Non poteva dire nulla di più odioso, Luigi de
Magistris. Lui, Roberto Saviano, che si arricchisce sulla pelle di Napoli. Lui
che aspetta la “sparatina” o l’“ammazzatina“ per far lievitare il suo conto in
banca. Sulla pelle di Napoli si arricchisce la borghesia camorrista, sulla
pelle di Napoli si arricchiscono i pascià intoccabili del sottobosco
amministrativo, politico e imprenditoriale che trafficano in tangenti e
appalti, sulla pelle di Napoli si arricchiscono ruffiani e spacciatori e
riciclatori.
Si arricchisce un'umanità disumana che arraffa ogni giorno tutto quello che può arraffare. Ma Luigi de Magistris, ex pubblico ministero di prima linea come si definisce lui, che non fa più il magistrato "per avere contrastato mafie e corruzioni sino ai vertici dello Stato", come sindaco di Napoli sta intraprendendo un duello che non potrà mai vincere se non nel piccolo cortile di casa sua. È una mossa che supera un confine che nessuno - soprattutto un ex "magistrato di prima linea" - dovrebbe mai oltrepassare. I confini contano. Sempre.
Non c'è soltanto un'eccitazione sopra le righe nelle parole contro Saviano - qui non sono importanti i dettagli o le posizioni e le opinioni sulla vera o presunta rinascita di una capitale meridionale, cruciale è la sostanza della sua dichiarazione di guerra - ma c'è anche un calcolo politico dove il sindaco sembra intravedere l'incasso di un profitto dall'attacco sferrato contro un italiano che continua a parlare e a scrivere di camorra e di quella Napoli. Inaccettabile per uno che è stato magistrato e che Napoli adesso la rappresenta, la guida, la sente come cosa sua e che non vuole scocciatori e osservatori critici fra i piedi.
La reazione di de Magistris è molto più grave di come potrebbe sembrare a prima vista, fatta solo d'istinto e passione. C'è di più, c'è qualcosa di più inquietante per noi che di queste faccende di mafie ci occupiamo da tanto tempo. C'è un capovolgimento, c'è un pericoloso deragliamento di de Magistris e una scelta di campo che cancella un passato che lui stesso altezzosamente rivendica e che subito dopo rimuove attraverso un linguaggio che non piace per niente. Somiglia troppo a quello di quei personaggi che attaccano da anni Saviano con le stesse frasi, le stesse insinuazioni, lo stesso tono subdolo che serve sostanzialmente per mettere al centro della questione lui e non quello che racconta. Il problema è Saviano o una certa Napoli?
Il sindaco de Magistris è scivolato o si è coscientemente e opportunisticamente gettato in questa trappola. Ne ricaverà forse vantaggio dalle sue parti con qualche titolone in queste ore, sicuramente ha fatto un passo che lo segnerà per il futuro. Troppo scaltro, troppo. E così scontato, così interessato che alla lunga il suo assalto contro Saviano - ne siamo convinti - gli si ritorcerà contro. Avrebbe potuto rispondergli garbatamente manifestando le sue perplessità, ricordandogli i cambiamenti positivi di Napoli durante la sua sindacatura, avrebbe potuto contestare le sue cronache fornendo spiegazioni.
Invece ha preferito colpirlo alle spalle con il più banale e insultante rimprovero. Non è stato al suo posto come sindaco. E nemmeno come ex magistrato "di prima linea". E neanche come cittadino. Ha usato argomenti che neppure i sindaci di Palermo del grande "sacco edilizio" o quelli che assistevano muti e sordi alle carneficine degli anni Ottanta avevano osato agitare così violentemente, contro giornalisti e scrittori del tempo che descrivevano una città losca e una realtà feroce.
Il sindaco di Napoli non gradisce più che si parli di quello, delle camorre, perché adesso a Napoli c'è lui. Se ne poteva parlare prima, ma ora non più. Come quegli altri sindaci o quegli altri potenti sparsi per l'Italia che non vogliono rompiballe nei dintorni. Un giorno è Lirio Abbate che raccoglie informazioni su Carminati e la banda di neri e di compagni e di verdi prezzolati che regna sul Campidoglio, un altro giorno è Giovanni Tizian che scopre i legami di Reggio (non Calabria, ma Emilia) con i boss della 'ndrangheta. Una volta tocca alla giovanissima Ester Castano che denuncia l'infiltrazione mafiosa nel tranquillo comune di Sedriano (poi sciolto per mafia, primo comune in Lombardia), un'altra volta tocca a Paolo Borrometi che per avere descritto le vergogne di Scicli è isolato come un cane rognoso anche dai suoi colleghi.
