mercoledì 19 dicembre 2012

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“In nome del popolo italiano” e “Caponero Capobianco”: non stiamo parlando del capolavoro di Dino Risi, né di una parodia di “Gatto nero gatto bianco” di Emir Kusturica, bensì degli ultimi due brevi video realizzati dall’associazione ZaLab. 

In questi due lavori, l’associazione, che si occupa di organizzare laboratori di video partecipativo e produrre documentari in contesti interculturali e in situazioni di marginalità geografica e sociale, ha affrontato due tematiche di particolare attualità: il primo video è stato girato all’interno del Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria, e il secondo nelle campagne del foggiano.

“In nome del popolo italiano” racconta la vita all’interno del CIE, attraverso l’occhio della telecamera, che rimanda immagini di sbarre, muri scarni, spazi ampi e vuoti: frammenti di una vita sospesa in un “limbo” burocratico, raccontata dalle parole dei protagonisti, uomini e donne con un passato diverso ma con lo stesso presente, fatto di orari scanditi dai pasti, dall’inattività, dalla speranza di uscire da quella situazione e dalla sofferenza di vedere i compagni prelevati la mattina e, senza preavviso, rimpatriati contro la propria volontà.

“Caponero Capobianco” descrive la situazione di chi vive nelle campagne italiane, lavorando nel settore agricolo in condizioni di grave sfruttamento: 11 ore di lavoro, 35 euro al giorno, di cui 5 prelevati dal “capo”, la persona che, per conto del datore, va a prendere i braccianti e li porta sul luogo di lavoro. Un “capo” che sfrutta, che denigra, che maltratta, che può essere italiano, oppure anch’egli di origine straniera, con un passato di bracciante e un presente di intermediario. Una situazione, quella dello sfruttamento dei cittadini stranieri nelle campagne italiane, ormai conosciuta, ma che fatica a cambiare, nonostante, solo nel 2011, sia stato istituito il reato di caporalato. 

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