Quantificare i danni potenziali non è semplice.
Una fotografia minimalista – ma già impietosa – la fa Banca d’Italia: a
settembre 2012, 210 enti locali erano esposti con banche italiane su strumenti
di finanza creativa per una cifra superiore agli 11 miliardi su cui è maturata
una perdita potenziale di 6,2 miliardi. Non proprio noccioline, specie per enti
già strozzati dai tagli. Il problema è che la malattia è molto più estesa. Il
Tesoro, considerando anche le operazioni con istituti esteri, aveva censito a
fine 2009 18 Regioni, 42 Provincie e 603 Comuni soffocate da swap e options per
un valore di 35,7 miliardi. Secondo l’Anci oggi solo i Comuni con derivati
sarebbero circa 800. Una “minaccia per la sicurezza nazionale” finita sotto la
lente dei nostri 007 con un’informativa ad hoc redatta dall’Agenzia di
informazione e sicurezza interna (Aisi) e che ci è costata secondo Eurostat tra
2007 e 2010 ben 4 miliardi di interessi in più sul nostro debito pubblico…
La Libertà Non Sta Nello Scegliere Tra Bianco E Nero, Ma Nel Sottrarsi A Questa Scelta Prescritta. (Theodor W.Adorno)
giovedì 20 dicembre 2012
Stregoni all’incasso
I derivati degli enti
pubblici italiani sono una bomba ad orologeria innescata in ogni angolo della
penisola, pronta ad esplodere in qualsiasi momento e a far danni per almeno sei
miliardi. La finanza allegra di inizio millennio non ha risparmiato nessuno. Il
Tesoro, a inizio anno, ha chiuso alla chetichella con un assegno da 2,6
miliardi (più del 10% dei soldi incassati con l’Imu) uno sfortunatissimo swap
sottoscritto nel 1994 con Morgan Stanley. Ma tutto lo stivale è Paese: dal Piemonte
alla Puglia, da Firenze ad Orvieto da Copparo –provincia di Ferrara – a
Chiaramonte Gulfi in Sicilia, decine di amministratori locali reinventatisi
Warren Buffett hanno firmato tra 2000 e 2008 (fino al crac Lehman)
complicatissimi derivati, convinti di risparmiare sugli interessi del debito. E
i loro elettori e cittadini sono costretti oggi a pagare il pedaggio,
salatissimo, della loro disinvoltura.
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