mercoledì 30 aprile 2025

Il giurassic park italiano - Alberto Capece


L’Italia sta diventando come una di quelle isole misteriose di Hollywood  dove si trovano animali ormai estinti altrove o in via di estinzione: il Quirinosauro per esempio o il Mammut crosettii o ancora il Tyrannosaurus melonii, forma nana del celebre carnivoro, per non dire di tutta la schiera di piccoli Rincosauri che popolano redazioni, televisioni e rete. Il mondo sta cambiando velocemente, ma loro non se ne sono ancora accorti e nemmeno l’impatto dell’asteroide Trump è bastato a svegliarli. La gaffe, certamente voluta, di Mattarella che ha paragonato la Russia al Terzo Reich è proprio perfetta, come forma di disperata resistenza, per introdurci in questo contesto archeologico e per comprendere come in definitiva esso sia eterodiretto da poteri grigi che non si arrendono alla fine del globalismo inteso come dittatura planetaria della finanza e dei suoi emissari, visibili, anzi ostentati, come il Wef, operativi come Soros e invisibili come i Rothschild che hanno inventatoe non certo da adesso il sistema di ricatto sugli Stati.  .

Ora  non voglio allungare il post di ieri per analizzare gli scomposti attacchi di qualche minus habens incistato nei giornaloni che ha attaccato sul piano personale la portavoce del ministro Lavrov, Maria Zakharova, in mancanza di qualsiasi argomento plausibile a difesa dei deliri marsigliesi della massima autorità della Repubblica. È necessario fare un passo in più  e capire come tutto questo sia il sintomo di uno scollamento dalla realtà della governance italiana ed europea la quale si intestardisce sull’Ucraina nonostante sia evidente che la guerra  è persa, che la Russia non ha subito il colpo mortale delle sanzioni e che anzi queste sono state un boomerang per l’Europa che oggi soffre di una disastrosa deindustrializzazione i cui effetti stanno ormai mordendo il tessuto sociale. Per qualche momento è parso che l’Italia potesse e forse volesse assumere un ruolo importante in un futuro processo di pace, ma questa ambizione non si è concretata in nulla visto la totale nullità del milieu politico e la sua dipendenza da poteri reali che prescindono da qualsiasi rappresentatività.  Anzi si è agito proprio come se questo obiettivo non fosse altro che un’espediente retorico del potere:

·         abbiamo mandato valanghe di soldi e di  armi a Zelensky e  alle sue truppe con simboli nazisti sottraendo cifre essenziali al Paese e alle sue politiche sociali

·         abbiamo negato il visto ai cittadini russi

·         abbiamo vietato qualsiasi manifestazione della cultura russa

·         abbiamo entusiasticamente aderito a forme di censura medioevali

·         abbiamo fatto credere che pagare l’energia a costi molto più elevati rispetto a quelli russi  fosse il prezzo da pagare per difendere l’Ucraina e che comunque le energie rinnovabili avrebbero risolto il problema

·         abbiamo, in combutta con la von der Leyen, alimentato la volgare farsa di farci assegnare Donetsk come area per una fantomatica ricostruzione dopo l’immancabile vittoria, quando quel territorio è stato il primo ad essere annesso, per referendum popolare, alla Russia,

·         infine abbiamo paragonato Mosca alla Berlino di Hitler

Insomma è stato fatto tutto il peggio che era possibile fare per diventare un Paese senza ruolo e senza senso persino dentro la catastrofica logica di Biden e soci.

Ora siamo in mutande e non solo metaforicamente perché Trump ha fatto capire di voler direttamente trattare con Putin scavalcando completamente l’Europa. E non saranno certo le micionerie della Meloni con Musk a darci un ruolo diverso da quella di colonia di secondo piano. Il fatto è che il tentativo globalista si è infranto proprio in Ucraina che doveva essere invece il tassello chiave della sua espansione oltre l’Occidente e che la nuova amministrazione americana sembra aver compreso che il mondo è ormai multipolare e lavora per dare più spazio all’America in questo contesto dove non può più far conto su una onnipotenza, ancora ostentata, ma ormai tramontata. Al contrario la Ue e il milieu italiano lavorano ancora nella vecchia logica, nonostante essa sia fallita, non riuscendo a comprendere di essere diventati in qualche modo sacrificabili, pedine su una scacchiera troppo grande per loro. Così si alienano i possibili amici per accucciarsi ai piedi dei veri nemici. Eh, gli animali estinti fanno così.

