dell’aumento della quota dei profitti negli ultimi decenni, se forse l’immiserimento della classe lavoratrice non è ancora completo, certamente le classi medie si sono sostanzialmente ridimensionate: dal “compromesso fordista” in cui circa i due terzi della popolazione appartenevano a una classe media benestante, si sta passando a una società dove solo un terzo della popolazione è in queste condizioni e, in molti paesi europei, il tasso di disoccupazione ufficiale si avvicina e supera il quarto della popolazione attiva, per non parlare delle stime estremamente allarmanti sul tasso di disoccupazione effettivo, che superano abbondantemente il terzo della popolazione adulta in molti paesi industriali, e si dirigono verso il 50% in alcuni di essi (popolazione adulta totale, e non solo giovanile). Quindi, se negli ultimi decenni la legge tendenziale sulla caduta dei profitti appare contraddetta dai fatti, la tesi dell’immiserimento delle classi lavoratrici sembra rafforzarsi.

Queste evoluzioni sono in contraddizione con gli approcci che prendono la stabilità dell’equilibrio a profitto zero di Walras e Pareto come principale riferimento concettuale non solo per l’economia normativa ma anche, di fatto, per le analisi positive, come fanno ad esempio la maggior parte delle analisi mainstream ‘applicate’ (Public ChoiceEfficient Market Hypothesis, modelli di Dynamic Stochastic General Equilibrium) e quelle, logicamente speculari, che s’ispirano al socialismo di mercato.47 In un periodo di trionfo del liberismo in politica economica si è osservato, infatti, che le disparità di reddito sono aumentate, in una fase in cui la profittabilità era in ascesa. Le fasi di aumento della profittabilità, in particolare quella virtuale della rendita finanziaria, evidenziano una divergenza crescente rispetto all’equilibrio di lungo termine della concorrenza perfetta. I modelli circolari e a spirale si rivelano allora più pertinenti di quelli ad arco poiché, interpretati in una logica di path dependence, prevedono un’evoluzione divergente dall’equilibrio, in assenza di correttivi di politica economica. Ne consegue che l’analisi post-keynesiana in senso lato (si veda § 4.5) è più adeguata del socialismo di mercato per esaminare la realtà e trarne delle indicazioni di politica economica.

4.4 La dinamica della path dependence: Schumpeter, Lange e Kalecki

Come osservato da Jossa nel suo articolo sul Ponte, per formulare un giudizio sintetico sulla posizione di Sylos relativamente a Marx e in particolare sulla sua dinamica, un punto da chiarire è ovviamente: “quale Marx?”.48 Dato che Sylos basava le sue analisi sugli autori del passato su una lettura attenta dei loro testi originali, la prima risposta a questa domanda non può che essere: “Il Marx che emerge dai suoi scritti”; ma questa non è del tutto soddisfacente, perché è noto che l’opera di Marx si compone solo in parte di lavori portati completamente a termine, e comprende numerose contraddizioni. Per aggirare quest’ostacolo, in questo paragrafo si confronta la lettura di Sylos a quella di altri tre grandi economisti che sono stati molto influenzati da Marx, rappresentativi del circolo (Schumpeter), dell’arco (Lange) e della spirale (Kalecki). Seguendo Sylos nella sua definizione ironica, questi autori potrebbero essere definiti rispettivamente un marxista ‘conservatore’, un marxista ‘neoclassico’ e un marxista ‘post-keynesiano’. Il paragone porta a concludere che Sylos, partito anch’egli dal flusso circolare stazionario di Schumpeter, pur non citando mai espressamente quest’autore, rigetta l’interpretazione ‘statica’ che ne fa il socialismo di mercato di Lange, molto influente fin dagli albori del marginalismo (Steedman, 1995), e sviluppa invece una dinamica propria, molto vicina a quella della path dependence di Kalecki.

4.4.1 Schumpeter

Come già detto, dal suo punto di vista liberal-socialista, 49 Sylos Labini riconosceva pienamente gli importanti contributi di Marx all’economia politica, restando molto distante dal Marx ‘politico’ e mettendo in luce alcuni punti critici della sua analisi economica. Dal punto di vista economico, Sylos ammirava sia Marx che Schumpeter per avere sviluppato una teoria dello sviluppo che combina ciclo e trend in condizioni di concorrenza. Per entrambi, anche se con sfumature diverse, lo sviluppo risulta dall’impatto del progresso tecnico in un’economia dove la moneta è creata dal credito, un approccio seguito anche da Sylos.

Tuttavia, come discusso al § 3.1, Sylos individuava una sottile contraddizione logica nel ragionamento del suo maestro di Harvard, che riconosceva pienamente la grandezza di Marx ma considerava Walras il principe di tutti gli economisti. Sylos rilevava che, al contrario di Marx, Schumpeter non ammetteva l’esistenza di un sovrappiù in condizioni di concorrenza stazionarie, cioè nel flusso circolare, corrispondente alla riproduzione semplice di Marx. Peraltro, mentre sia Marx che Schumpeter avevano illustrato il processo di sviluppo economico in condizioni di concorrenza, Marx aveva previsto il processo di concentrazione industriale molto prima che esso si producesse, anche se non era stato capace di prevederne le conseguenze per la sua analisi. Schumpeter invece, che aveva osservato i primi sintomi del processo di trustificazione dell’economia capitalista, non diede loro un peso eccessivo, argomentando che in ogni caso i profitti di monopolio sarebbero stati temporanei e quindi il flusso circolare poteva servire come modello di riferimento anche per il lungo termine.

Infatti, era chiaro a Schumpeter che il flusso circolare stazionario rappresenta l’estensione naturale dell’equilibrio generale statico di concorrenza perfetta al tempo storico (si veda ad esempio Pigou, 1943; Ricci, 1936; e, mutatis mutandis, il regime dell’età dell’oro di Joan Robinson, 1956). Nell’usare Walras e il suo modello di equilibrio economico generale anche per l’analisi del ciclo e dello sviluppo economico, Schumpeter accettava anche che gli equilibri di concorrenza perfetta, caratterizzati dall’usuale condizione di azzeramento dei profitti (o dei sovra-profitti, si veda ad esempio McKenzie, 2002 p. 192, condizione II, o Desai, 2008) 50 sono rilevanti anche per la dinamica economica.51 In altre parole, Schumpeter applicava il suo modello del flusso circolare in condizioni di concorrenza anche all’analisi dello sviluppo economico, cosa che Sylos gli contestò apertamente (Ferlito, 2011).

