Oggi 27 gennaio «Giornata della memoria».
Un lavoro incredibile ha
contraddistinto l’operato di alcuni/e colleghi/e e delle loro classi.
Tutti in aula magna, piena,
sede centrale.
Si parte dal passato e si
arriva al presente.
Un lungo cammino scorre sul
telo bianco ed è segnato dalla disumanità del potere, di cui è necessario, oggi
più che mai, preservare la memoria.
Mi guardo intorno e vedo tanti,
troppi schermi di smartphone illuminati. Così mentre faccio “la ronda” mi
chiedo: «quale memoria il cellulare saprà fornire a questi nostri
studenti/studentesse».
Intanto si dipanavano, sullo
schermo, gli orrori del razzismo: uomini donne e bambini affranti, prigionieri,
angheriati nei campi di concentramento e sterminio.
Eppure, la giornata della
memoria, per un terzo di loro alternativamente si sviluppava smanettando sul
cellulare. Intraprendendo epiche lotte con “mostri” digitali, ignorando i
mostri passati e presenti che sul grande schermo testimoniavano la follia che
sa impadronirsi dei leader di turno e dei loro adepti.
Ignorando fanciulli/e che il
piccolo schermo del telefonino è tiranno, prigione senza filo spinato e che
Kapò si fanno i gesti spasmodici e compulsivi delle loro dita; soggiogati da
giochini che si divoravano il cervello facendolo senza memoria.
Parte seconda, ecco che sfilano
le immagini dei migranti, accatastati nei campi profughi o di accoglienza,
immane vergogna per questo Occidente al quale apparteniamo.
Parte poi «Non è un film» di
Fiorella Mannoia e a colpire questa platea è il ritmo rap della colonna sonora.
All’improvviso, in fondo alla sala, accendini e fiammelle come a un concerto,
scanditi dal battere delle mani sulla sedia, dall’ondeggiare delle braccia: una
festa dunque.
Impietoso lo schermo rimandava,
carne viva – di adesso – uomini donne e bambini nel filo spinato erto a
dividere, barriera a impedire il passo; barconi stracolmi, camion stipati, vite
racchiuse in un fagotto. Tutto giocato a testa o croce. Testa stai a galla.
Croce, forse, nel piccolo cimitero di Lampedusa.
Immagini. Cose lontane.
E mi ha preso un magone, un
grande magone.
Se è vero che siamo contadini
della formazione, che spesso seminiamo senza poter vedere spuntare il grano,
oggi ho avuto la sensazione che la semenza sia gentile omaggio della Monsanto
fattasi sponsor e che infine fatti siamo a viver come bruti e che virtute
e conoscenza sian cose passate, finite, dimenticate.
Eppure non è così. Quando
finiscono le celebrazioni so che non è così.
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