giovedì 26 aprile 2018

La manipolazione mediatica sulla Palestina - Patrizia Cecconi


“Se non state attenti i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare i loro oppressori.” Lo diceva Malcolm X e non era poesia ma estrema sintesi di ciò che può il potere mediatico. Lo verifichiamo continuamente anche ora che l’avvento dei social e della stampa on line riesce a ridimensionare il potere di creare e sopprimere verità da parte dei media main stream. Solo a ridimensionare però! Ultimo caso esemplare è quanto successo tre giorni fa in Medio Oriente, esattamente nella Striscia di Gaza.
Un passo indietro è d’obbligo ed è la dichiarazione di Israele che minacciava di fare strage di palestinesi nel caso in cui la manifestazione del 30 marzo, benché pacifica, avesse sfiorato il confine dell’assedio. Non si è levata neanche una parola dalle Istituzioni internazionali per condannare una simile dichiarazione dando così a Israele il consenso tacito a rendere operativa l’azione criminale minacciata, lasciando sul campo 17 cadaveri e oltre 1500 feriti in un’operazione durata solo poche ore.
I pochissimi internazionali presenti nei vari punti di concentramento della “grande marcia del ritorno”, questo il nome dato dagli organizzatori alla manifestazione indetta per rivendicare il rispetto delle Risoluzioni Onu da parte di Israele, hanno visto e testimoniato, anche con documentazioni video e fotografiche, l’andamento della grande manifestazione e gli omicidi immotivati commessi dai 100 tiratori scelti posizionati da Israele lungo il border.
La “grande marcia” partiva per essere una sorta di festa popolare con bambini al seguito e partecipazione gioiosa, come mostrano le numerose foto, ma Israele, colpevole di aver posto l’assedio a Gaza ormai da 11 anni, ha deciso di sparare lo stesso, e non solo contro i pochissimi che rivendicavano il diritto di superare la cosiddetta zona cuscinetto imposta con la violenza delle armi dall’assediante, ma ha sparato sulla folla, uccidendo e ferendo anche dei ragazzini. E’ stato a questo punto che alcuni dimostranti hanno dato fuoco a vecchi pneumatici per disorientare col fumo i loro potenziali killer, ma le foto con i pneumatici in fiamme evidentemente attraggono l’attenzione più di una famiglia che sembra stia facendo una scampagnata. Dunque queste foto, insieme alle dichiarazioni israeliane, hanno avuto la capacità di offuscare la verità al punto che i nostri media, senza pudore, hanno potuto mescolare menzogne vere e proprie con alcuni spicchi di verità in una miscellanea che ha soltanto un nome: manipolazione mediatica della verità.
Che Israele, intenzionato da sempre ad annettersi illegalmente l’intera Palestina storica, usi la violenza e al contempo pianga protezione ha una sua logica indiscutibile, ma che i media italiani, e non solo, si prestino in maggioranza ad assecondarlo senza alcun pudore né etica professionale, è cosa che lascia quanto meno perplessi per la sua gravità, non tanto rispetto al popolo palestinese, quanto a quello italiano, al quale pian piano si sta lasciando affievolire il concetto di democrazia sostanziale grazie al chiamare democratiche le azioni di uno Stato, Israele, assolutamente fuori legge.
Israele infatti, detto pure Stato ebraico definendolo in tal modo etnico-confessionale e perciò stesso al di fuori di quell’eguaglianza laica che rappresenta uno dei pilastri della moderna democrazia, è al di fuori delle leggi internazionali dal momento stesso della sua nascita. Lo è non per opinione dei suoi detrattori, ma per sua stessa ripetuta e fiera ammissione. Ma questo non è sufficiente a fornire ai nostri media quell’obiettività necessaria per una lettura corretta del suo agire ma anzi, al contrario, sembra la sorgente invisibile di una censura che pian piano si è trasformata in autocensura fornendo giustificazione ad azioni che secondo la legalità internazionale sono definibili quali violazioni del Diritto internazionale fino a configurare, in alcuni casi, l’ipotesi di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.
Non si tratta di opinioni ma di lettura obiettiva della realtà, un’obiettività che viene però ostacolata da una sorta di velo posto da Israele e dai suoi sostenitori al di sopra di ogni giudizio oggettivo, un velo cui è stato attribuito con un unico termine, “antisemitismo”, il potere magico di bloccare ogni critica alle azioni criminali che Israele pratica a partire dalla sua nascita e che i suoi fondatori praticavano prima ancora della sua fondazione.