4.4.2Lange52

Avendo studiato con Schumpeter, Oskar Lange era, come Samuelson e al contrario di Sylos, rimasto affascinato dal modello di equilibrio generale di Walras e Pareto col quale Barone (1908a; 1908b) aveva dimostrato per primo l’equivalenza fra ottimo di mercato decentralizzato in un’economia competitiva e massimo di benessere collettivo in un’economia pianificata centralmente. Lange (1935; 1936b; 1937) usò questo modello nel dibattito sul calcolo economico socialista svoltosi negli anni trenta del secolo scorso (Levy e Peart, 2008) per sviluppare i suoi argomenti a favore del ‘socialismo di mercato’ contro Hayek ([1935] 1963) e Mises. Mantenne poi questo modello come riferimento centrale nei suoi scritti a favore delle politiche di piena occupazione in un’economia capitalista avanzata (Lange, 1944).

Sylos rifiutava invece il concetto di equilibrio che sottende il modello ad arco del socialismo di mercato alla Lange. Già nel 1961, in un testo che pronunciò nell’assumere la cattedra di Economia all’università di Bologna che era stata precedentemente di Bresciani Turroni e di Federico Caffè, aveva osservato:

“[d]unque, uno schema generale come quello dell’equilibrio economico è criticabile non perché è astratto – lontano dalla realtà –, ma in quanto non consente alcune essenziali approssimazioni, due in modo particolare: l’ipotesi ‘dinamica’ – ossia dello sviluppo –, in sostituzione dell’iniziale semplice ipotesi ‘statica’; e l’ipotesi generalizzata di forme di mercato diverse dalla concorrenza. Occorrono schemi generali che siano suscettibili di siffatte ulteriori approssimazioni” (Sylos Labini, 1961, p. 380).

Da questo punto di vista, Sylos ([1956] 1975) ha sviluppato in particolare l’analisi delle forme di mercato oligopolistiche in situazioni statiche e dinamiche. Quindi, non solo si schierava con Marx contro Schumpeter e Lange, sul fatto che un sovrappiù può esistere anche in condizioni stazionarie di concorrenza perfetta, ma attraverso la sua analisi dinamica delle barriere all’entrata in condizioni di oligopolio mostrava come i profitti che Barone, Schumpeter e Lange consideravano temporanei, e quindi trascurabili, potessero diventare permanenti. Così facendo Sylos prendeva ulteriormente le distanze sia da Schumpeter sia da Lange, per avvicinarsi a un altro grande economista marxista polacco: Michael Kalecki.

4.4.3 Kalecki

Mentre Lange non è mai citato, Sylos cita ripetutamente Kalecki nel suo libro di testo sulla dinamica economica, sia sul piano microeconomico, per l’analisi della formazione dei prezzi in mercati non concorrenziali, che per le conseguenze macroeconomiche della sua teoria dei profitti. Dato il disinteresse di Sylos per i modelli ad arco, se Lange e Kalecki fossero presi rispettivamente come riferimento per il socialismo di mercato e per gli approcci che lo rifiutano a favore di una visione propriamente dinamica, si può assumere che Sylos avrebbe optato per i secondi. In effetti, è abbastanza sterile discutere su come il socialismo possa replicare e superare un’economia competitiva decentralizzata, prendendo come riferimento un modello teorico di quest’ultima che è irrilevante per descrivere e spiegare la sua realtà.53

Ora Kalecki, talvolta più dello stesso Keynes, è uno dei principali autori da cui si è sviluppato l’approccio post-keynesiano, che Sylos condivideva e al quale ha fornito contributi sostanziali. Sylos aveva, infatti, rifiutato categoricamente la sintesi neoclassica keynesiana, prima ancora che questa diventasse egemonica nel dopoguerra e fino ai primi anni settanta del secolo scorso, in particolare nel suo articolo sui “keynesiani” del 1949, pubblicato anche in appendice al trattato di economia monetaria di Breglia ([1947] 1955).

Dal punto di vista economico, Sylos era dunque più vicino a Kalecki che non a Lange, rifiutando energicamente l’analisi politica di Marx e, più particolarmente, quello che individuava come il suo cinismo. Ma, al tempo stesso, Sylos era influenzato dalla dinamica di Marx e rifiutava categoricamente il carattere inerentemente statico dell’analisi neoclassica, accolto invece da Lange. La posizione di Sylos su Marx sembra dunque agli antipodi di quella di gran parte della sinistra socialdemocratica europea odierna, che non disdegnando talvolta un certo cinismo, trascura qualsiasi riferimento all’economia marxista e alla sua dinamica. Adotta cioè i modelli ad arco e rigetta quelli a circolo o a spirale, aderendo a un marginalismo compatibile col socialismo di mercato di Lange.

4.5 Conclusione: dal circolo alla spirale

Discutere dell’influenza di Marx su Sylos pone inevitabilmente la questione dell’influenza di Marx sull’economia post-keynesiana in senso lato. 54 Attraverso l’uso che Schumpeter fa dello schema del flusso circolare, si pone anche la questione della relazione fra Marx e l’economia neoclassica, che investe appunto il tema della relazione tra socialismo liberale e socialismo di mercato, di cui si critica qui la deriva ‘liberista’ degli ultimi decenni. Il diagramma seguente, che non ha pretese di esaustività, tenta di illustrare una possibile rete di influenze reciproche fra i principali esponenti di questi approcci.

