domenica 8 aprile 2018

“Pallottole israeliane e indifferenza del mondo non fermeranno la nostra Grande Marcia” - Ahmed Masoud




‘Guardati dalle idi di marzo’. Così recita il fatale avvertimento, ignorato da Giulio Cesare, nell’omonima tragedia di Shakespeare. Se Cesare avesse deciso di fermarsi a rifletterci su, la sua vita e il corso della storia mondiale avrebbero potuto prendere un’altra piega.
Lo stesso messaggio è oggi rivolto allo Stato di Israele, al suo governo di destra e ai suoi sostenitori nell’attuale amministrazione Usa. Guardatevi dalle idi di marzo. Come verranno giudicati dalla Storia coloro che ignorano ciò che è successo ieri alla Grande Marcia per il Ritorno nella Striscia di Gaza? Come ripenseremo a un’importante occasione per la pace, sprecata da politicanti autoindulgenti che hanno deciso di restare fedeli al loro estremismo?
Ieri [venerdì, ndt], l’esercito israeliano ha ammazzato 17 civili palestinesi disarmati e ne ha feriti più di 1.400. Cosa sarebbe successo se, invece di ammazzarci e menomarci, avesse aperto i valichi per permettere alla mia gente di tornare alle loro case? Sembra un’idea folle, ma qualcuno deve pur porre la domanda: “E se…?”
Non solo l’esercito israeliano ha menomato e ucciso palestinesi indifesi che hanno osato esprimere un diritto umano fondamentale, cioè voler tornare a casa nelle città e nei villaggi da cui sono stati espulsi per sette decenni; ora Israele sta anche diffondendo l’idea assurda secondo cui la Grande Marcia del Ritorno, alla quale hanno partecipato migliaia di uomini, donne e bambini, sia stata uno “stratagemma targato Hamas”, e che i palestinesi abbiano utilizzato i propri figli come “scudi umani”.
Oltre ad ammazzarci e mutilarci, Israele sta anche dicendo che noi palestinesi non riusciamo a pensare e agire con la nostra testa. Un’idea del genere non è solo ridicola, ma anche offensiva.
Fermiamoci qui per un attimo e analizziamo la teoria secondo cui un certo tipo di propaganda riuscirebbe a convincere una madre a portare il proprio figlio sulla linea del fuoco. Mentre mettete a letto i vostri figli, mentre leggete loro un paio di storie, o quando vi svegliate e preparate la colazione per i vostri amati piccolini, per favore, prendetevi un momento e pensate a quanto sia profondamente offensiva e oscena questa linea propagandistica israeliana.
Nessuno sforzo propagandistico al mondo, per quanto bieco o ingegnoso, riuscirebbe a far marciare volontariamente migliaia di persone verso il confine della loro prigione a cielo aperto, sapendo benissimo che ci sono centinaia di soldati senza scrupoli che aspettano dall’altra parte, pronti a premere il grilletto in qualsiasi momento.
Solo una cosa può spingere la gente a fare una cosa del genere: la disperazione, la sensazione di non avere niente da perdere. E questo corrisponde esattamente a ciò che è oggi la vita a Gaza, dopo decenni di occupazione e assedio: un vero e proprio inferno.
Eppure, ancora una volta, l’esercito israeliano e i media mondiali hanno scelto di ignorare questo semplice, ineludibile fatto. Perché i giornalisti del New York Times dovrebbero interessarsi delle realtà basilari della vita a Gaza? Del fatto che la fornitura di elettricità, acqua e cibo è scarsa o inesistente? Del fatto che due milioni di persone sono intrappolate in una prigione a cielo aperto? Del fatto che non vedo la mia famiglia da cinque anni perché i valichi sono perennemente chiusi? Del fatto che mia figlia di quattro anni mi chiede di continuo se io abbia dei genitori, perché lei non li ha mai visti? Perché dovrebbe interessare a qualcuno? Per loro noi siamo subumani.
Questo, naturalmente, è tipico dei colonizzatori. Dalla Marcia del Sale di Gandhi, alla Marcia su Washington di Martin Luther King, siamo stati tutti definiti “i barbari ignoranti” che cercano di destabilizzare lo status quo di libertà e democrazia.
Siamo tutti ‘poveri illusi’, spinti da qualche piano malvagio che mette in pericolo le vite di persone innocenti, quelle dall’altra parte del confine imposto da un sistema di segregazione. Ma la storia andrà avanti, e coloro che oggi si schierano contro la libertà della popolazione verranno gettati nel dimenticatoio.
Ieri in Palestina è stata organizzata una marcia pacifica, che fin dall’inizio ha voluto essere pacifica, e non ha coinvolto alcun partito politico o fazione. Questo non ha impedito ai soldati israeliani di falcidiare uomini e bambini a sangue freddo.
Questo atto di omicidio sistematico e deliberato è stato definito da gran parte dei media mondiali come “scontri”, termine che implica due parti alla pari con uguali responsabilità. Questo è il modo più semplice ed economico di demonizzare le persone; e anche un modo per non considerare l’origine della loro tragedia e la realtà della loro sofferenza. La verità è che sono passati 70 anni da quando questa gente è stata resa profuga, quando fu fondato lo Stato di Israele, un regime di apartheid che da decenni tiene segregata la popolazione indigena palestinese, deportando le persone, privandole dei diritti sulle loro case, e soprattutto, denigrando coloro che osano chiedere che siano loro garantiti i diritti fondamentali come a qualsiasi altra persona.
Oggi ci sono 12 milioni di rifugiati palestinesi che vivono fuori dalla terra dei loro antenati, molti in condizioni difficili, disumane, in Cisgiordania, Siria, Libano, Giordania e altre zone del mondo. Stanno osservando attentamente ciò che sta accadendo. Ammirano le risposte audaci e fantasiose di Gaza a decenni di dolore e ingiustizia e, un giorno, potrebbero seguire l’esempio.
Quando verrà quel giorno, nessun esercito di occupazione, non importa quanto potente o spietato, riuscirà a impedire il loro ritorno a casa. Israele, come Cesare, dovrebbe guardarsi dalle idi di marzo
(Traduzione di Elena Bellini)

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