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martedì 29 aprile 2025

Non c’è limite al genocidio

articoli di Shlomo Sand, Tommaso Merlo, Mjriam Abu Samra, Sara Troian, Hagar Shezaf, Craig Mokhiber, Luca Pisapia, Imad Talahma, David Hearst, Francesco Masala (ripresi da invictapalestina.org, pressenza.com/it, zeitun.info, pungolorosso.com, infosannio.com, sardegnapalestina.org, valori.it, infopal.it)

 

March to Gaza

Da alcuni giorni stanno circolando link a un gruppo telegram e un appello, iniziato in Francia, per organizzare una marcia di cittadini verso Gaza a cui stanno arrivando adesioni da tutto il mondo. La marcia è in corso di organizzazione; qui sotto la lettera aperta che appare nel gruppo telegram e qualche indicazione social.

LETTERA APERTA ALLE AMBASCIATE D’EGITTO E DI ISRAELE

Francia, 09 aprile 2025

All’attenzione delle autorità diplomatiche della Repubblica araba d’Egitto e dello Stato d’Israele
E a tutti coloro che agiscono – o che dovrebbero agire

Noi, cittadini francesi e cittadini del mondo, donne e uomini liberi, provenienti da molteplici paesi, religioni, lingue e culture, vi scriviamo per annunciarvi che il popolo si solleva.

Di fronte all’inazione dei governi, di fronte alla sofferenza insostenibile del popolo palestinese, di fronte al blocco disumano imposto a Gaza, migliaia di persone, ovunque nel mondo, si organizzano per una marcia senza precedenti.

Una Marcia verso Gaza.

Marciamo per la vita. Marciamo per la dignità.

Marceremo fino al terminal di Rafah, con un solo obiettivo: aprire la frontiera, far entrare gli aiuti umanitari ed esigere la fine dell’assedio.

Questo movimento, inizialmente simbolico, diventa concreto. Delegazioni cittadine sono in corso di organizzazione in diversi paesi. Interi gruppi si preparano a raggiungere la frontiera egiziana di Rafah nelle prossime settimane. Se non reagite, noi arriveremo.

E se dovremo andare oltre, andremo fino in Cisgiordania, fino alle terre dove la colonizzazione illegale si estende ogni giorno.
Non porteremo armi: porteremo le nostre voci. Ma siate certi che non ci fermeremo.

Non vogliamo la guerra. Vogliamo la pace.

Ma poiché i nostri dirigenti non fanno il loro dovere, noi, il popolo, ci assumeremo le nostre responsabilità.
Speriamo che questa mobilitazione susciti un sussulto di coscienza.
Speriamo che ascoltiate questo appello e scegliate di non ostacolare la volontà dei popoli liberi.
Questa lettera è indirizzata a voi, ma sarà anche diffusa sui social network, nella stampa, in tutte le lingue possibili.
La Storia si scrive ora, e vogliamo stare dalla parte giusta.

Aprite la frontiera.

Liberate Gaza.

La pace è ancora possibile.

Le cittadine e i cittadini membri del collettivo Marcia verso Gaza

 

Social attivi in Italia

gruppo Telegram: https://t.me/+JFHA6tuHU25kNzU0

Instagram: https://www.instagram.com/mtg_international_italia?igsh=eWxvb2c0dnkyYm90

Tik Tok: https://tiktok.com/@march.to.gaza_italia

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A proposito di semiti e antisemiti, sionisti e antisionisti – Shlomo Sand

Se qualsiasi discorso antiebraico nel mondo continua a preoccuparmi, avverto una certa repulsione contro il diluvio di ipocrisia e manipolazione orchestrata da tutti quelli che ora vogliono incriminare chiunque critichi il sionismo.

 

Sebbene residente in Israele, “Stato del popolo ebraico”, ho seguito da vicino il dibattito in Francia su antisemitismo e antisionismo. Se qualsiasi discorso antiebraico nel mondo continua a preoccuparmi, avverto una certa repulsione contro il diluvio di ipocrisia e manipolazione orchestrata da tutti quelli che ora vogliono incriminare chiunque critichi il sionismo.

Iniziamo con i problemi di definizione. Già da molto tempo mi sento a disagio, non solo per la recente formula in voga: “civiltà giudaico-cristiana”, ma anche davanti all’uso tradizionale del vocabolo “antisemitismo”. Questo termine, come sappiamo, è stato inventato nella seconda metà del 19° secolo da Wilhelm Marr, nazional-populista tedesco che detestava gli ebrei. Nello spirito di quel tempo, coloro che usavano quel termine avevano come presupposto fondamentale l’esistenza di una gerarchia di razze in cima alla quale si trova l’uomo bianco europeo, mentre la razza semita occupa un rango inferiore. Uno dei fondatori della “scienza della razza” fu, come sappiamo, il francese Arthur Gobineau.