Non sono opinioni ma fatti storici, basti citare atti di terrorismo quali il sanguinoso attentato all’hotel King David del 1946 o all’hotel Semiramis nel gennaio del “48 o le stragi di interi villaggi quali Deir Yassin o Lydda tra il “47 e il “48, tanto per fare solo alcuni esempi. Alcuni dei mandanti ed esecutori di quelle ed altre stragi diventarono poi statisti importanti, o addirittura Nobel per la pace, ma questo appartiene alla storia di tante nazioni e non solo di Israele. Tuttavia è bene ricordarlo, serve a capire.
Tornando alla manipolazione mediatica e in particolare all’ultimo caso che vogliamo prendere in considerazione, basta mettere a confronto i fatti con le parole usate per interpretarli da alcuni dei media più significativi per rendersi conto di quanto impegno venga dedicato a modificare la realtà e soprattutto la sua percezione, nonostante i fatti siano incontrovertibili. Magistrale è “La Stampa” la quale, ignorando che l’organizzazione della marcia che si concluderà il 15 maggio non appartiene ad Hamas, attribuisce allo stesso Hamas – trasformato ormai da movimento politico a termine evocativo di terrorismo islamico, benché sia il vero baluardo palestinese contro l’Isis – la colpa di aver costretto Israele a macchiarsi di sangue. Come? rivendicando il rispetto alla Risoluzione Onu che Israele calpesta.
E con quale strategia? quella della manifestazione pacifica armata di “donne, bambini, ragazzi, per sfondare il confine e riappropriarsi dei territori perduti, fossero pure pochi metri quadrati e per pochi minuti….(che) ha messo in difficoltà Israele e costretto i suoi militari…. a sparare sui civili.”
L’argomentare della Stampa sembrerebbe una pièce da teatro dell’assurdo, senza poi considerare che i cecchini hanno sparato a uomini donne e bambini che quei 2metri quadrati, per pochi minuti” non li hanno neanche toccati.
Non meno assurda è l’affermazione dell’Huffingtonpost che apre il suo articolo definendo Israele come il paese destinato “a fare i conti con il terrorismo fin dalla sua nascita”, scavalcando a piè pari il fatto che Israele nasce proprio praticando il terrorismo e non sulla Risoluzione 181 che non rispetterà mai. Seguendo lo stile del politically correct l’Huffingtonpost dà poi la parola all’analista militare israeliano Amos Harel e al giornalista Gideon Levy i quali affermano entrambi che la scelta non-violenta di Hamas, la sua “metamorfosi” come la definiscono, rappresenta il vero incubo di Israele.
In qualche modo il vero problema e cioè la natura fuori legge e le azioni criminali di questo Stato finiscono sempre per confondersi in una nebbia assolutoria, anche se non è questa l’intenzione di chi, come Gideon Levy, rappresenta la voce critica del suo Paese.
Passiamo a dare un’occhiata alla cosiddetta analisi apparsa sull’Internazionale, il cui autore, il francese Guetta, afferma che se Israele si fosse limitato all’uso di lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma, avrebbe consentito al (diabolico) Hamas di avvicinarsi e magari oltrepassare la frontiera (ovvero la linea dell’assedio) peggiorando l’entità della strage e mettendo “Israele in una situazione più difficile”. L’analista, o cosiddetto tale, prosegue poi affermando che Israele, “mostrando tutta la sua determinazione… ha cercato di stroncare sul nascere un movimento di ribellione di massa palestinese”. Una lettura del genere, peraltro su una rivista considerata attenta e benevola verso la questione palestinese, mentre assolve Israele per il suo ultimo crimine, fa supporre illegittima la ribellione all’assedio e all’occupazione invertendo totalmente la realtà storica e attuale. Qui le parole di Malcom X sembrano un’indicazione terapeutica per evitare di ammalarsi di incapacità di giudizio.
Tv e quotidiani hanno fatto a gara in questi giorni a mostrare le proprie abilità manipolatorie e i media conosciuti come democratici hanno brillato nel gioco del colpo doppio, uno al cerchio e uno alla botte, confondendo la realtà anche con definizioni apparentemente corrette quale, ad esempio, quella maggiormente quotata che risponde a “Israele ha avuto una reazione sproporzionata”.
Chiamiamo ancora a sostegno Malcom X per evitare di cadere nella trappola che forse non è neanche voluta da molti dei giornalisti vittime della coazione a ripetere, ma che trappola è comunque. Esaminiamo il sostantivo “reazione” e l’aggettivo “sproporzionata.”
Reazione a cosa? a una manifestazione pacifica interna a un territorio cinto d’assedio? Se la reazione risponde a un’azione, l’azione è l’assedio e il non rispetto delle Risoluzioni Onu, mentre la reazione è la manifestazione per interrompere le violazioni israeliane. Ma se il termine viene considerato a catena, allora ecco che può definirsi “reazione” anche la risposta a qualunque “reazione”.