Figura 1 ‒ Marx, Schumpeter e Sylos Labini

Preso Marx come punto di partenza dell’economia classica (cioè della tradizione che va da Petty a Ricardo e Marx, via Quesnay, Smith ecc.), si può tracciare una linea ideale che rappresenta l’influenza degli approcci circolari su Schumpeter, un’altra linea, che lega questi schemi al moltiplicatore di Keynes, una terza linea che lega quest’approccio a Kalecki, e all’uso che egli fa degli schemi di riproduzione di Marx (anticipando Keynes)55 e infine una linea che, attraverso Sraffa e più in generale i post-keynesiani di Cambridge (Pasinetti, 2007), giunge all’approccio post-keynesiano contemporaneo in senso lato. La relazione tra Marx e Keynes è stata oggetto di numerose trattazioni ed è esaminata in maniera particolarmente interessante da Halevi (1991; 1992; 1999).

Da Schumpeter si sviluppa poi, via Lange, anche uno dei rami principali dell’economia neoclassica, nell’interpretazione che ne fa ad esempio Samuelson, anch’egli allievo di Schumpeter, o nell’economia stazionaria di Pigou (1943). Come argomentato in precedenza, il socialismo di mercato si avvale dei modelli ad arco e, in parte, trova anch’egli la sua origine nello schema circolare di Schumpeter. Come si evince dall’analisi che ne fa Sylos, quest’ultimo rappresenta una realtà essenzialmente stazionaria: a causa dell’ipotesi di assenza di profitto, lo schema può essere usato per l’analisi dello sviluppo solo forzando la sua logica ad arco.

Schumpeter influenza anche l’economia post-keynesiana attraverso autori come Minsky o Sylos, che però è anche fortemente influenzato da Sraffa (Sylos Labini, 1982, pp. 93-104). Tutta la tradizione di matrice post-keynesiana deriva dalla presenza di un sovrappiù anche nello schema circolare stazionario la spiegazione dei profitti e la possibilità dello sviluppo economico. In questo senso la dinamica di Sylos può dirsi profondamente impregnata della dinamica di Marx, che influenza anche tutto l’approccio post-keynesiano.56

Sylos Labini ha dunque sviluppato una propria sintesi della dinamica economica basata sulla nozione classica di sovrappiù (Sylos, [2004] 2005), interpretato sia nel caso della concorrenza perfetta che in quello in cui prevalgono forme di mercato oligopolistiche. Peraltro egli predilige un atteggiamento pragmatico e induttivo, che parte dall’osservazione empirica della realtà, dove prevalgono le forme oligopolistiche di mercato. Dal punto di vista teorico, Sylos non sviluppa un singolo modello unitario, ma si avvale di modelli diversi secondo i bisogni. Questi modelli descrivono però aspetti diversi di un’economia pienamente dinamica e monetaria. Sylos è, infatti, partito da Schumpeter e dal suo modello del flusso circolare, che ha però corretto per quanto riguarda gli aspetti di sviluppo (dal circolo alla spirale) e di forme di mercato (possibilità di profitti permanenti dovuta a forme di mercato oligopolistiche), accogliendo l’analisi monetaria e bancaria fatta da Schumpeter nel caso stazionario, che ha esteso alla “spirale dello sviluppo”. È quindi più vicino a Kalecki, a Keynes e ai post-keynesiani che non a Lange. È chiaro che il tipo di sintesi post-keynesiana che suggerisce implicitamente il contributo di Sylos integra pienamente Sraffa, che certi post-keynesiani tendono invece a considerare ai margini del loro approccio.57 Questa sintesi, che si avvale di una pluralità di modelli specifici a seconda dello scopo e si propone di servire da guida per l’azione di politica economica, risponde anche al programma di ricerca di una teoria monetaria della produzione, concepito, ma non portato a termine da Keynes.58

 

5. Implicazioni di politica economica: socialismo liberale o social- liberismo?

Poco dopo la caduta del muro di Berlino, la scelta di Sylos di lanciare un dibattito nel quale, oltre a confermare il suo rifiuto categorico di Marx sul piano etico e politico, sottolineava diversi punti positivi della sua analisi economica, in particolare per quello che concerne la dinamica, non mancava di coraggio. Il giudizio positivo dell’economista Sylos Labini sull’economista Marx, che riprendeva in gran parte posizioni già espresse in passato, pare confermato oggi, dato che molte delle lacune individuate da Sylos sembrano meno importanti alla luce degli sviluppi intercorsi nel frattempo. In effetti, se si accetta il trattamento sraffiano della teoria del valore-lavoro sviluppato da Pasinetti (1981; 1988) come correzione di quello errato di Marx, il solo vero errore economico di Marx sembra essere stato la sua legge sulla caduta tendenziale del tasso di profitto, che, anche facendo riferimento a concetti di contabilità nazionale prossimi alle categorie teoriche marxiste, sembra difficile da riconciliare coi fatti degli ultimi trent’anni. Peraltro questi stessi fatti non sono neppure spiegabili in termini di analisi mainstream, né quindi in termini di socialismo di mercato.

Nel complesso, ancora oggi, l’analisi critica di Marx da parte di Sylos sembra dunque valida. In particolare, per la parte che accoglie pienamente, e con giudizio positivo, gli schemi di riproduzione semplice e allargata, che rappresentano un aspetto essenziale per l’analisi della domanda effettiva keynesiana.

