L’anno 2016 ha visto trionfare la
normalità della guerra: la Terza Guerra Mondiale a pezzetti, come la chiama
papa Francesco. Una guerra spaventosa che ha il suo epicentro in Medio Oriente
e ha mostrato tutta la sua ferocia, disumanità e orrore nell’assedio della
città martire Aleppo in Siria. Una guerra che attraversa anche l’intera Africa
da est a ovest, dalla Somalia al Sudan (Darfur e Monti Nuba), dal Sud Sudan al
Centrafrica, dalla Nigeria (Nord) alla Libia, dal Mali al Gambia. Senza
dimenticare i massacri in Burundi e nella Repubblica democratica del Congo
(Beni). Desolanti conflitti si estendono dallo Yemen all’Afghanistan, guerre
combattute con armi sempre più sofisticate e sempre più a pagarne le spese sono
i civili.
Si chiede papa Francesco: «Come è
possibile questo? È possibile perché dietro le quinte ci sono interessi, piani
geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi che
sembra essere tanto importante».
È l’industria delle armi,
fiorentissima oggi, a gioire di tutto questo. Secondo i dati Sipri (Istituto
internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma), a livello mondiale,
investiamo quasi 5 miliardi di dollari al giorno in armi. A livello italiano,
secondo l’Osservatorio sulle spese militari (Mil€x), spendiamo 64 milioni di
euro al giorno. L’industria italiana delle armi esporta in tutto il mondo. In
questo periodo abbiamo venduto bombe all’Arabia Saudita e al Qatar, che poi le
hanno date a gruppi armati legati a Al-Qaida come a Jabhat al –Nusra in Siria.
E tutto questo nonostante la legge 185/90 vieti la vendita di armi a paesi in
guerra e a paesi dove vengono violati i diritti umani.
L’Italia nel 2015 ha esportato armi
per un valore di oltre 7 miliardi di euro in paesi in guerra o dove sono
violati i diritti umani. Ma come fanno i nostri governi a parlare di legalità
quando agiscono in maniera così illegale? È la grande Bugia. «La violenza
esiste solo con l’aiuto della Bugia», diceva Don Berrigan, il gesuita
nonviolento americano scomparso lo scorso anno.
È passato il tempo in cui i buoni
possono rimanere in silenzio. E ciò che sconcerta maggiormente è il silenzio
del movimento per la pace davanti a questi scenari di guerra. Non lo posso
accettare. Dobbiamo scendere in piazza, urlare, gridare, protestare. Forse non
riusciamo a parlare perché il movimento è frammentato. Allora mettiamoci
insieme. La situazione è troppo grave. Per questo dobbiamo avere il coraggio di
violare la legge, di farci arrestare, di andare in prigione. Questo sarebbe il
dovere prima di tutto dei religiosi, dei preti, delle suore: sull’esempio dei
fratelli Berrigan e delle suore domenicane che, negli Stati Uniti qualche
decennio fa, si sono fatti anni di carcere per loro impegno contro la guerra in
Vietnam e la bomba atomica.
Come cristiano mi fa ancora più male
il silenzio dell’episcopato italiano e di larga parte delle comunità cristiane.
Per fortuna papa Francesco parla chiaro. Nel suo messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace (1 gennaio) afferma che «essere veri discepoli di Gesù oggi
significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza». E prosegue: «La
nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati
importanti. I successi ottenuti da Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella
liberazione dell’India, e da Martin Luther King contro la discriminazione
razziale…».
Papa Francesco invita le comunità
cristiane a imboccare la strada della nonviolenza attiva, quale percorso
obbligato per i seguaci di Gesù. «Dite al mondo che non esiste più una guerra
giusta. Lo dico da figlia della guerra». Così la suora domenicana irachena
Nazik Matty durante il convegno su guerra e nonviolenza, promosso in Vaticano
da papa Francesco.”
Papa Francesco forse presto ci
regalerà un’enciclica che potrebbe mettere la parola fine alla teologia della
guerra giusta e indicare la nonviolenza attiva come la strada inventata da
Gesù. È la strada che le comunità cristiane devono imboccare con lo stesso
coraggio che hanno avuto Gandhi, Martin Luther King, Don Berrigan, Don Milani…
Ma queste comunità dovranno avere la capacità di unirsi a tutte le altre realtà
nonviolente creando un grande movimento popolare per la pace. Ma per arrivare a
questo dobbiamo tutti essere disposti a pagare un alto prezzo. Diceva Don
Berrigan: «Noi urliamo pace, pace, ma non c’è pace. Non c’è pace perché non ci
sono costruttori di pace. Non ci sono costruttori di pace perché fare pace è
altrettanto costoso quanto fare guerra, almeno altrettanto esigente perché si
paga con la prigione e la morte».
A tutti i costruttori di pace,
l’augurio di cuore di un buon anno, carico di frutti di pace.
Nessun commento:
Posta un commento