Più si avvicina il momento di lasciare la Casa Bianca, più Barack Obama tira fuori la
grinta. È un fenomeno portentoso, perché rappresenta perfettamente la parabola
di questo Amleto che ha fatto carriera grazie al bell’aspetto e la bella
parola. Obama, infatti, è il Presidente che non ha saputo decidere mai. Che fare in Afghanistan? Boh! Chiudere
Guantanamo? Chissà. Essere amici o nemici della Turchia di Erdogan? Parliamone.
Bloccare le violenze della polizia sui neri? Ehhhhh…. Frenare il libero
commercio delle armi entro i confini degli Usa? Certo, però…
In compenso, quando ha provato a decidere ha generato soprattutto pasticci. Cameron e Sarkozy bombardano la Libia? Massì, pensa Obama, anche noi americani, ma solo un pochino. Ritirarsi o no dall’Iraq? Ecco pronto un bel ritiro che spalanca le porte all’Isis. C’è la guerra civile in Siria? Armiamo subito i ribelli anche se, ops, le armi finiscono poi ai jihadisti. Appoggiamo il colpo di Stato in Ucraina? Come no, peccato che poi scoppi una guerra.
Uno dei più disastrosi indecisi della politica internazionale di tutti i tempi, ora che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca, si mostra invece decisissimo. Obama ha passato otto anni a sonnecchiare sul tema Israele-palestinesi e a farsi sbeffeggiare da Benjamin “Bibi” Netanyahu, che è quel che è ma ha più palle di Barack e Michelle messi insieme, e infatti non ha avuto alcun timore ad andare allo stesso Congresso Usa a sparlare del rivale. Adesso, però, Obama ha scoperto che il Governo di Israele va a caccia della terra e ha deciso che basta, è ora di finirla. Così ordina che gli Usa si astengano all’Onu e facciano passare la Risoluzione che condanna gli insediamenti israeliani. Adesso? Sono decenni che la strategia degli insediamenti è l’architrave della politica di Israele, e Obama si sveglia adesso.
Allo stesso modo, sempre col famoso piedino oltre la porta, Obama decide a destra e a manca. Sfrutta una oscura legge del 1953 per bloccare ogni nuova trivellazione petrolifera nell’Artico e in parte dell’Atlantico. Vara nuove sanzioni contro la Russia che, manovrando gli hacker, a suo dire ha fatto perdere a Hillary Clinton e al Partito democratico una presidenza che pareva sicura. Sempre in tema di sanzioni contro la Russia, ha provato a convincere gli europei a rinnovare le loro, senza riuscirci. Per la Siria, ordina di fornire ancora armi e quattrini ai famosi “ribelli moderati”, ben sapendo che poi sarà Al Nusra ad approfittarne. Insomma, Obama si dà da fare per lasciare in eredità a Donald Trump il maggio numero possibile di casini.
Umanamente, come non capirlo? Gli rode. In più, trasuda disprezzo per Trump. Politicamente, invece, è l’Obama di sempre: pieno di stile ma piccolo e inconcludente. Questa corsa a disseminare di trappole l’avvio presidenziale del successore non è solo piccina ma controproducente. Prendiamo le trivellazioni petrolifere. Gli Usa sono già il primo produttore di gas e di petrolio al mondo e lo sono diventati proprio sotto le presidenze Obama, sfruttando la tecnologia del fracking (o fratturazione idraulica) che molti ecologisti considerano poco meno pericolosa per l’ambiente delle trivellazioni in mare. È un dispettuccio quel divieto, che in pratica non farà danni a Trump ma gli offrirà il destro per polemizzare contro il predecessore, disposto a sacrificare il benessere degli americani per dar retta agli attivisti. Polemica che Trump ha usato per tutta la campagna elettorale, con i risultati che abbiamo visto.
Peggio ancora per le polemiche e le ritorsioni contro la Russia. Acuire, oggi, la crisi con il Cremlino non farà che riavvicinare Trump a Putin, domani. Dopo quanto è successo in Siria e in Iraq (riconquista di Aleppo e stallo della campagna per liberare Mosul), dopo il gelo calato nei rapporti tra Usa e Turchia e considerando la posizione ostile della nuova Casa Bianca all’accordo sul nucleare con l’Iran, Trump di tutto avrà bisogno tranne che di un confronto diretto con Mosca. E Putin ha già fatto sapere di essere più che disposto a trovare un’intesa.
Per non parlare di Israele. Avendo inghiottito tutto l’inghiottibile (e anche di più) per otto anni senza cavare un ragno dal buco per troppa mollezza, Obama con la sparatina finale all’Onu non otterrà altro risultato che favorire i rapporti tra Netanyahu e Trump. E forse riuscirà pure a disgustare un po’ degli ebrei americani che prima si era tanto sforzato di compiacere e che alle ultime presidenziali hanno votato al 70% e oltre in favore di Hillary Clinton, cioè del candidato democratico.
