articoli di Shlomo Sand, Tommaso Merlo,
Mjriam Abu Samra, Sara Troian, Hagar Shezaf, Craig Mokhiber, Luca Pisapia, Imad
Talahma, David Hearst, Francesco Masala (ripresi da invictapalestina.org,
pressenza.com/it, zeitun.info, pungolorosso.com, infosannio.com,
sardegnapalestina.org, valori.it, infopal.it)
March to Gaza
Da alcuni giorni stanno circolando link a un
gruppo telegram e un appello, iniziato in Francia, per organizzare una marcia
di cittadini verso Gaza a cui stanno arrivando adesioni da tutto il mondo. La
marcia è in corso di organizzazione; qui sotto la lettera aperta che appare nel
gruppo telegram e qualche indicazione social.
LETTERA APERTA ALLE AMBASCIATE D’EGITTO E DI ISRAELE
Francia, 09 aprile 2025
All’attenzione delle autorità diplomatiche della Repubblica araba
d’Egitto e dello Stato d’Israele
E a tutti coloro che agiscono – o che dovrebbero agire
Noi, cittadini francesi e cittadini del mondo,
donne e uomini liberi, provenienti da molteplici paesi, religioni, lingue e
culture, vi scriviamo per annunciarvi che il popolo si solleva.
Di fronte all’inazione dei governi, di fronte
alla sofferenza insostenibile del popolo palestinese, di fronte al blocco
disumano imposto a Gaza, migliaia di persone, ovunque nel mondo, si organizzano
per una marcia senza precedenti.
Una Marcia verso Gaza.
Marciamo per la vita. Marciamo per la dignità.
Marceremo fino al terminal di Rafah, con un
solo obiettivo: aprire la frontiera, far entrare gli aiuti umanitari ed esigere
la fine dell’assedio.
Questo movimento, inizialmente simbolico,
diventa concreto. Delegazioni cittadine sono in corso di organizzazione in
diversi paesi. Interi gruppi si preparano a raggiungere la frontiera egiziana
di Rafah nelle prossime settimane. Se non reagite, noi arriveremo.
E se dovremo andare oltre, andremo fino in
Cisgiordania, fino alle terre dove la colonizzazione illegale si estende ogni
giorno.
Non porteremo armi: porteremo le nostre voci. Ma siate certi che non ci
fermeremo.
Non vogliamo la guerra. Vogliamo la pace.
Ma poiché i nostri dirigenti non fanno il loro
dovere, noi, il popolo, ci assumeremo le nostre responsabilità.
Speriamo che questa mobilitazione susciti un sussulto di coscienza.
Speriamo che ascoltiate questo appello e scegliate di non ostacolare la volontà
dei popoli liberi.
Questa lettera è indirizzata a voi, ma sarà anche diffusa sui social network,
nella stampa, in tutte le lingue possibili.
La Storia si scrive ora, e vogliamo stare dalla parte giusta.
Aprite la frontiera.
Liberate Gaza.
La pace è ancora possibile.
Le cittadine e i cittadini membri del
collettivo Marcia verso Gaza
Social attivi in Italia
gruppo Telegram: https://t.me/+JFHA6tuHU25kNzU0
Instagram: https://www.instagram.com/mtg_international_italia?igsh=eWxvb2c0dnkyYm90
Tik Tok: https://tiktok.com/@march.to.gaza_italia
da qui
A proposito di semiti e antisemiti, sionisti e antisionisti –
Shlomo Sand
Se qualsiasi discorso antiebraico nel mondo continua a
preoccuparmi, avverto una certa repulsione contro il diluvio di ipocrisia e
manipolazione orchestrata da tutti quelli che ora vogliono incriminare chiunque
critichi il sionismo.
Sebbene residente in Israele, “Stato del
popolo ebraico”, ho seguito da vicino il dibattito in Francia su antisemitismo
e antisionismo. Se qualsiasi discorso antiebraico nel mondo continua a
preoccuparmi, avverto una certa repulsione contro il diluvio di ipocrisia e
manipolazione orchestrata da tutti quelli che ora vogliono incriminare chiunque
critichi il sionismo.
