sabato 25 febbraio 2023

Il lascito di Mike Davis - Michele Franco

 

Milioni di persone sono morte, non al di fuori del ‘sistema mondiale moderno’,
ma nel processo stesso di incorporazione forzata nelle sue strutture economiche e politiche.
Sono morti nell’età d’oro del capitalismo liberale; in effetti, molti sono stati uccisi […]
dall’applicazione teologica dei sacri principi di Smith, Bentham e Mill.
Mike Davis

E’ stata una notizia veramente triste quella della scomparsa di Mike Davis avvenuta nei giorni scorsi su cui, tranne qualche cenno sui Social, non è rimasta traccia.

Mike è stato un compagno, un attivista e – soprattutto – un autentico ricercatore sociale che ha determinato, con il suo pluridecennale impegno, un vero e proprio accumulo di conoscenza, di inchiesta e di sapere sociale su snodi e questioni attinenti alcune fenomenologie del moderno capitalismo.

Mike ha svolto il lavoro di camionista, ha faticato in un mattatoio fino a diventare professore presso l’Università della California. Nel corso degli anni è approdato alla teoria marxista e allo studio delle scienze sociali. I suoi interessi hanno interessato il campo della antropologia, della statistica, della storia e della geografia. E’ stato redattore dell’importante rivista statunitense “New Left Review”.

Ebbi modo di conoscere questo autore quando, nella prima metà degli anni Novanta, arrivavano le notizie circa la rivolta di Los Angeles le quali disvelavano una realtà urbana, sociale e politica che – particolarmente nella nostra Italietta – erano totalmente sconosciute e rimosse non solo dal dibattito pubblico ma anche dalla discussione della compagneria italiana.

Era un periodo nel quale si era, ancora, ben lungi dall’elaborare il lutto politico derivante dalla dissoluzione del vecchio Partito Comunista. Una condizione ideologica e politica – questa – sostanzialmente di “pantano/stallo teorico” che non permetteva ai compagni di interpretare correttamente le novità, le rotture e gli eventi inediti che i fatti di Los Angeles ci consegnavano in maniera tumultuosa non solo negli Stati Uniti ma in tutto l’Occidente capitalistico.

Mike Davis ci fornì attraverso il suo testo “Città di quarzo” e le corrispondenze riportate dal quotidiano “il Manifesto” (che allora era ancora uno decente strumento di contro/informazione utile) puntuali resoconti e aggiornamenti circa la composizione di classe di quella città, le forme interrazziali di segmentazione sociale e le allora soggettività presenti.

Un contributo di notizie e dati che descrivevano una potente situazione originale che – sempre più – sarebbe stata, negli anni successivi, una convincente chiave di lettura delle crisi urbane nella contemporaneità capitalistica. Un fenomenologia che si è replicata non solo negli Stati Uniti come hanno dimostrato in vari Riot che si sono scatenati in altre metropoli in Europa e non solo.

Il testo di Mike fu per noi una sorte di abbecedario che ci introdusse in un campo analitico dove le metropoli (imperialiste) si trasformavano sotto i colpi delle varie ondate di ristrutturazione economiche, finanziarie e sociali che sconvolgevano l’assetto urbano, architettonico e spaziale.

Attraverso le inchieste e le ricerche di Mike abbiamo appreso la nuova qualità dei processi di governance capitalistica del territorio, gli intrecci con i flussi migratori e razziali e – soprattutto – la capacità del comando di mettere a valore l’intera forma/spazio territoriale. Insomma le aree metropolitane come magazzini della variegata forza lavoro spalmata sul territorio e foriere di un enorme accumulo di contraddizioni.

Infatti, nella stessa ricerca, in Italia, della Rete dei Comunisti – a proposito dell’analisi sulle trasformazioni intervenute nelle aree metropolitane – sviluppata attraverso convegni, opuscoli e sperimentazioni sul campo riecheggiano concetti e spunti analitici mutuati dalle elaborazioni di Mike Davis.

Ed è proprio interpretando la moderna forma/metropoli che lo studio di Mike continuò attraverso dei focus particolareggiati sul fenomeno materiale degli Slum ossia quelle aree territoriali (discariche umane e sociali a tutti gli effetti) a ridosso delle grandi megalopoli dove sopravvivono (secondo i dati delle Nazioni Unite) oltre un miliardo di persone.

Mike – con un pensiero controcorrente – affermava che queste allucinanti condizioni di vita non erano “un incidente dovuto alla cattiva pianificazione urbana ma un coerente e ricercato prodotto dei moderni fenomeni di industrializzazione e del complesso delle forme più estreme dello sviluppo capitalistico”.

Insomma una analisi dirompente ed eretica verso gli abituali clichè della “sinistra occidentale” la quale si è sempre cullata nel suo astratto positivismo (di derivazione secondo/internazionalista) e nella sconsiderata apologia dell’infinito sviluppo delle forze produttive la quale si è rivelata incapace di cogliere le novità e le controtendenze intervenute nella stessa dinamica temporale del Modo di Produzione Capitalistico.

Insomma un Mike Davis scandaglio delle patologie antisociali del capitale!

Del resto come dimenticare un testo – tornato tristemente di attualità durante la Crisi Pandemica Globale – come “Olocausti Tardovittoriani” dove Mike tratteggia l’opera complessa di manomissione e gli inenarrabili disastri che l’ascesa della borghesia e l’affermazione del “mercato mondiale” hanno provocato nell’impatto con “le nuove terre, con il mondo biologico e l’equilibrio naturale”.

Un “mercato mondiale” spietato e che ha fatto da incubatore delle innumerevoli forme del Colonialismo, dell’Imperialismo e del Neo/Colonialismo.

Una lezione teorica e politica preziosa e che – in un contesto internazionale di emergenza climatica ed accertata crisi dell’equilibrio ambientale della specie umana – occorre riprendere approfondirla e socializzarla nelle mobilitazioni e nelle lotte che promuoviamo a scala globale

Salutiamo, quindi, la dipartita di Mike consapevoli – però – che i materiali che ha prodotto in questi decenni di studio e di battaglia culturale e politica non sono lettera morta o semplice materiale bibliografico ma fanno parte – pienamente – di quella “cassetta degli attrezzi” indispensabile a quel deciso cambiamento generale e sociale che, molti tra noi, definiscono: Necessità della Prospettiva Socialista!

da qui

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