Vi era un tempo in cui l’operaio e il pastore si
sacrificavano per avere un figlio dottore. Era un investimento per il futuro.
Un’epoca dove le istituzioni pubbliche investivano in istruzione e cultura. Si
era consci che per la crescita sociale ed economica di una comunità istruzione
e cultura erano strategici. In Sardegna avvenne nel dopoguerra, vincere
l’analfabetismo di massa era uno degli obiettivi principali. Non a caso
ricordiamo quel periodo come uno dei più dinamici, pieno di tensioni
democratiche e civili.
Un’isola che abbandonava i posti di bassa classifica
dell’istruzione per diventare un luogo che cercava il proprio riscatto.
Quell’abbozzo di società industriale era caratterizzato dalla presenza delle
agenzie di senso. Partiti, sindacati, Chiesa, famiglia e scuola non si
limitavano ad indicare una palingenesi ed un futuro possibile, l’accento che
veniva dato era quello di sconfiggere l’ignoranza, considerata una delle prime
cause della povertà.
Poi qualcosa si è rotto. Sono scomparsi i corpi
intermedi, la Chiesa fatica sempre di più in un contesto secolarizzato, la
scuola non garantisce più la mobilità sociale. Quella finestra di opportunità
si è chiusa, di conseguenza anche il titolo di studio ha perso di importanza.
Quasi che la società contemporanea non abbia più bisogno di persone colte.
Competenze sufficienti per accedere al web, per il resto nulla.
Un processo aiutato se non favorito, dalle politiche
pubbliche sull’istruzione. Negli ultimi quindici anni i tagli progressivi hanno
ridotto gli investimenti, lasciando la scuola alla buona volontà e motivazione
degli insegnanti, i veri eroi di questo tempo. Cresce l’abbandono scolastico, i
dati Invalsi sulle performance dei nostri studenti sono impietosi. Quanto
questi risultati siano dovuti al fatto che i nostri ragazzi sentano la scuola
lontana, dove la Sardegna è solo un inciso e non se ne studi né la storia né la
lingua? Quanto questo influisca nella formazione dell’autostima?
L’Università non va meglio. Le controriforme stanno
finendo con il rafforzare le sedi del nord d’Italia a discapito del sud e delle
isole. L’economicismo che domina queste operazioni sembra nascondere un
progetto neo oligarchico. Chi avrà i mezzi potrà frequentare le università più
prestigiose, possibilmente quelle internazionali, gli altri faranno quel che
potranno, se vorranno.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha richiamato
l’Italia perché il numero delle vaccinazioni obbligatorie dei bambini sta
scendendo sotto il livello di guardia. Uno dei primi effetti del taglio
all’istruzione si potrebbe dire. Genitori vittime della disinformazione
dominante nel web? O solo mancanti di cultura scientifica? Qualsiasi sia la
risposta significa abbandonarsi all’irrazionale. Di morbillo si muore.
Giulio Tremonti, un economista, ebbe a dire che con la
cultura non si mangia, benché i dati internazionali dimostrino che ogni euro
investito in cultura ne generi altri cinque nell’indotto. Produrre individui
incolti ha il suo peso sociale. Significa progettare una società priva di senso
civico, popolata da persone impossibilitate a capire un testo, dipendenti dagli
altri.
Individui insicuri, incapaci di capire il proprio tempo,
generatori di una società infelice.
I vaccini sono una delle più grandi scoperte e hanno salvato milioni di vite, come si fa a dimenticare questo, non abbiamo più neanche memoria storica oramai.
RispondiElimina"Quasi che la società contemporanea non abbia più bisogno di persone colte. Competenze sufficienti per accedere al web, per il resto nulla".
Eliminaun requiem, praticamente
sicuramente lo conoscerai, seguo http://medbunker.blogspot.it/.
EliminaAlcuni blog non li ho sul blogroll perchè li seguo dai post Fb