Iniziamo con i problemi di definizione. Già da
molto tempo mi sento a disagio, non solo per la recente formula in voga:
“civiltà giudaico-cristiana”, ma anche davanti all’uso tradizionale del
vocabolo “antisemitismo”. Questo termine, come sappiamo, è stato inventato
nella seconda metà del 19° secolo da Wilhelm Marr, nazional-populista tedesco
che detestava gli ebrei. Nello spirito di quel tempo, coloro che usavano quel
termine avevano come presupposto fondamentale l’esistenza di una gerarchia di
razze in cima alla quale si trova l’uomo bianco europeo, mentre la razza semita
occupa un rango inferiore. Uno dei fondatori della “scienza della razza” fu,
come sappiamo, il francese Arthur Gobineau.
Ai nostri giorni, la Storia un pochino più
seria non conosce altro che delle lingue semitiche (l’aramaico, l’ebraico e
l’arabo, che si sono diffuse nel Vicino Oriente), mentre, al contrario, non
conosce nessuna razza semitica. Sapendo che gli ebrei d’Europa non parlavano
correntemente l’ebraico, che era utilizzato solo per la preghiera (come i
cristiani usavano il latino), è difficile considerarli come semiti.
Bisogna forse ricordare che il moderno odio
razziale contro gli ebrei è, soprattutto, un’eredità delle chiese cristiane?
Dal quarto secolo, il cristianesimo si è rifiutato considerare l’ebraismo come
una religione legittima concorrente, e da lì, ha creato il famoso mito
dell’esilio: gli ebrei sono stati esiliati dalla Palestina per avere
partecipato all’omicidio del figlio di Dio – pertanto, è opportuno umiliarli
per dimostrare la loro inferiorità. Ma occorre sapere che non c’è mai stato un
esilio degli ebrei di Palestina, e, fino ad oggi, non troveremo alcun testo di
ricerca storica sul tema!
Personalmente, faccio parte di quella scuola
di pensiero tradizionale che rifiuta di vedere gli ebrei come un popolo-razza
estraneo all’Europa. Già nel 19° secolo, Ernest Renan, dopo essersi liberato
del suo razzismo, aveva affermato che: “L’ebreo delle Gallie … era, molto
spesso, solo un gallo che professava la religione israelita.” Lo storico Marc
Bloch ha specificato che gli ebrei sono: “Un gruppo di credenti reclutati
precedentemente in tutto il mondo mediterraneo, turco-cazaro e slavo”. E
Raymond Aron aggiunge: “I cosiddetti ebrei, per la maggior parte, non sono
biologicamente dei discendenti delle tribù semitiche …”. La giudeofobia,
tuttavia, si è sempre ostinata a vedere gli ebrei non come un’importante fede,
ma come una nazione straniera.
Il lento declino del cristianesimo come credo
egemonico in Europa, purtroppo non è stato accompagnato da un declino della
forte tradizione giudeofobica. I nuovi “laici” hanno trasformato l’odio e la
paura ancestrale in moderne ideologie “razionaliste”. Possiamo quindi trovare
pregiudizi sugli ebrei e sull’ebraismo non solo in Shakespeare o Voltaire, ma
anche in Hegel e Marx. Il nodo gordiano tra ebrei, ebraismo e denaro sembrava
ovvio tra le élite istruite. Il fatto che la stragrande maggioranza dei milioni
di ebrei nell’Europa orientale abbiano sofferto di fame e vissuto in povertà
non ha avuto assolutamente alcun effetto su Charles Dickens, Fiodor
Dostoevskij, né su una larga parte della sinistra europea. Nella Francia
moderna la giudeofobia ha conosciuto bei giorni non solo con Alphonse
Toussenel, Maurice Barrès e Edouard Drumont, ma anche con Charles Fourier,
Pierre-Joseph Proudhon e anche, per un certo tempo, con Jean Jaures e Georges
Sorel.
Con il processo di democratizzazione la
giudeofobia ha costituito un elemento immanente tra i pregiudizi delle masse
europee: l’affair Dreyfus si è dimostrato un evento “emblematico”, in attesa di
essere superato, e di gran lunga, dallo sterminio di ebrei durante la seconda
guerra mondiale. È tra questi due avvenimenti storici che il sionismo è nato
come idea e movimento.