Ai nostri giorni, la Storia un pochino più seria non conosce altro che delle lingue semitiche (l’aramaico, l’ebraico e l’arabo, che si sono diffuse nel Vicino Oriente), mentre, al contrario, non conosce nessuna razza semitica. Sapendo che gli ebrei d’Europa non parlavano correntemente l’ebraico, che era utilizzato solo per la preghiera (come i cristiani usavano il latino), è difficile considerarli come semiti.

Bisogna forse ricordare che il moderno odio razziale contro gli ebrei è, soprattutto, un’eredità delle chiese cristiane? Dal quarto secolo, il cristianesimo si è rifiutato considerare l’ebraismo come una religione legittima concorrente, e da lì, ha creato il famoso mito dell’esilio: gli ebrei sono stati esiliati dalla Palestina per avere partecipato all’omicidio del figlio di Dio – pertanto, è opportuno umiliarli per dimostrare la loro inferiorità. Ma occorre sapere che non c’è mai stato un esilio degli ebrei di Palestina, e, fino ad oggi, non troveremo alcun testo di ricerca storica sul tema!

Personalmente, faccio parte di quella scuola di pensiero tradizionale che rifiuta di vedere gli ebrei come un popolo-razza estraneo all’Europa. Già nel 19° secolo, Ernest Renan, dopo essersi liberato del suo razzismo, aveva affermato che: “L’ebreo delle Gallie … era, molto spesso, solo un gallo che professava la religione israelita.” Lo storico Marc Bloch ha specificato che gli ebrei sono: “Un gruppo di credenti reclutati precedentemente in tutto il mondo mediterraneo, turco-cazaro e slavo”. E Raymond Aron aggiunge: “I cosiddetti ebrei, per la maggior parte, non sono biologicamente dei discendenti delle tribù semitiche …”. La giudeofobia, tuttavia, si è sempre ostinata a vedere gli ebrei non come un’importante fede, ma come una nazione straniera.

Il lento declino del cristianesimo come credo egemonico in Europa, purtroppo non è stato accompagnato da un declino della forte tradizione giudeofobica. I nuovi “laici” hanno trasformato l’odio e la paura ancestrale in moderne ideologie “razionaliste”. Possiamo quindi trovare pregiudizi sugli ebrei e sull’ebraismo non solo in Shakespeare o Voltaire, ma anche in Hegel e Marx. Il nodo gordiano tra ebrei, ebraismo e denaro sembrava ovvio tra le élite istruite. Il fatto che la stragrande maggioranza dei milioni di ebrei nell’Europa orientale abbiano sofferto di fame e vissuto in povertà non ha avuto assolutamente alcun effetto su Charles Dickens, Fiodor Dostoevskij, né su una larga parte della sinistra europea. Nella Francia moderna la giudeofobia ha conosciuto bei giorni non solo con Alphonse Toussenel, Maurice Barrès e Edouard Drumont, ma anche con Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon e anche, per un certo tempo, con Jean Jaures e Georges Sorel.

Con il processo di democratizzazione la giudeofobia ha costituito un elemento immanente tra i pregiudizi delle masse europee: l’affair Dreyfus si è dimostrato un evento “emblematico”, in attesa di essere superato, e di gran lunga, dallo sterminio di ebrei durante la seconda guerra mondiale. È tra questi due avvenimenti storici che il sionismo è nato come idea e movimento.

Va ricordato, tuttavia, che fino alla seconda guerra mondiale, la stragrande maggioranza degli ebrei e dei loro discendenti laici erano antisionisti. Non c’era solo l’ortodossia, forte e organizzata, ad indignarsi all’idea di accorciare i tempi della redenzione emigrando in Terra Santa; anche le correnti religiose più moderniste (riformatori o conservatori) erano fortemente contrarie al sionismo. Il Bund, partito laico dell’Impero russo e poi della Polonia indipendente in cui la maggior parte dei socialisti era di madre lingua yddish, considerava i sionisti come alleati naturali dei giudeofobi. I comunisti di origine ebraica non perdevano occasione di condannare il sionismo come complice del colonialismo britannico.

Dopo lo sterminio degli ebrei d’Europa, i sopravvissuti che non erano riusciti a trovare in tempo rifugio nell’America del Nord, o nell’URSS, addolcirono la loro relazione ostile al sionismo, anche perché la maggior parte dei paesi occidentali e del mondo comunista avevano riconosciuto lo stato di Israele. Il fatto che la creazione di questo stato sia stata effettuata nel 1948 a spese della popolazione araba indigena non disturbò granché. L’ondata della decolonizzazione era ancora agli inizi e non era un dato da prendere in considerazione. Israele fu quindi percepito come uno stato-rifugio per gli ebrei erranti, senza ricovero né focolare.

