domenica 2 dicembre 2012

Riconoscimento – Rosalba Campra

Stavo giocando nel cortile quando vidi passare i gitani nei loro carri dipinti di celeste. Mia madre mi mandò dentro, però io me ne restai lì, guardandoli come abbagliata. Lei corse in casa e chiuse la porta con un colpo, ma da dietro la finestra anche lei guardava, sollevando appena la tenda. Da uno dei carri una gitana mi chiamava perché mi avvicinassi, Mariam, Mariam, ma io mi chiamo in un altro modo. Mi avevano raccontato che i gitani rubano i bambini, quindi non mi muovevo. Allora mi chiese se per favore chiamavo mia madre. Nemmeno mia madre voleva uscire, e la gitana insisteva; alla fine le scrisse un bigliettino, e mia madre la lasciò passare. Anche io avrei voluto entrare, ma mi mandarono a giocare in cortile. Ogni tanto spiavo dalla finestra, ma non succedeva niente, parlavano e basta. Mia madre diceva che non aveva senso mettersi a discutere su quello, che era passato tanto tempo, che lei non ne aveva colpa, perché era stato suo marito, ossia papà, che riposi in pace, ma che la denunciasse se voleva, che tanto chi mai avrebbe creduto a una storia simile, che io adesso mi ero abituata, e altre cose che non ricordo. Alla fine la gitana uscì, venne dove stavo io, e mi accarezzò i capelli, mi disse che ero diventata molto grande e bella. Mi ricordai, credo, di certi sentieri nella montagna e del muggito dei tori. Dopo mi disse che sicuramente non ci saremmo mai più viste, perché lei non sarebbe tornata a passare per il villaggio, e che sperava io fossi contenta in questa casa, che tutto sommato era vero che io stavo molto meglio così, che i carri sono stretti e si vive tutti sballottati. Si tolse un orecchino che aveva, uguale al mio, e me lo mise nell'altro orecchio. Mi accarezzò di nuovo e se ne andò. Quella notte, quando mi affacciai alla finestra, vidi i carri celesti che aspettavano in fondo alla strada. Un vento luminoso alzava la polvere. Lasciai la finestra aperta, nel caso si sentissero i tori, e me ne andai a letto. 

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