Va ricordato, tuttavia, che fino alla seconda
guerra mondiale, la stragrande maggioranza degli ebrei e dei loro discendenti
laici erano antisionisti. Non c’era solo l’ortodossia, forte e organizzata, ad
indignarsi all’idea di accorciare i tempi della redenzione emigrando in Terra
Santa; anche le correnti religiose più moderniste (riformatori o conservatori)
erano fortemente contrarie al sionismo. Il Bund, partito laico dell’Impero
russo e poi della Polonia indipendente in cui la maggior parte dei socialisti
era di madre lingua yddish, considerava i sionisti come alleati naturali dei
giudeofobi. I comunisti di origine ebraica non perdevano occasione di
condannare il sionismo come complice del colonialismo britannico.
Dopo lo sterminio degli ebrei d’Europa, i
sopravvissuti che non erano riusciti a trovare in tempo rifugio nell’America
del Nord, o nell’URSS, addolcirono la loro relazione ostile al sionismo, anche
perché la maggior parte dei paesi occidentali e del mondo comunista avevano
riconosciuto lo stato di Israele. Il fatto che la creazione di questo stato sia
stata effettuata nel 1948 a spese della popolazione araba indigena non disturbò
granché. L’ondata della decolonizzazione era ancora agli inizi e non era un
dato da prendere in considerazione. Israele fu quindi percepito come uno
stato-rifugio per gli ebrei erranti, senza ricovero né focolare.
Il fatto che il sionismo non sia riuscito a
salvare gli ebrei d’Europa e che i sopravvissuti desiderassero emigrare in
America, e nonostante la percezione del sionismo come un’impresa coloniale nel
pieno senso del termine, non altera un dato significativo: la diagnosi sionista
riguardante il pericolo che incombeva sulla vita degli ebrei nella civiltà europea
del ventesimo secolo (non affatto giudeo-cristiana!), si era rivelata corretta.
Theodore Herzl, il pensatore dell’idea sionista, aveva, meglio dei liberali e
dei marxisti, compreso i giudeofobi del suo tempo.
Ciò non giustifica, tuttavia, la definizione
sionista secondo cui gli ebrei formano un popolo-razza. Né giustifica la
visione dei sionisti che la Terra Santa è la patria nazionale sulla quale
avrebbero diritti storici. I sionisti hanno tuttavia creato un fatto politico
compiuto e qualsiasi tentativo di cancellarlo si tradurrebbe in nuove tragedie
di cui sarebbero vittime le due popolazioni che ne sono risultate: israeliana e
palestinese.
Allo stesso tempo bisogna ricordarsi e
ricordarlo: se non tutti i sionisti rivendicano la continuazione del dominio
sui territori conquistati nel 1967, e se molti di loro non si sentono a proprio
agio con il regime di apartheid che Israele vi esercita da 52 anni, tutti
quelli che si definiscono sionisti continuano a vedere in Israele, almeno nei
suoi confini del 1967, lo stato degli ebrei del mondo intero e non una
Repubblica per tutti gli israeliani, un quarto dei quali non sono considerati
ebrei, di cui il 21% sono arabi.
Se una democrazia è fondamentalmente uno stato
che aspira al benessere di tutti i suoi cittadini, di tutti i suoi
contribuenti, di tutti i bambini che vi nascono, Israele, al di là del
pluralismo politico esistente, è, in realtà, una vera e propria etnocrazia come
erano la Polonia, l’Ungheria e altri stati dell’Europa orientale, prima della
seconda guerra mondiale.
Il tentativo del presidente francese Emmanuel
Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’anti-sionismo come una forma
di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se
l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Emmanuel Macron
di far condannare con effetto retroattivo, il bundista Marek Edelman, che fu
uno dei leader del ghetto di Varsavia e totalmente anti-sionista. Si potrebbe
anche inviare a processo i comunisti anti-sionisti che, piuttosto che emigrare
in Palestina, scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo, cosa
che ha loro conquistato un posto sul “manifesto rosso”.
Se intende essere coerente nella condanna
retroattiva di tutti i critici del sionismo, Emmanuel Macron dovrà aggiungere
la mia insegnante Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti
umani, l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente,
anche Eric Hobsbawm, Edward Saïd e molte altre eminenti figure, ora
scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli.