Il fatto che il sionismo non sia riuscito a salvare gli ebrei d’Europa e che i sopravvissuti desiderassero emigrare in America, e nonostante la percezione del sionismo come un’impresa coloniale nel pieno senso del termine, non altera un dato significativo: la diagnosi sionista riguardante il pericolo che incombeva sulla vita degli ebrei nella civiltà europea del ventesimo secolo (non affatto giudeo-cristiana!), si era rivelata corretta. Theodore Herzl, il pensatore dell’idea sionista, aveva, meglio dei liberali e dei marxisti, compreso i giudeofobi del suo tempo.

Ciò non giustifica, tuttavia, la definizione sionista secondo cui gli ebrei formano un popolo-razza. Né giustifica la visione dei sionisti che la Terra Santa è la patria nazionale sulla quale avrebbero diritti storici. I sionisti hanno tuttavia creato un fatto politico compiuto e qualsiasi tentativo di cancellarlo si tradurrebbe in nuove tragedie di cui sarebbero vittime le due popolazioni che ne sono risultate: israeliana e palestinese.

Allo stesso tempo bisogna ricordarsi e ricordarlo: se non tutti i sionisti rivendicano la continuazione del dominio sui territori conquistati nel 1967, e se molti di loro non si sentono a proprio agio con il regime di apartheid che Israele vi esercita da 52 anni, tutti quelli che si definiscono sionisti continuano a vedere in Israele, almeno nei suoi confini del 1967, lo stato degli ebrei del mondo intero e non una Repubblica per tutti gli israeliani, un quarto dei quali non sono considerati ebrei, di cui il 21% sono arabi.

Se una democrazia è fondamentalmente uno stato che aspira al benessere di tutti i suoi cittadini, di tutti i suoi contribuenti, di tutti i bambini che vi nascono, Israele, al di là del pluralismo politico esistente, è, in realtà, una vera e propria etnocrazia come erano la Polonia, l’Ungheria e altri stati dell’Europa orientale, prima della seconda guerra mondiale.

Il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’anti-sionismo come una forma di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Emmanuel Macron di far condannare con effetto retroattivo, il bundista Marek Edelman, che fu uno dei leader del ghetto di Varsavia e totalmente anti-sionista. Si potrebbe anche inviare a processo i comunisti anti-sionisti che, piuttosto che emigrare in Palestina, scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo, cosa che ha loro conquistato un posto sul “manifesto rosso”.

Se intende essere coerente nella condanna retroattiva di tutti i critici del sionismo, Emmanuel Macron dovrà aggiungere la mia insegnante Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti umani, l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente, anche Eric Hobsbawm, Edward Saïd e molte altre eminenti figure, ora scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli.

Se Emmanuel Macron desidera attenersi a una legge che reprime gli anti-sionisti ancora viventi, la cosiddetta futura legge dovrà applicarsi anche agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano il sionismo, a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come ebrei pur dichiarandosi anti-sionisti.

Si troveranno, naturalmente, molti idioti antisionisti e giudeofobi, come non mancano dei pro-sionisti imbecilli, pure giudeofobi, ad augurare che gli ebrei lascino la Francia e emigrino nello Stato di Israele. Li includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento, signor Presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo infernale, proprio quando la popolarità è in declino!

Per concludere, non penso ci sia un aumento significativo dell’antigiudaismo in Francia. Questo è sempre esistito, e temo, purtroppo, che abbia davanti a sé ancora giorni buoni. Non ho dubbi, tuttavia, che uno dei fattori che gli impedisce di regredire, in particolare in alcuni quartieri in cui vivono persone immigrate, è precisamente la politica praticata da Israele contro dei palestinesi: quelli che vivono come cittadini di seconda classe all’interno dello “stato ebraico” e quelli che, da 52 anni, subiscono un’occupazione militare e una colonizzazione brutali.

Facendo parte di coloro che protestano contro questa tragica situazione, sostengo con tutte le mie forze il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi e sono favorevole alla “desionizzazione” dello Stato di Israele. Dovrò, in questo caso, temere che la mia prossima visita in Francia mi porti davanti a un tribunale?

(Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: https://www.investigaction.net/fr/a-propos-des-semites-et-des-antisemites-des-sionistes-et-des-antisionistes )

 

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Perché Hamas non si arrenderà – David Hearst

Chiamate Gaza come volete: Campo di Sterminio, un ciclo infinito di Sangue, Dolore e Morte, il più grande Campo di Concentramento del mondo. Oppure, come sembra intenzionata a fare la popolazione di Israele, si può ignorare del tutto.

Gli ebrei Ashkenaziti di Tel Aviv vivono in una bolla occidentale, sorseggiando i loro cappuccini mattutini e preparandosi per i loro corsi di yoga a solo un’ora di macchina dalle scene più spaventose che il mondo abbia visto dai tempi di Srebrenica o del Ruanda.