La discussione lanciata da Sylos Labini nel 1991 porta allora a chiedersi se chi ripone le sue speranze politiche nel riformismo e nella socialdemocrazia non debba oggi sostanzialmente rivalutare Marx come economista nel costruire una nuova sintesi per l’azione di politica economica. Questa svilupperebbe l’approccio di Keynes in senso dinamico. Il riesame critico di Marx da parte di Sylos è quindi complementare agli sforzi fatti da altri ‘ottimisti radicali’ che hanno contribuito a costruire e rendere più solido il nucleo analitico di quelle che si possono definire analisi post-keynesiane in senso lato. I tratti comuni di queste correnti diverse sono stati discussi altrove, e in particolare in Lavoie (2009; 2014), in Vickrey (1997) e in Roncaglia e Tonveronachi (2015). Essi appaiono ex post come possibili elementi costitutivi di una sintesi che si situerebbe ai confini fra l’approccio classico (Roncaglia e Sylos Labini, 1995), Keynes, Sraffa, le analisi post- keynesiane (sia americane che britanniche e australiane) e la tradizione marxista (Halevi, 1992). Tali analisi sembrano convergere verso una forma strutturale comune, ancora in via di sviluppo, nella quale le variabili di politica economica esogene sono gli strumenti di politica fiscale e il tasso d’interesse e, come in Marx e Sraffa, la distribuzione influenza i prezzi relativi (Sylos Labini, 1973) e quindi anche l’allocazione delle risorse. Questo nuovo approccio sarebbe pienamente dinamico, e necessiterebbe di modelli teorici in cui la politica economica ha effetti nel tempo storico, 59 la scarsità non sarebbe il destino ineluttabile dell’umanità (Parguez, 1996; Roncaglia, 2012) e il processo democratico potrebbe definire politiche economiche che permettano di raggiungere la piena occupazione e altri obiettivi economico-sociali importanti per la stabilità economica. Quest’aggiornamento favorirebbe un ritorno agli obiettivi classici della politica economica60 e condurrebbe a riconoscere che la domanda effettiva non può più essere trascurata nella formulazione delle politiche economiche in Europa.

Come visto, la riproduzione semplice e la riproduzione allargata suggeriscono un’analogia col moltiplicatore keynesiano (Sardoni, 1981; 1997; 2011) e quindi con la domanda effettiva. Peraltro, come evidenziato da Kurz (1985) e da Roncaglia (1998), il modello di Sraffa può essere interpretato come blocco della distribuzione in un modello dinamico e, a sua volta, accettata l’ipotesi che in tale contesto vi è necessariamente squilibrio e path dependence, fornisce una generalizzazione del moltiplicatore ‘statico’ di Keynes e Kahn, che altrimenti nel tempo storico si può applicare solo al breve termine. Lo stesso collegamento si può fare col trattamento a due settori dato da Hicks al problema della traversa (Halevi, 1991; 1992). In conformità con queste analisi, e come pare implicito dalla lettura di Marx fatta da Sylos Labini, la necessità di controllare la domanda effettiva emerge allora nel breve e nel lungo periodo, in mercati concorrenziali e ancor più in mercati oligopolistici. Occorre quindi prendere in conto questa necessità nella formulazione della politica economica.

Inoltre, come già evidenziato da Kalecki e argomentato da Vickrey (1994; 1997; 2000), un deficit e un debito pubblico sufficienti a soddisfare i desideri di risparmio del settore privato sono una condizione necessaria per la stabilizzazione di un’economia path dependent. In un’economia monetaria a carattere federale, la ragione per cui gli Stati nazionali devono ridurre il deficit e il debito pubblico non è allora, come fa pensare la lingua tedesca, che questi sono ‘una colpa’, ma il fatto che in un processo d’integrazione gli stati nazionali diventano regioni, e come tali devono necessariamente perdere la capacità di creare moneta e quindi perdono la disponibilità piena dello strumento di politica fiscale. Questa però deve essere logicamente ripristinata a livello dello stato federale, in una logica democratica di sussidiarietà che parta dalla volontà comune degli stessi stati nazionali.

Tuttavia, a quasi sei anni dall’emergere della crisi dei subprimes, quando per la quarta volta dal suo inizio nel primo semestre del 2014 le prime pagine dei giornali hanno segnalato “i primi segni della ripresa”, subito smentiti nel secondo semestre, e quando la caduta dell’euro e del prezzo del petrolio all’inizio del 2015 alimentano di nuovo aspettative positive di un’uscita dalla crisi, è meno che mai all’ordine del giorno un qualsiasi riesame dell’adesione acritica ai modelli ad arco della sintesi neoclassica e del loro equivalente politico del socialismo di mercato come unico riferimento per la politica economica delle forze progressiste in Europa (Arestis e Sawyyer, 2001). 61 Questi sembrano destinati a restare un ‘assioma primitivo’ che, come tale, non può neanche essere discusso.

Al contrario, tutto il lavoro di Sylos Labini è improntato allo spirito critico. La sua lettura di Marx è quella di un intellettuale socialista liberale che rivendica il diritto di poterlo criticare su basi etiche mentre cerca di usare il suo metodo analitico per interpretare e agire sulla realtà economica. Il rifiuto di qualsiasi compromesso etico sembra d’altronde uno degli aspetti più fecondi e contemporanei dell’eredità intellettuale di Sylos 62 e lo avvicina a Keynes. Come argomentano Hobson ([1938] 2011) e O’Donnel (1999), si può sostenere che sotto molti aspetti anche Keynes era un socialista liberale, anche se un po’ sui generis,63 animato, come Sylos e molti altri esponenti della scuola post-keynesiana, da un profondo impulso etico. Questo stesso impulso dovrebbe oggi portare a richiedere un cambiamento di politica economica partendo da un ripensamento critico degli strumenti concettuali con i quali essa si definisce.

Al di là del suo bilancio di Marx, la provocazione intellettuale di Sylos avrebbe dovuto costringere il dibattito contemporaneo a prestare maggiore attenzione alla distinzione tra un socialismo liberale, capace di pensare le conseguenze della dinamica economica, e un socialismo liberista che, perché poggia sulle fondamenta analitiche incerte del marginalismo adottato dal socialismo di mercato, comporta nei fatti un’incapacità a definire concrete alternative politiche.


* Banca Europea per gli Investimenti, email: cingomax@gmail.com. Le opinioni espresse sono personali. Il lavoro sviluppa una relazione presentata il 25 ottobre 2013 a Bologna alla 54a Riunione Scientifica Annuale della Società Italiana degli Economisti, poi estesa in una lezione all’università di Bergamo il 9 maggio 2014. Senza implicare una loro adesione alle tesi esposte, l’autore desidera ringraziare Jean-Luc Bailly, Riccardo Bellofiore, Claude Berthomieu, Luca Cefisi, Nadia Garbellini, Lorenzo Esposito, Joseph Halevi, Eckhard Hein, Stefano Lucarelli, Fabio Petri, Antonella Rancan, Roberto Romano, Alessandro Roncaglia, Andrea Salanti, Claudio Sardoni, Andrew Trigg, Jan Toporowski, Ariel Wirkierman e i due referees anonimi per i commenti, le critiche e gli incoraggiamenti ricevuti. L’autore si assume tutte le responsabilità per i rimanenti errori.

