Lo Stato si priva di una sempre più grande dose
della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme
delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una
causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle
forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti
che sono vitali per il funzionamenti e il futuro della società sfuggono alla
supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il
risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà
sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea
stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe
fallita.
Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è
notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le
società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la
posizione di cui godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia
in noi stessi che ne conseguono. Il "progresso", un tempo la
manifestazione più estrema dell'ottimismo radicale e promessa di felicità
universalmente condivisa e duratura, si è spostato all'altra estremità
dell'asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso
"progresso" sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile
e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro
che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è
diventato una sorta di "gioco delle sedie" senza fine e senza sosta,
in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione
irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d'oro, il
"progresso" evoca un'insonnia piena di incubi di "essere
lasciati indietro", di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un
veicolo che accelera in fretta.
Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa
nell'azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse
opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell'ingiusto, e così via. Nell'idea
dell'armonia e del consenso universale, c'è un odore davvero spiacevole di
tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine
questa è un'idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che
bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei
avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il
saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali.
Probabilmente dobbiamo riconsiderare come
incurabile la diversità del modo di essere umani.
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