Ma c’è una cosa che nessuno di loro sembra capire: Hamas non si arrenderà.

Pensare che i suoi capi a Gaza prenderanno i soldi e scapperanno, come fece una volta Fatah, significa rivelare, dopo 18 mesi di Guerra Totale e due mesi di carestia, quanto poco il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu capisca il suo nemico.

Non ci siano dubbi, l’ultima “offerta” israeliana sarebbe stata un atto di resa. Si trattava di consegnare tutti gli ostaggi in cambio di 45 giorni di cibo e acqua e di chiedere il disarmo di Hamas.

Hamas ha risposto di essere pronta a rilasciare tutti gli ostaggi in cambio di alcuni prigionieri palestinesi e di offrire una tregua a lungo termine, in cui non avrebbe ricostruito i suoi tunnel né sviluppato le sue armi, e ceduto il governo di Gaza ad altre fazioni palestinesi.

Ma non si è scostata dalle due condizioni che aveva posto all’inizio di questa guerra: non disarmerà e vuole il ritiro totale delle forze israeliane dalla Striscia e la fine completa e definitiva della guerra.

Netanyahu, il sabotatore

È diventato abbondantemente e ripetutamente chiaro che lo stallo nel garantire una soluzione negoziata ricade sullo stesso Netanyahu. In due occasioni, ha firmato accordi con Hamas solo per poi romperli unilateralmente.

L’ultima volta, a gennaio, ha accettato un cessate il fuoco graduale, che ha garantito il rilascio di 33 ostaggi, in base al quale Israele avrebbe dovuto avviare i negoziati per una seconda fase e un cessate il fuoco permanente.

Netanyahu ha semplicemente stracciato quell’accordo. Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump glielo ha permesso, nonostante si trattasse del pezzo di carta di cui il nuovo Presidente stesso si era attribuito il merito.

Di comune accordo, Netanyahu è tornato in guerra solo per salvare la sua coalizione da un’imminente sconfitta in un voto sul bilancio. Qualsiasi obiettivo militare è stato da tempo esaurito.

Gaza non solo è sotto assedio totale da due mesi, ma Israele ha bombardato i magazzini in cui è conservato il cibo rimanente. La fame è chiaramente e indubbiamente diventata un’arma di negoziazione, tuttavia, anche questa non sta funzionando.

L’ex inviato di Trump per la questione degli ostaggi, Adam Boehler, stava vivendo con Netanyahu la stessa esperienza degli inviati di Biden. Hamas era vicina a un accordo indipendente con gli Stati Uniti sullo scambio di ostaggi durante negoziati diretti, finché Netanyahu non ne venne a conoscenza e lo rivelò ai media.

Lo stesso Boehler dichiarò che la guerra di Israele a Gaza sarebbe “terminata immediatamente” se tutti i prigionieri fossero stati rilasciati. Hamas avrebbe accettato. Ma si trattava della capitolazione di Netanyahu.

La situazione non è cambiata da quando il direttore della CIA di Biden, Bill Burns, ha supervisionato un negoziato per la fine della guerra un anno fa, che Hamas ha firmato, solo per poi veder ritirarsi Netanyahu.

Nessuna resa

Ci sono molte ragioni per cui Hamas non si arrenderà alla punizione che sta subendo, insieme alla popolazione di Gaza. Oltre 1.500 palestinesi sono stati uccisi dalla rottura del cessate il fuoco a marzo.

Hamas ha visto il suo primo livello dirigenziale, il suo governo civile, la sua polizia e quasi tutti gli ospedali distrutti. Rafah viene demolita. Eppure, Hamas continua a resistere a consistenti offerte di denaro per l’esilio.

Il defunto leader palestinese Yasser Arafat sarebbe andato in esilio molto tempo fa, come fece dopo che le forze dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina furono circondate a Beirut Ovest nel 1982. Fatah sarebbe già fuggita all’estero.

Ma nessuno di questi precedenti si applica ad Hamas. Perché?

Innanzitutto, se il fallimento dell’esercito israeliano e le atrocità perpetrate nel Sud di Israele il 7 ottobre hanno cambiato Israele per sempre, anche la decimazione di Gaza ha cambiato per sempre la Causa Palestinese.

Gaza è diventata Territorio Sacro per i palestinesi di tutto il mondo.

Non c’è famiglia a Gaza che non abbia perso parenti o la propria casa in questa guerra.

Né Hamas né alcun altro gruppo di Resistenza può essere separato dalle persone per cui combatte. Con l’aumentare della sofferenza collettiva, aumenta anche la volontà collettiva di rimanere sulla propria terra, come hanno dimostrato i contadini disarmati del Sud di Hebron.