Michelle, Malia, Sasha… Voi che gli volete bene, ditegli di smettere. O dell’ex grande speranza americana resterà un solo ricordo: quello del Presidente che non sapeva vincere e non sapeva perdere
In compenso, quando ha provato a decidere ha generato soprattutto pasticci. Cameron e Sarkozy bombardano la Libia? Massì, pensa Obama, anche noi americani, ma solo un pochino. Ritirarsi o no dall’Iraq? Ecco pronto un bel ritiro che spalanca le porte all’Isis. C’è la guerra civile in Siria? Armiamo subito i ribelli anche se, ops, le armi finiscono poi ai jihadisti. Appoggiamo il colpo di Stato in Ucraina? Come no, peccato che poi scoppi una guerra.
Uno dei più disastrosi indecisi della politica internazionale di tutti i tempi, ora che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca, si mostra invece decisissimo. Obama ha passato otto anni a sonnecchiare sul tema Israele-palestinesi e a farsi sbeffeggiare da Benjamin “Bibi” Netanyahu, che è quel che è ma ha più palle di Barack e Michelle messi insieme, e infatti non ha avuto alcun timore ad andare allo stesso Congresso Usa a sparlare del rivale. Adesso, però, Obama ha scoperto che il Governo di Israele va a caccia della terra e ha deciso che basta, è ora di finirla. Così ordina che gli Usa si astengano all’Onu e facciano passare la Risoluzione che condanna gli insediamenti israeliani. Adesso? Sono decenni che la strategia degli insediamenti è l’architrave della politica di Israele, e Obama si sveglia adesso.
Allo stesso modo, sempre col famoso piedino oltre la porta, Obama decide a destra e a manca. Sfrutta una oscura legge del 1953 per bloccare ogni nuova trivellazione petrolifera nell’Artico e in parte dell’Atlantico. Vara nuove sanzioni contro la Russia che, manovrando gli hacker, a suo dire ha fatto perdere a Hillary Clinton e al Partito democratico una presidenza che pareva sicura. Sempre in tema di sanzioni contro la Russia, ha provato a convincere gli europei a rinnovare le loro, senza riuscirci. Per la Siria, ordina di fornire ancora armi e quattrini ai famosi “ribelli moderati”, ben sapendo che poi sarà Al Nusra ad approfittarne. Insomma, Obama si dà da fare per lasciare in eredità a Donald Trump il maggio numero possibile di casini.
Umanamente, come non capirlo? Gli rode. In più, trasuda disprezzo per Trump. Politicamente, invece, è l’Obama di sempre: pieno di stile ma piccolo e inconcludente. Questa corsa a disseminare di trappole l’avvio presidenziale del successore non è solo piccina ma controproducente. Prendiamo le trivellazioni petrolifere. Gli Usa sono già il primo produttore di gas e di petrolio al mondo e lo sono diventati proprio sotto le presidenze Obama, sfruttando la tecnologia del fracking (o fratturazione idraulica) che molti ecologisti considerano poco meno pericolosa per l’ambiente delle trivellazioni in mare. È un dispettuccio quel divieto, che in pratica non farà danni a Trump ma gli offrirà il destro per polemizzare contro il predecessore, disposto a sacrificare il benessere degli americani per dar retta agli attivisti. Polemica che Trump ha usato per tutta la campagna elettorale, con i risultati che abbiamo visto.
Peggio ancora per le polemiche e le ritorsioni contro la Russia. Acuire, oggi, la crisi con il Cremlino non farà che riavvicinare Trump a Putin, domani. Dopo quanto è successo in Siria e in Iraq (riconquista di Aleppo e stallo della campagna per liberare Mosul), dopo il gelo calato nei rapporti tra Usa e Turchia e considerando la posizione ostile della nuova Casa Bianca all’accordo sul nucleare con l’Iran, Trump di tutto avrà bisogno tranne che di un confronto diretto con Mosca. E Putin ha già fatto sapere di essere più che disposto a trovare un’intesa.
Per non parlare di Israele. Avendo inghiottito tutto l’inghiottibile (e anche di più) per otto anni senza cavare un ragno dal buco per troppa mollezza, Obama con la sparatina finale all’Onu non otterrà altro risultato che favorire i rapporti tra Netanyahu e Trump. E forse riuscirà pure a disgustare un po’ degli ebrei americani che prima si era tanto sforzato di compiacere e che alle ultime presidenziali hanno votato al 70% e oltre in favore di Hillary Clinton, cioè del candidato democratico.
Michelle, Malia, Sasha… Voi che gli volete bene, ditegli di smettere. O dell’ex grande speranza americana resterà un solo ricordo: quello del Presidente che non sapeva vincere e non sapeva perdere
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