mercoledì 18 aprile 2018

Politica e ricerca: un centro studi autogestito - Cristian Perra



Antonio Gramsci nel suo articolo “Socialismo e Cultura”, comparso su “Il Grido del Popolo” il 29 Gennaio 1916 scriveva che «bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da riempire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà incasellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno». Per il pensatore di Ales infatti ogni mutamento rivoluzionario è caratterizzato «da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee» da parte di persone che inizialmente perseguono il loro interesse e che prendono coscienza del loro essere massa.
La socializzazione della cultura non è solo un fatto di diffusione capillare di un quantitativo di sapere, quanto il socializzare l’atto stesso dello studio: la cultura è relazione dialettica tra soggettività diverse. Il problema cruciale è però che la cultura è sempre e comunque figlia dei rapporti di potere della società nella quale si vive. Quindi il compito dell’intellettuale è quello di incarnare lo spirito di scissione, di acquisire la consapevolezza della storicità e della dialetticità della realtà: insomma il suo compito sarà quello di destrutturare e delegittimare le dinamiche della cultura dominante.
Incarnare lo spirito di scissione significa essere militante: non è militante solo chi lotta nelle strade, nelle piazze, davanti alle reti dei poligoni, ma anche chi lavora attivamente per la produzione di sapere critico, avulso dalle logiche di mercato. Il portatore di sapere è militante per definizione, è soggettività in lotta nei confronti di un sistema che fa di tutto per annichilire ogni tentativo di rottura.
L’università in particolare è bombardata dal sistema: la sua stessa struttura è caratterizzata da una riproposizione del processo di riproduzione del capitale. Il C.F.U., come il capitale è lavoro accumulato: certamente non è equivalente del lavoro in fabbrica, ma è la stessa dinamica che si ripete nel microcosmo universitario. La laurea non è altro che un prodotto acquistabile ad un certo prezzo stabilito in C.F.U.
La ricerca non versa in condizioni migliori rispetto alla didattica: I dottorati considerati inutili vengono tagliati e in quelli rimanenti la ricerca non è libera ma segue i criteri del mercato, mentre i ricercatori, per sopravvivere, devono seguire la logica del “public or perish” per poter andare avanti con il finanziamento privato come unica boccata d’aria, senza badare a chi finanzia la ricerca.
In un contesto come questo, l’intellettuale, quale produttore e portatore di sapere è militante per definizione: è necessario, infatti, per capire e destrutturare le dinamiche di potere, dotarsi di strumenti di analisi tali da comprendere il mondo grande e terribile che ci circonda, trasformandolo. Non basta più portare avanti iniziative culturali fine a sé stesse, siamo chiamati e chiamate alla mobilitazione: la cultura è integralmente politica. Siamo chiamati e chiamate a creare un’alternativa convincente alla narrazione dominante: un’alternativa autogestita.
La nascita di un centro studi risponde a queste esigenze. Si tratta di aprirsi a nuove possibilità politiche, teoriche e pratiche, da costruire collettivamente, in un momento in cui è fondamentale riconquistare ogni centimetro che ci viene rubato dalla controparte, non solo di spazio fisico, ma anche di spazio di azione teorica e pratica.
L’esigenza di creare un centro studi non viene solo da elucubrazioni teoriche, ma da esigenze concrete. Ci si trova, sempre più spesso, nei movimenti sociali ad essere tesi tra una prassi cieca, in quanto non ha basi teoriche e una teoria del tutto vuota in quanto non ha finalità emancipativa. Il lavoro del centro studi si propone di svelare e raggiungere l’unione concreta di teoria e prassi, indissolubilmente legate tra di loro.
Abbiamo bisogno di riappropriarci della cultura che ci circonda, abbiamo bisogno di utilizzare un approccio multidisciplinare e trasversale alla realtà che ci circonda, attraversando le peculiarità e le interconnessioni tra le scienze e la realtà: gli interessi di studio dovranno infatti spaziare dalla filosofia, all’antropologia, alla storia, alla sociologia, alla scienza politica, alle scienze naturali, alla metodologia e alle tematiche della lotta sociale.
L’obiettivo che il Collettivo Universitario Autonomo si sta proponendo è essenzialmente quello di creare un luogo, fisico e teorico di produzione e socializzazione dei saperi che tenga conto delle trasformazioni del mondo contemporaneo. Che sia non solo legato ai movimenti sociali che caratterizzano Cagliari e l’intera Sardegna (dalla lotta contro le basi militari, alla lotta per la casa, alle lotte contro la speculazione energetica), ma che riesca a andare oltre attraversando tutti i campi dello scibile.
Non si vuole proporre una brutta copia dell’università e che risponda alle stesse esigenze elitarie della ricerca accademica, sebbene su argomenti considerati “critici”. Ciò che distingue un centro studi autogestito non è il contenuto degli studi, ma il metodo: dobbiamo imparare a studiare collettivamente stimolando esperienze di con-ricerca e di gruppi di studio, rispetto allo studio sempre più individualizzante della ricerca universitaria.
Il progetto consta di tre principali parole d’ordine: documentazione, formazione e produzione. Documentazione in quanto ambiamo ad avere una cognizione storica e dialettica del passato: è in corso, infatti, la creazione di una biblioteca che vanta già più di 2000 volumi e di un archivio sui movimenti sociali in Sardegna dagli anni ’60 ad oggi. Formazione ed auto-formazione sono la seconda parola d’ordine: abbiamo bisogno di affilare le armi della critica attraverso la libera ricerca, lo studio collettivo, seminari, conferenze, presentazioni di libri ed eventi culturali. Produzione in quanto vorremmo fornire un costante apporto culturale e teorico da far uscire dalle mura del centro studi: ambiamo alla creazione di una rivista e magari, di una casa editrice.
Nel contesto sardo abbiamo molto da costruire. Ci sono focolai di resistenza, politica e culturale, ovunque. Si tratta di organizzarsi, di unire le forze per ingrandire le fila degli incompatibili con le dinamiche del potere: abbiamo un mondo di possibilità, teoriche e pratiche da costruire assieme. Proprio per questo vogliamo lanciare un appello a tutte e tutti coloro che sentono la necessità di fare della cultura un campo aperto di lotta politica: organizziamoci, «perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».

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