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Note

1 Che si può genericamente definire col termine di sintesi neoclassica o neokeynesiana di Samuelson, Hicks, Modigliani, Solow, Tobin, e altri.

2 I passaggi seguenti sono emblematici in proposito: “Il sistema marxistico è determinista, o non è. Non è, intendo, come sistema organico di pensiero” (Rosselli, [1973] 1997, p. 7). “È chiaro che l’introduzione del fattore ‘volontà umana’ nel processo storico significa escludere a priori ogni valore scientifico a una previsione sociologica. Infatti o si ammette una sfera di libertà, per quanto condizionata, nella vita dello spirito, nel modo d’essere della coscienza, o non la si ammette. Se la si ammette cade il concetto di necessità storica, e sorge l’alternativa. Si introduce cioè quell’elemento di dubbio che nel sistema marxista difetta totalmente. O non si ammette questa sfera di libertà, cioè si ritiene che la volontà umana, date le circostanze, debba dirigersi in un senso determinato e allora la volontà umana, nel suo manifestarsi, viene ricacciata al rango di effetto e non piú di concausa. In ambo i casi il tentativo di conciliare il sistema marxista con una interpretazione non deterministica, cade” (Rosselli, [1973] 1997, pp. 10-11).

3 Sylos ([1954] 1972; [1974] 1975; 1982; 1983a; 1983b; 1984a; 1984b; 1986; 1987a; 1989; 1990).

4 Per le quali Sylos aveva dimostrato l’irrilevanza dei comportamenti di prezzo basati sulla scarsità nella maggior parte dei settori, con l’eccezione di quello dei prodotti agricoli e delle materie prime.

5 Prezzi relativi e distribuzione del reddito era stato concepito come un omaggio a Sraffa per il suo settantacinquesimo compleanno, ma Sraffa preferì che la cosa non venisse indicata, anche se discusse l’Introduzione di Sylos con Alessandro Roncaglia, allora studente di entrambi, che l’autore ringrazia per avergli comunicato l’episodio. Sul gruppo del CNR si veda Spaventa (2004).

6 L’autore ringrazia Roberto Esposito per questo riferimento.

Che sviluppa l’argomento su basi algebriche e di input-output in maniera un po’ stringata e rimanda a un testo precedente per i dettagli: Biasco (1971), redatto probabilmente in forma di bozza già nei primi anni sessanta. L’autore ringrazia Joseph Halevi per questo riferimento, fondamentale per capire la genesi del pensiero di Sylos.

Si veda in particolare Ferlito (2011). L’autore ringrazia Stefano Lucarelli per il riferimento.

9 Come osserva Graziani (1977, p. 10), che riprende la stessa citazione di Sylos più estesamente, la traduzione italiana del 1971 della Teoria dello sviluppo economico curata da Sylos include l’introduzione all’edizione del 1937 (Schumpeter, [1971] 2002). Da questa proviene la citazione, ripresa anche nell’edizione tedesca del 1952, che però non appare in nessuna delle edizioni inglesi.

10 Sylos rinvia in proposito a Schumpeter ([1943] 2003), a p. 41 dell’edizione del 1947.

11 “Nella teoria delle crisi, esposta nell’ultimo capitolo, Schumpeter non introduce nessun concetto e nessuno strumento di analisi che non sia già in qualche modo preannunciato nei capitoli precedenti: la sua teoria delle crisi ricorrenti è parte integrante della sua teoria dello sviluppo. In effetti, le fluttuazioni cicliche ‘sono la forma assunta dallo sviluppo economico nell’era del capitalismo’ – una concezione, del tutto analoga a quella di Marx […]” (Sylos Labini, [1971] 2002, p. XXXVI-XXXVII).

12 “Il plusvalore di Marx consiste in rendite, profitti e interessi (redditi non di lavoro)” (Sylos, [1954] 1972, p. 20).

13 O ancora in Sylos Labini ([1971] 2002, p. XXVI): “secondo Schumpeter nel flusso circolare ‘tutti i redditi vengono assorbiti sotto il titolo di salari e di rendita naturale’; a queste due categorie di redditi se ne possono aggiungere altri due: i redditi derivanti da posizioni di monopolio e l’interesse per prestiti di consumo. Tuttavia entrambi questi redditi, secondo Schumpeter, sono eventuali e non necessari: il flusso circolare può benissimo svolgersi senza di essi”.

14 Bellofiore (1983) osserva che il flusso circolare di Schumpeter comprende sia il caso stazionario che quello della crescita uniforme. Tuttavia giova ricordare che questo è un punto critico per l’interpretazione della path dependence schumpeteriana, che Sylos aveva esposto al suo maestro in una nota di commento all’edizione integrale dei suoi Business Cycles. Come ha osservato Ferlito (2011, p. 103 e p. 118), nel punto 1.2 di questa nota, Sylos nega implicitamente la possibilità della crescita nel flusso circolareSchumpeter dedicò grande attenzione alla nota di Sylos e stava proponendola per pubblicazione sul Quarterly Journal of Economics poco prima della sua morte. La nota è stata poi pubblicata postuma in Ferlito (2011). 

15 Come ipotizzato da Walras e confermato ad esempio da Allais ([1947] 1998, p. 184 n. 69; 1962, p. 701), Malinvaud (1953, p. 263) e McKenzie (2002, p. 192, condizione II).

16 Si vedano Lange (1969, p. 22 e p. 28) e Graziani (1993, pp. 117-119).

17Graziani (1977) sottolinea l’ambivalenza mai sciolta tra lo “Schumpeter ortodosso” e lo “Schumpeter innovatore”, di cui subisce indubbiamente il fascino.