Inoltre, non c’è sostenitore più convincente dell’imperativo di Resistere all’Occupazione del comportamento dello stesso Stato israeliano. Questo è un invasore amorfo, persistente e tossico dello spazio altrui.

“Finire il lavoro”

Israele non avrà mai abbastanza terra, né abbastanza controllo. Ne vuole sempre di più. Non potrà mai smettere di far dominare la propria religione su tutte le altre in questo spazio. A Pasqua, i Cristiani sono vittime di questi atti di Supremazia tanto quanto i Musulmani.

Il Movimento dei Coloni è ancora più attivo in tempo di pace che in tempo di guerra, come dimostra la storia degli insediamenti nella Cisgiordania Occupata dopo gli Accordi di Oslo.

Israele non può accettare la Soluzione a Due Stati perché nella mente dei suoi creatori e dei loro discendenti c’era sempre stato un solo Stato. Itamar Ben Gvir, Bezalel Smotrich e Netanyahu stanno collettivamente solo “terminando l’opera” di sradicare i palestinesi dalla “Terra d’Israele” che David Ben Gurion ha iniziato e poi interrotto.

È un mito ricorrente e conveniente, alimentato dai Sionisti liberali, quello di separare le varie tribù di Israele sulla questione palestinese, perché non esistono differenze significative. Questo è più vero oggi di quanto non lo fosse al tempo dell’assassinio di Yitzhak Rabin.

Non è un caso che proprio mentre si registra un’ondata di ebrei in preghiera nella Moschea di Al-Aqsa, più di 6.000 ebrei sono entrati nei cortili per pregare dall’inizio delle festività di Pasqua sabato, più di tutti i fedeli ebrei che vi si sono recati durante le festività dell’anno scorso, la Corte Suprema israeliana abbia votato all’unanimità per respingere un ricorso presentata da diverse organizzazioni per i diritti umani che chiedevano la ripresa della distribuzione di aiuti umanitari a Gaza.

Lo Stato di Israele in tutte le sue forme, religiose e laiche, persegue lo stesso obiettivo, anche se queste tribù sono in guerra tra loro su molte altre questioni.

La resa di Hamas, e con essa di Gaza, equivarrebbe oggi alla resa della Causa Palestinese stessa. Non perché tutti i palestinesi siano religiosi o perché Fatah sia così impopolare, ma perché la Resistenza rappresenta l’unica via rimasta per porre fine all’Occupazione.

L’entità delle sofferenze che Israele ha inflitto a tutti i palestinesi nel suo raggio d’azione, a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme e in Israele, ha fatto sì che il destino di Hamas sia anche quello della Palestina.

Ma Hamas si differenzia da Fatah in quanto è un’organizzazione religiosa. Ha iniziato questa guerra in seguito alle incursioni dei coloni ebrei nella Moschea di Al-Aqsa. E i palestinesi di Gaza si sono rivolti alla loro religione per dare un senso al Massacro a cui sono stati sottoposti.

Obiettivo strategico

È la disciplina collettiva e la fede di Hamas che le hanno impedito di corrompersi. Questo riguarda tutti.

Rifaat Radwan, il paramedico ventitreenne le cui ultime parole sono state registrate sul suo telefono, ha implorato Allah di perdonarlo per non aver pregato regolarmente cinque volte al giorno. Non era così osservante e evidentemente non era un membro di Hamas, ma era abbastanza religioso da implorare perdono negli ultimi momenti.

Se mai ci fosse stato un simbolo del coraggio e del sacrificio che i palestinesi di Gaza stanno compiendo di fronte a probabilità incredibili e schiaccianti, quello era Radwan. Sul suo letto di morte, la sua fede in una guida divina non sarebbe stata distrutta. Né quella di Gaza.

Ci sono altre ragioni meno esistenziali per cui Hamas non si arrenderà.

Qualunque sia il destino che la attende come organizzazione, e diciamocelo, insurrezioni come quella delle Tigri Tamil o dei ribelli ceceni sono state represse da una forza schiacciante, mentre altre come l’ETA sono scomparse senza raggiungere i loro obiettivi principali, Hamas crede già di aver raggiunto il suo obiettivo strategico.

Si trattava di riportare la ricerca palestinese dell’autodeterminazione in uno Stato indipendente al primo posto nell’agenda mondiale dei diritti umani.

Negli ultimi tre anni, l’opinione pubblica statunitense su Israele è diventata negativa, secondo il Centro di Ricerca Pew. Più della metà degli adulti negli Stati Uniti, il 53%, esprime un’opinione negativa su Israele, con un aumento di nove punti percentuali rispetto a prima del 7 ottobre.