Tutti, a turno. Roberto, Ester, Lirio, Paolo, Giovanni. Mentre quegli altri nei convegni continuano a riempirsi la bocca di giornalismo d'inchiesta. È bello il giornalismo d'inchiesta, vero sindaco de Magistris? Sì, ma lontano da casa propria.
Si arricchisce un'umanità disumana che arraffa ogni giorno tutto quello che può arraffare. Ma Luigi de Magistris, ex pubblico ministero di prima linea come si definisce lui, che non fa più il magistrato "per avere contrastato mafie e corruzioni sino ai vertici dello Stato", come sindaco di Napoli sta intraprendendo un duello che non potrà mai vincere se non nel piccolo cortile di casa sua. È una mossa che supera un confine che nessuno - soprattutto un ex "magistrato di prima linea" - dovrebbe mai oltrepassare. I confini contano. Sempre.
Non c'è soltanto un'eccitazione sopra le righe nelle parole contro Saviano - qui non sono importanti i dettagli o le posizioni e le opinioni sulla vera o presunta rinascita di una capitale meridionale, cruciale è la sostanza della sua dichiarazione di guerra - ma c'è anche un calcolo politico dove il sindaco sembra intravedere l'incasso di un profitto dall'attacco sferrato contro un italiano che continua a parlare e a scrivere di camorra e di quella Napoli. Inaccettabile per uno che è stato magistrato e che Napoli adesso la rappresenta, la guida, la sente come cosa sua e che non vuole scocciatori e osservatori critici fra i piedi.
La reazione di de Magistris è molto più grave di come potrebbe sembrare a prima vista, fatta solo d'istinto e passione. C'è di più, c'è qualcosa di più inquietante per noi che di queste faccende di mafie ci occupiamo da tanto tempo. C'è un capovolgimento, c'è un pericoloso deragliamento di de Magistris e una scelta di campo che cancella un passato che lui stesso altezzosamente rivendica e che subito dopo rimuove attraverso un linguaggio che non piace per niente. Somiglia troppo a quello di quei personaggi che attaccano da anni Saviano con le stesse frasi, le stesse insinuazioni, lo stesso tono subdolo che serve sostanzialmente per mettere al centro della questione lui e non quello che racconta. Il problema è Saviano o una certa Napoli?
Il sindaco de Magistris è scivolato o si è coscientemente e opportunisticamente gettato in questa trappola. Ne ricaverà forse vantaggio dalle sue parti con qualche titolone in queste ore, sicuramente ha fatto un passo che lo segnerà per il futuro. Troppo scaltro, troppo. E così scontato, così interessato che alla lunga il suo assalto contro Saviano - ne siamo convinti - gli si ritorcerà contro. Avrebbe potuto rispondergli garbatamente manifestando le sue perplessità, ricordandogli i cambiamenti positivi di Napoli durante la sua sindacatura, avrebbe potuto contestare le sue cronache fornendo spiegazioni.
Invece ha preferito colpirlo alle spalle con il più banale e insultante rimprovero. Non è stato al suo posto come sindaco. E nemmeno come ex magistrato "di prima linea". E neanche come cittadino. Ha usato argomenti che neppure i sindaci di Palermo del grande "sacco edilizio" o quelli che assistevano muti e sordi alle carneficine degli anni Ottanta avevano osato agitare così violentemente, contro giornalisti e scrittori del tempo che descrivevano una città losca e una realtà feroce.
Il sindaco di Napoli non gradisce più che si parli di quello, delle camorre, perché adesso a Napoli c'è lui. Se ne poteva parlare prima, ma ora non più. Come quegli altri sindaci o quegli altri potenti sparsi per l'Italia che non vogliono rompiballe nei dintorni. Un giorno è Lirio Abbate che raccoglie informazioni su Carminati e la banda di neri e di compagni e di verdi prezzolati che regna sul Campidoglio, un altro giorno è Giovanni Tizian che scopre i legami di Reggio (non Calabria, ma Emilia) con i boss della 'ndrangheta. Una volta tocca alla giovanissima Ester Castano che denuncia l'infiltrazione mafiosa nel tranquillo comune di Sedriano (poi sciolto per mafia, primo comune in Lombardia), un'altra volta tocca a Paolo Borrometi che per avere descritto le vergogne di Scicli è isolato come un cane rognoso anche dai suoi colleghi.
Tutti, a turno. Roberto, Ester, Lirio, Paolo, Giovanni. Mentre quegli altri nei convegni continuano a riempirsi la bocca di giornalismo d'inchiesta. È bello il giornalismo d'inchiesta, vero sindaco de Magistris? Sì, ma lontano da casa propria.
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