18 Nel suo appunto a Schumpeter sui Business Cycles, Sylos aveva negato la possibilità di creazione di credito nel flusso circolare stazionario. In realtà, come rileva Graziani (1977), Schumpeter era cosciente di quest’aspetto, in particolare nello scrivere il mai compiuto trattato sulla moneta. Come documenta Ferlito, di fronte alle obiezioni logiche di Sylos su Business Cycles, Schumpeter contestò che Sylos sembrava voler rimettere in questione tutta la teoria economica tradizionale ma accettò la sua posizione dopo che Sylos gli ebbe confermato che era esattamente quello il suo proposito.

19 Come osserva Graziani (1977), il circuito monetario di Schumpeter presuppone una separazione delle banche, che producono moneta, dal resto del settore produttivo.

20 “Qual è la funzione essenziale delle banche moderne, quella che le differenzia dai banchi antichi? Tale funzione, si sa, consiste nella ‘creazione del credito’, consiste cioè nel fatto che le banche non si limitano a prestare i mezzi monetarî ottenuti da esse in prestito dai singoli risparmiatori, ma prestano loro titoli che in parte rappresentano risparmi individuali e in parte non rappresentano tali risparmî, sono ‘creati’. [...]. Le banche, in una società stazionaria, non avrebbero più questa loro funzione essenziale [...], esse avrebbero più le caratteristiche dei banchi antichi, semplici ‘intermediari’ del credito, che non quelle delle banche moderne” (Sylos Labini, 1948, p. 437). In quest’articolo Sylos cita Del Vecchio (1915), Pigou (1935) e Ricci (1927; 1936) che criticano Schumpeter per la sua affermazione che nello stato stazionario non ci possono essere né profitto né interesse, ma, contrariamente a quanto fa nei suoi scritti successivi, non sembra prendere posizione apertamente contro Schumpeter su questo punto.

21 La teoria del circuito monetario si è sviluppata dagli anni sessanta a partire dalle analisi monetarie di Keynes (1930; 1936) e con riferimento alla teoria della distribuzione di Kalecki (1942), come un tentativo di integrare pienamente il ruolo della moneta e del settore bancario nella macrodinamica economica. Discende da un’integrazione del Keynes del Trattato (Vallageas, 1976; Graziani, 1981) con quello della Teoria Generale e degli articoli che seguirono la pubblicazione di quest’ultima, sia nella sua versione originale, sviluppata da Schmitt ([1966] 1975), che aveva conosciuto Sraffa (e Robertson) nel periodo che aveva passato a Cambridge prima di completare la sua tesi di dottorato in Francia, che in quella di Parguez (1977; 1980; 1981; 1996), che ha ricevuto un forte sviluppo in Italia attraverso gli studi di Graziani (1981; 1988; 2003). I primi contributi a quest’approccio avevano molte radici in comune con l’analisi “non-monetaria” dello squilibrio alla Drèze-Malinvaud-Bénassy (Drèze, [1975] 1991; Malinvaud, 1977; Bénassy, 1975), in particolare Ottavji (1981) e Parguez (1975; 1981). In parte, l’integrazione fra Trattato Teoria Generale è stata fatta seguendo un’esplicita derivazione marxista, in parte seguendo un’impostazione più post-keynesiana (cfr. Halevi e Taouil, 2002). Al riguardo si possono citare anche Bellofiore (1989), Bellofiore e Finelli (1998), oltre ad alcuni degli articoli che sono apparsi nella serie Monnaie et Production, edita da Alain Parguez per la rivista Economies et Sociétés dell’ISMEA.

22 In seguito Sylos prese qualche distanza da quest’articolo, che qualificò come “arrogante”. Tuttavia si tratta del suo primo scritto in cui menziona espressamente un concetto di moneta endogena, molto in anticipo sulle sue lezioni del 1979. L’autore è grato ad Alessandro Roncaglia per la segnalazione. È curioso costatare come, in quest’articolo, Sylos se la prenda con Keynes per aver sottovalutato Marx nel suo famoso commento su Gesell: “[s]i può essere spietatamente critici verso Marx; ma posporlo a un Gesell (un brav’uomo, un riformatore monetario forse meno perspicace del nostro Trucco), via, mi pare grossa. Basterebbe un tale giudizio per definire che l’ha espresso. (Gottfried von Haberler, con cui parlavo di queste cose, mi faceva osservare, sorridendo, che i keynesiani hanno sempre prudentemente ignorato quel giudizio di Keynes su Marx e la sua debolezza per Gesell)” (ivi, p. 469-470, nostra traduzione).

23 Il dibattito su Il Ponte fu poi pubblicato da Laterza in forma di libro, con lo stesso titolo dell’articolo iniziale di Sylos: Carlo Marx: è tempo di un bilancio (Sylos Labini, 1994).

24 In Sylos (1982) figurava un capitolo contenente una discussione approfondita del problema, soprattutto per il caso della riproduzione semplice, nella seconda sezione del capitolo II, intitolata: “Il modello di Sraffa come esempio di modello circolare” (pp. 93- 104). Lo stesso testo è stato poi ripreso come capitolo II di Sylos (1992), con alcune correzioni e ampliamenti col titolo: “Il modello di Sraffa come modello circolare” (pp. 66-80).

25 L’autore ringrazia Roberto Esposito per questo riferimento.

26 Letteralmente “dipendenza dal sentiero seguito”, concetto che si può contrapporre a quello di crescita bilanciata o uniforme.

27 Si veda ad esempio Pantaleoni (1909), Fossati (1946), come altri membri insigni della tradizione paretiana in Italia, per i cui sviluppi tra le due guerre si rimanda a Pomini (2014). Su questo punto si vedano anche Porta (2007) e Faucci (2000).