Hamas sta vincendo la guerra dell’opinione pubblica e Israele la sta perdendo, soprattutto nei Paesi in cui il gruppo è un’organizzazione proscritta. La legge impone alle persone di considerare Hamas terrorista, ma sono sempre più restie a farlo, anche se ritengono che il 7 ottobre sia stato un atto malvagio.

Se Israele vuole porre fine a questo conflitto con la forza, può essere certo che lo stesso obiettivo è impresso a fuoco nella coscienza di ogni palestinese. Più a lungo Netanyahu continuerà la sua campagna fallimentare a Gaza, più importanti Paesi europei come la Francia si avvicineranno al riconoscimento di uno Stato Palestinese.

Negoziati complessi

Gli inviati di Trump stanno attualmente portando avanti contemporaneamente tre serie di negoziati complessi e stanno imparando a proprie spese quanto ciascuno di essi sia arduo.

Gaza è solo una delle tre e Trump vuole un ritorno rapido. Non ha la pazienza di perseguirne uno a lungo termine. Inoltre, due dei conflitti sono profondamente interconnessi.

Gli stessi Paesi che stanno vietando agli Stati Uniti il ​​loro spazio aereo in caso di attacco all’Iran si stanno anche opponendo a un Trasferimento di Massa della popolazione da Gaza, e Israele ed Egitto sono in uno stato di aperta ostilità riguardo al Sinai, accusandosi a vicenda di violare i termini dell’Accordo di Camp David. Se i negoziati di Trump con l’Iran dovessero vacillare, Netanyahu rinnoverà la sua pressione per bombardare i suoi siti nucleari, senza che si trovi una soluzione per Gaza. Il momento della decisione per Netanyahu, il pragmatico, si avvicina e non avrà tutte le carte che attualmente pensa di avere da giocare.

Per potenze militari grandi come l’America e la NATO, i Talebani si sono dimostrati troppo forti. Lo stesso vale per la Resistenza in Iraq.

Per un Paese piccolo e dipendente dagli Stati Uniti come Israele, una guerra infinita a Gaza è ancora meno sostenibile. Sarebbe saggio per Israele limitare le perdite ora e ritirarsi da Gaza prima di subire ulteriori perdite sulla scena mondiale.

Una volta che l’aura di invincibilità sarà stata infranta, come è accaduto il 7 ottobre, sarà per sempre.

 

David Hearst è co-fondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla Regione e analista sull’Arabia Saudita. È stato editorialista del Guardian per gli affari esteri e corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato a far parte del Guardian dopo aver lavorato per The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

da qui

 

 

La superiorità di Hamas rispetto allo Stato israeliano – Francesco Masala

Ricordando Cesare Beccaria vorri proporre il confronto fra gli ostaggi israeliani prigionieri di Hamas e gli ostaggi palestinesi nelle prigioni israeliane.

Gli ostaggi rilasciati da Hamas, con delle formalità di restituzione che non sono piaciute al governo israeliano (e a tutti i servi sparsi nel solo Occidente colonialista), erano in buona salute (quelli morti spesso sono da addebitare alle armi e alle bombe israeliane, come pure lo sono molti uccisi il 7 ottobre 2023, seguendo la Direttiva Annibale).

Gli ostaggi palestinesi, nel solco dello sterminio e nel genocidio sui palestinesi, sono torturati, a volte uccisi o fatti morire nelle prigioni israeliani, lo ricorda anche Amnesty International.

Per chi non sa basta leggere gli articoli linkati sotto:

https://www.infopal.it/il-dott-abu-safiya-e-imprigionato-in-condizioni-disumane-da-israele/

https://www.infopal.it/amo-il-deputato-mohammad-al-natsheh-e-vittima-di-continui-tentativi-di-omicidio-nelle-carceri-israeliane/

https://www.invictapalestina.org/archives/51587

https://palestinaculturaliberta.org/2025/02/25/percosse-malattie-umiliazioni-un-anno-di-un-medico-palestinese-nelle-carceri-israeliane/

https://zeitun.info/2025/04/10/un-anziano-palestinese-muore-dopo-essere-stato-picchiato-da-soldati-in-cisgiordania/

https://gazzetta.social/2025/02/162-medici-di-gaza-ancora-nelle-prigioni-israeliane-e-il-silenzio-della-comunita-internazionale-a-rendere-tutto-questo-possibile.html

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_racconti_dellorrore_dei_prigionieri_palestinesi_liberati/45289_60427/

 

 

 

Tra genocidio, pulizia etnica e psicopatia collettiva: la disumanizzazione delle vittime e i disturbi post-traumatici.