Prendiamo però l’aggettivo che definisce e al tempo stesso giustifica la “reazione” israeliana. Viene detta sproporzionata e in tal modo viene conclamato che una reazione alla manifestazione che rivendica diritti violati è cosa giusta. Purché resti entro date proporzioni.
E’ chiaro il gioco, se si fa un’analisi del contenuto, direbbe Malcom X, non a caso ucciso perché molto scomodo!
E ora vediamo quali sarebbero i parametri in grado di stabilire la proporzione. Un morto invece che 17? 100 feriti invece che 1500 o più? Non ce lo dicono i nostri media, loro si limitano a ripetere formule che alla fine sembrano diventare assiomi.
Lo spazio di un articolo di giornale non ci permette di dilungarci troppo nelle analisi e quindi cercheremo di limitarci per non annoiare il lettore. Aggiungiamo soltanto che considerare come provocazione l’incendio di alcuni pneumatici usando il fumo per difendersi dagli spari dei cecchini non è manipolazione dell’informazione, no, è vera e propria menzogna a sostegno di chi ha ordinato ai propri soldati di macchiarsi di omicidi plurimi e si è poi congratulato pubblicamente con gli stessi per aver svolto il loro ottimo lavoro.
Vale a dire che i media che hanno supportato Israele possono a pieno titolo essere considerati complici per concorso morale con i mandanti degli assassini, ovvero con Netanyahu e Lieberman i quali, non sazi di quanto avvenuto all’apertura della “grande marcia” comunicano che faranno altrettanto e di più il prossimo venerdì. La comunicazione è pubblica ma su di loro non cade alcuna sanzione affinché vengano fermati. Dove sono le Istituzioni internazionali?
Ma torniamo velocemente sul gioco mediatico e vediamo come gli organizzatori della marcia sono stati scalzati dai media per far spazio ad Hamas, considerato come vero organizzatore. Poi vediamo che le accuse ad Hamas in quanto sostenitore della resistenza armata (e qui sorvoliamo sulle Convenzioni di Ginevra che gli darebbero ragione per non sembrare benevolenti verso questo movimento, visto che non lo siamo) si trasformano in accuse ad Hamas per aver cambiato strategia ed aver scelto la resistenza non violenta, che sarebbe il nuovo incubo di Israele.
Ma Hamas, e non solo lui, ha commesso un nuovo errore, quello di aver stampato i manifesti funebri di alcune vittime secondo la retorica della resistenza armata contro l’occupante. Questo ha dato nuovo ossigeno a favore di Israele e a danno della comprensione obiettiva della situazione.
Leggerezza? malafede? servilismo? non abbiamo titolo ad arrogarci il diritto di esprimere il nostro giudizio sulle motivazioni che hanno spinto alcuni colleghi a utilizzare questi manifesti di pessima grafica retorico-epica, ma abbiamo il diritto di esprimerci sul fatto: si tratta di strumentalizzazione di basso livello che mira a mettere sullo stesso piano la vittima con l’assassino se non addirittura peggio cioè, secondo l’avvertimento di Malcolm X, a farci odiare la vittima e offrire amore e comprensione al suo assassino.
In conclusione ci chiediamo il perché di tutto questo. Perché a Israele è consentito di distruggere i pilastri della democrazia e di esportare questa tecnica distruttiva anche nel nostro paese? Perché Israele può permettersi di rispondere al Segretario generale delle Nazioni Unite che non vuole nessuna inchiesta sui suoi crimini e le Nazioni Unite abbassano la testa? Cosa c’è dietro tutta questa complicità con un Paese che è il paradigma dell’illegalità legalizzata? Sappiamo che il solo porci questa domanda può consentire, grazie all’ottimo lavoro della propaganda israeliana, di essere tacciati di antisemitismo e questo è un ricatto e un éscamotage di bassissimo livello che respingiamo a priori.
Chi scrive ha per caso qualche anello di ebraismo nel suo DNA ma non è questo a farci respingere l’accusa. Noi, come organo d’informazione condanniamo la manipolazione mediatica e, come sinceri democratici convinti che solo il rispetto del Diritto universale può interrompere la mattanza in atto da oltre 70 anni in quell’area geografica, usiamo la nostra voce e le nostre testimonianze dirette e documentate per raccontare la verità.
La verità condanna Israele e rinchiude in una cornice eticamente penosa i media che per sostenerlo hanno sacrificato professionalità e onestà morale. E questo lo ripetiamo con convinzione supportata dall’analisi della realtà.

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