28 Sull’influenza di Demaria su Sylos, si veda Porta (2007).

29 Bellofiore (1998) è, a conoscenza dell’autore, uno dei pochi che interviene nel dibattito fuori dalla rivista.

30 Questo spiega perché Sylos desse al tempo stesso ‘torto e ragione’ a Marx sul valore- lavoro. L’autore è in debito con Joseph Halevi per vari chiarimenti e diversi riferimenti sulla posizione rispettiva di Sylos e Pasinetti su questo punto.

31 Nel punto interrogativo che figurava nel titolo, l’articolo di Vicarelli tradiva forse la speranza dell’autore che, a quasi un secolo dal suo inizio, il dibattito sulla trasformazione potesse aver preso fine, cosa che fu poi smentita dagli sviluppi successivi (per uno recente si veda Moseley, 2011). 

32 L’autore ringrazia Joseph Halevi per il primo riferimento e Ariel Wirkierman per il secondo.

33 In tal caso, come noto, il saggio di sfruttamento non è settorialmente uniforme (Salanti, 1990, p. 688).

34 Bellino e Wirkierman (2011), pur limitando il confronto al programma di Garegnani e a quello di Pasinetti, concludono sul fatto che entrambi condividono la separazione tra prezzi relativi e quantità.

35 Il problema diventa davvero complicato da esporre in termini non matematici nel caso della produzione congiunta, che è quello più generale per la riproduzione allargata e che presenta varie anomalie teoriche, si veda Kurz e Salvadori (1995) per un trattamento sistematico.

36 Un’analisi più vicina al mainstream sarebbe forse più pragmatica nel prestare meno attenzione a questa distinzione.

37 “Gli schemi della riproduzione allargata di Marx possono essere interpretati come interpretazioni schematiche delle condizioni particolari che devono prevalere affinché la crescita capitalista avvenga senza crisi di sovrapproduzione” (nostra traduzione).

38 Per riferimenti sul circuito monetario si veda la nota 21.

39 Come sottolineato in particolare da Parguez (1977), il ruolo della moneta nel circuito, creata e distrutta dal credito, è quello di essere un flusso endogeno (e non uno stock esogeno) che permette agli operatori economici di rompere il vincolo di bilancio per realizzare le loro aspettative. Parguez (2001) stabilisce una corrispondenza fra circuito monetario e approccio ‘orizzontalista’ della moneta endogena. Forse per questo Sylos, che era chiaramente un ‘endogenista verticalista’, pensava che la teoria del circuito fosse sbagliata.

40 In altri termini, non c’è motivo per cui l’equilibrio temporaneo del circuito converga verso una forma qualsiasi di sentiero ottimale caratterizzato da un debito nullo, come quello implicito nell’equilibrio neoclassico ma caro anche ad Hayek (Parguez, 2013).

41 Nell’opinione dell’autore, entrambe le soluzioni sono equivalenti in termini di conseguenze per la politica economica, anche se hanno implicazioni teoriche diverse.

42 Come osservato da Faucci e Perri (1995, p. 158, nota 59), Croce (1921, pp. 77-78) riconosce che Marx ha dato una spiegazione ‘sociologica’ del profitto e osserva che questa imbarazza sia Pantaleoni (1889) che Pareto (1894), che in qualche modo riconoscono indirettamente che questa spiegazione non è data dall’‘economia pura’.

43 Anche Hayek presume, senza mai dimostrarla veramente, la stabilità del suo “ordine naturale”.

44 Si possono citare tra gli altri, Sato (1963; 1966), Barro e Sala-i-Martin (1991; 1992), Mankiw et al. (1992) e Magrini (2004).

45 La teoria delle onde lunghe di Mandel dà un ruolo fondamentale alla profittabilità come causa dell’inizio della fase di crescita di un’onda lunga e come fattore della sua fase di contrazione. Le fasi di inizio e di fine delle onde lunghe sono meno rigidamente determinate nel tempo che non nei cicli di lungo periodo di Schumpeter, che ha influenzato la visione di Mandel.

46 Va tuttavia rilevato che alcuni autori continuano a difendere la rilevanza empirica di questa legge. Un macro-fenomeno degli ultimi decenni che si potrebbe interpretare in termini marxisti come fattore contrario alla caduta tendenziale dei profitti è l’allargamento dell’economia di mercato a un miliardo di cinesi, che ha aperto nuove e enormi possibilità di profitto. L’autore è grato ad Alessandro Fortunelli per quest’osservazione e a Lorenzo Esposito per aver attirato la sua attenzione su un errore contenuto in una versione precedente di questo testo.

47 Il termine socialismo di mercato si usa qui con riferimento alla concezione del socialismo di Lange (vedasi oltre par. 4.4.2), che ha sviluppato una variante di ‘sintesi neo-keynesiana’ che avrebbe voluto fosse compatibile anche con Walras e con Marx. Si veda anche Bardhan e Roemer (1993).

48 Una questione preliminare che si pose anche Rosselli quando affrontò la critica del marxismo e dei “revisionisti” della prima parte del XX secolo (Furiozzi, 2004).

49 O socialista liberale, a seconda che si voglia porre l’enfasi su Rosselli piuttosto che su Calogero.

50 Questa condizione è necessaria per ottenere la massima efficienza (Allais, 1986) nel modello neoclassico sotto condizioni di concorrenza, cioè quando i prezzi relativi sono tali da eguagliare la domanda e l’offerta in tutti i mercati (il ché implica anche assenza di disoccupazione e piena utilizzazione della capacità produttiva).

51 Nelle condizioni della crescita uniforme, che sono l’estensione più immediata del concetto di stazionarietà statica, poiché rappresentano una stazionarietà nei tassi di crescita, l’equilibrio neoclassico si traduce nella condizione della golden rule, secondo la quale il tasso di profitto è uguale al tasso di crescita del reddito e al tasso d’interesse. Indipendentemente dalle premesse neoclassiche, la regola i, dove è il tasso di profitto e il tasso d’interesse, fu proposta da Sylos (1948) come condizione generale per l’equilibrio dinamico e, in effetti, come si può desumere da Pasinetti ([1981] 1984), è una condizione per la completa realizzazione della domanda effettiva e quindi un’ipotesi, necessaria ma non sufficiente, per la piena occupazione.