L’intervista a un neurochirurgo palestinese, di Angela Lano

“La guerra israelo-statunitense contro la popolazione gazawi continuerà fino allo sterminio totale, perché chi governa Israele ha una mentalità genocida, e anche se venissero rilasciati tutti i prigionieri israeliani dalla Striscia di Gaza la situazione non cambierebbe”: il dott. Imad Talahma, neurochirurgo di Hebron/al-Khalil, in Cisgiordania, in questi giorni all’Expo-Med in Turchia, non ha dubbi sugli obiettivi e sull’esito del genocidio in corso.

La disumanizzazione dell’altro, del nemico, parte dell’ideologia coloniale, è pienamente applicata da Israele. Viene da chiedersi, a livello psicologico o neurologico, cosa scatta nel cervello dei colonizzatori...

“La società israeliana è formata da individui educati al razzismo sin da piccoli. Subiscono un lavaggio del cervello attraverso il quale viene inculcata l’avversione verso gli altri -Palestinesi, Arabi, ma anche Europei e chiunque non sia come loro -; viene ribadito continuamente che devono difendersi per non finire come gli ebrei europei durante il nazismo. Questa formattazione è supportata anche attraverso certe scritture ebraiche che danno il permesso di considerare gli altri esseri umani come animali – ricordiamoci delle varie dichiarazioni di politici israeliani che definiscono i gazawi “animali umani” o attraverso altri termini degradanti, disumanizzanti. E’ una psicopatia collettiva, sociale. Israele crede di essere stato scelto da Dio e che gli altri esseri umani, da colonizzare, siano i loro servi, poco più che bestie o subumani a cui si può fare di tutto, basti vedere cosa stanno facendo a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme… Tuttavia, sanno che i Palestinesi reagiscono, sono resistenti, non si lasciano sottomettere o manipolare, quindi sono ancora più feroci. Per questo vogliono annientarli”.

Dopo decenni di operazioni militari genocide e di pulizia etnica, si stanno diffondendo tra la popolazione palestinese patologie da stress post-traumatico. Ce ne vuole parlare?

“I disturbi post-traumatici sono diventati cronici, così come tante altre malattie fisiche e psico-fisiche che, in situazioni di calma, potrebbero essere curate. Ora è difficile per qualsiasi patologia: mancano risorse, e la gente – anche in Cisgiordania – è impoverita. Molti non riescono neanche ad arrivare in ospedale, a causa degli oltre 1200 check-point israeliani. Immaginiamo la situazione nella Striscia di Gaza devastata! La depressione si sta diffondendo dovunque. A Hebron sentiamo le esplosioni delle bombe lanciate su Gaza: tremano anche le nostre case. Sulla Cisgiordania si abbattono anche i missili che Israele lancia per intercettare quelli della resistenza dello Yemen.

“Ho curato persone di Gaza le cui famiglie sono state sterminate. Ricordo una donna gazawi che si trovava momentaneamente in Cisgiordania, quando è iniziata la guerra israeliana, il 7 ottobre. Non poteva tornare a casa e nel frattempo 17 membri della sua famiglia sono stati sterminati. Può immaginare come si sentisse quella madre, quella moglie…”.

Lei fa parte di comitati per gli aiuti umanitari a Gaza. Cosa riuscite a fare, in questa situazione drammatica?

“Abbiamo sempre mandato aiuti alla Striscia di Gaza dalla Cisgiordania. Gaza è vicina a Hebron e quando i valichi sono aperti, mandiamo alimenti. Facciamo raccolte alimentari e mandiamo camion. Il problema è che bisogna fare una lista dettagliata dei prodotti e degli imballaggi e aspettare che il sistema governativo israeliano autorizzi il transito. Tuttavia, ci sono ostacoli, tra cui anche la presenza di coloni ai confini con la Striscia, che bloccano i camion umanitari. Per questo, su 100 container, ne arrivano 5-6 e con costi altissimi. Anche la Cisgiordania, da ottobre del 2023, vive una situazione economica tragica, con i lavoratori che non riescono a recarsi nei posti di lavoro a causa di blocchi, assedi e check-point; i dipendenti pubblici ricevono stipendi ridotti della metà, perché Israele, che trattiene le tasse palestinesi da sempre, non le ripassa all’Autorità nazionale palestinese, come dovrebbe… e così mancano le risorse per tutto. Dunque, la popolazione si è impoverita, gli ospedali hanno pochi fondi per pagare i dipendenti, i pazienti non hanno soldi per curarsi (tanti, da me, vengono gratuitamente), e molti studenti non possono più permettersi di andare all’Università. La distruzione è grande, in Cisgiordania, soprattutto vicino alle colonie israeliane. Come vediamo dalla cronaca quotidiana, Israele sta devastando tutti i campi profughi, con sfollamenti di massa, demolizioni e bombardamenti. Ma nella Striscia di Gaza la situazione è impressionante, ancora più infernale… Ci chiediamo come facciano anche solo a respirare, a sopravvivere a tanto orrore…

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