52 Lange è stato un economista matematico, un econometrico e un marxista eclettico, membro influente della scuola di Chicago, di cui si può ragionevolmente ipotizzare fosse il rappresentante politicamente più a sinistra. Ha dato contributi importanti all’analisi neoclassica (Lange, 1936a; 1938; 1942; 1943; 1944) e in particolare al tentativo ‘neokeynesiano’ di integrare Keynes con Walras, tentativo di cui Hicks stesso ha riconosciuto il fallimento. Per una biografia, si veda Kowalic (2008).

53 Questa sembra invece essere la commedia degli errori in cui si è arenato il (non) dibattito economico fra i progressisti europei negli ultimi decenni.

54 Come viene naturale sulla scorta della distinzione usata da Sylos fra modelli “ad arco” e “circolari”, si adotta qui un’accezione ‘larga’ dell’economia post-keynesiana. Si veda Davidson (2003-2004; 2005) per una definizione più ristretta e Lavoie (2009; 2014) o Roncaglia (2005) per una visione più ecumenica. Eichner e Kregel (1975) e Roncaglia e Tonveronachi (2015) propongono di definire il campo dell’economia post-keynesiana in base ad alcuni principi largamente condivisibili. Vickrey (1997) ne discute le implicazioni logiche per la politica fiscale e di debito pubblico. Il punto di vista qui sostenuto implica che approcci come quello sraffiano o come la teoria del circuito monetario entrano a pieno titolo nell’economia post-keynesiana in senso lato.

55 Nel passaggio da Marx a Kalecki, sarebbe più corretto menzionare il ruolo fondamentale di Rosa Luxemburg (cfr. Bellofiore, 2009b). Si veda anche Bellofiore et al. (2014).

56 Quest’influenza è particolarmente chiara in Joan Robinson, che ha scritto due libri su Marx. La posizione complessa di Minsky è menzionata nel diagramma, in quanto era anch’egli un allievo di Schumpeter, ma anche per ricordare le implicazioni tutt’altro che trascurabili di questo ragionamento per le analisi finanziarie, che, generalmente fondate su un’ipotesi di market clearing neoclassico estesa al caso del rischio, fanno talvolta riferimento a quest’autore ‘eterodosso’ per spiegare il fenomeno delle crisi finanziarie. Tuttavia, una discussione approfondita del suo apporto necessiterebbe un testo a parte e trascende dagli scopi della presente argomentazione. Si veda in proposito Roncaglia (2013b).

57 Per una discussione, si vedano Lavoie (2011; 2013) e il resto dei saggi nella raccolta edita da Levrero, Palumbo e Stirati (2013)

58 Per molti aspetti, questo programma di ricerca coincide con quello delineato da Roncaglia e Tonvernachi (2014).

59 Benché la nozione d’incertezza sia largamente assente dalle analisi formali marxiste, il carattere intrinsecamente dinamico della loro analisi economica, che anche per Sylos è aperto agli influssi della dinamica sociale, fornisce strumenti utili per l’analisi economica. Questa analisi dinamica ‘aperta’, nella quale la divergenza dalle condizioni stazionarie di riproduzione è la regola piuttosto che l’eccezione, suggerisce un’analogia con la critica sviluppata da Joan Robinson, che ha attaccato il mainstream neoclassico per il suo affidamento esclusivo al tempo logico, che de facto comporta una visione statica, e il suo abbandono del tempo storico.

60 Questi sono: la crescita, la piena occupazione, l’equilibrio della bilancia dei pagamenti e il controllo dell’inflazione.

61 La posizione di chiusura assunta dalla maggior parte dei governi europei di fronte alla richiesta di Tsipras di riaprire il dibattito sulla politica economica in Europa lo conferma. La caduta dell’euro e la riduzione del prezzo del petrolio danno indubbiamente respiro a tutta l’Europa meridionale e in particolare a Italia e Spagna le cui esportazioni sono più elastiche ai prezzi sui mercati mondiali perché hanno minore contenuto tecnologico. Ma, da un lato, niente garantisce la permanenza di un basso prezzo del petrolio nel medio- lungo termine; dall’altro, se mai la caduta dell’euro è pilotata, per chi aderisce come Sylos, alla teoria della moneta endogena, è chiaro che il quantitative easing non può che avere effetti temporanei sull’economia reale in assenza di un cambiamento profondo in altre politiche, di cui non si scorge la minima premessa. L’indebolimento dell’euro rimarrebbe allora in piena continuità con le politiche mercantiliste di deflazione competitiva che hanno ispirato l’Europa dei ‘cerchi concentrici’ da Maastrich in poi. La contraddizione fondamentale di queste strategie è che mentre ambiscono a dare all’euro un ruolo di mezzo di pagamento internazionale alternativo al dollaro, non tengono in debita considerazione il fatto che finché l’area dell’euro mantiene un sovrappiù di bilancia corrente dei pagamenti, la sua valuta rimarrà scarsa per i non-residenti. Per questo motivo, è difficile che in un’Europa ispirata dal modello di una grande Germania, esportatrice netta di beni e servizi e importatrice netta di capitali, il tasso di cambio permanga a lungo debole.

62 È noto che nella sua vita Sylos ha dimostrato varie volte di rifiutare ogni compromesso con la sua coscienza, come quando diede le dimissioni da consigliere del Tesoro dopo la nomina di Lima a sottosegretario, e come ha dimostrato col suo atteggiamento di rottura aperta e polemica con Berlusconi, espresso nel momento di massima potenza politica di quest’ultimo (Sylos Labini, 1994). È infatti abbastanza intuitivo che, una volta ammessa l’irrilevanza pratica della concezione della mano invisibile veicolata dai modelli ad arco, solo il rispetto di codici etici rigorosi può condurre a qualche forma di equilibrio sociale nelle decisioni collettive.

63 L’autore è grato a Jan Toporoswki per la segnalazione di Hobson (2011, [1938]), che nella sua autobiografia menziona se stesso e Keynes come “liberal socialists”.

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