Se Emmanuel Macron desidera attenersi a una
legge che reprime gli anti-sionisti ancora viventi, la cosiddetta futura legge
dovrà applicarsi anche agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano
il sionismo, a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti
universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come ebrei pur
dichiarandosi anti-sionisti.
Si troveranno, naturalmente, molti idioti
antisionisti e giudeofobi, come non mancano dei pro-sionisti imbecilli, pure
giudeofobi, ad augurare che gli ebrei lascino la Francia e emigrino nello Stato
di Israele. Li includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento,
signor Presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo infernale, proprio
quando la popolarità è in declino!
Per concludere, non penso ci sia un aumento
significativo dell’antigiudaismo in Francia. Questo è sempre esistito, e temo,
purtroppo, che abbia davanti a sé ancora giorni buoni. Non ho dubbi, tuttavia,
che uno dei fattori che gli impedisce di regredire, in particolare in alcuni
quartieri in cui vivono persone immigrate, è precisamente la politica praticata
da Israele contro dei palestinesi: quelli che vivono come cittadini di seconda
classe all’interno dello “stato ebraico” e quelli che, da 52 anni, subiscono
un’occupazione militare e una colonizzazione brutali.
Facendo parte di coloro che protestano contro
questa tragica situazione, sostengo con tutte le mie forze il riconoscimento
del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi e sono favorevole alla
“desionizzazione” dello Stato di Israele. Dovrò, in questo caso, temere che la
mia prossima visita in Francia mi porti davanti a un tribunale?
(Traduzione: Simonetta Lambertini –
invictapalestina.org
Fonte: https://www.investigaction.net/fr/a-propos-des-semites-et-des-antisemites-des-sionistes-et-des-antisionistes )
da qui
Perché Hamas non si arrenderà – David Hearst
Chiamate Gaza come volete: Campo di Sterminio,
un ciclo infinito di Sangue, Dolore e Morte, il più grande Campo di
Concentramento del mondo. Oppure, come sembra intenzionata a fare la
popolazione di Israele, si può ignorare del tutto.
Gli ebrei Ashkenaziti di Tel Aviv vivono in
una bolla occidentale, sorseggiando i loro cappuccini mattutini e preparandosi
per i loro corsi di yoga a solo un’ora di macchina dalle scene più spaventose
che il mondo abbia visto dai tempi di Srebrenica o del Ruanda.
Ma c’è una cosa che nessuno di loro sembra
capire: Hamas non si arrenderà.
Pensare che i suoi capi a Gaza prenderanno i
soldi e scapperanno, come fece una volta Fatah, significa rivelare, dopo 18
mesi di Guerra Totale e due mesi di carestia, quanto poco il Primo Ministro
israeliano Benjamin Netanyahu capisca il suo nemico.
Non ci siano dubbi, l’ultima “offerta”
israeliana sarebbe stata un atto di resa. Si trattava di consegnare tutti gli
ostaggi in cambio di 45 giorni di cibo e acqua e di chiedere il disarmo di
Hamas.
Hamas ha risposto di essere pronta a
rilasciare tutti gli ostaggi in cambio di alcuni prigionieri palestinesi e di
offrire una tregua a lungo termine, in cui non avrebbe ricostruito i suoi
tunnel né sviluppato le sue armi, e ceduto il governo di Gaza ad altre fazioni
palestinesi.
Ma non si è scostata dalle due condizioni che
aveva posto all’inizio di questa guerra: non disarmerà e vuole il ritiro totale
delle forze israeliane dalla Striscia e la fine completa e definitiva della
guerra.
Netanyahu, il sabotatore
È diventato abbondantemente e ripetutamente
chiaro che lo stallo nel garantire una soluzione negoziata ricade sullo stesso
Netanyahu. In due occasioni, ha firmato accordi con Hamas solo per poi romperli
unilateralmente.
L’ultima volta, a gennaio, ha accettato un
cessate il fuoco graduale, che ha garantito il rilascio di 33 ostaggi, in base
al quale Israele avrebbe dovuto avviare i negoziati per una seconda fase e un
cessate il fuoco permanente.
Netanyahu ha semplicemente stracciato quell’accordo.
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump glielo ha permesso, nonostante si
trattasse del pezzo di carta di cui il nuovo Presidente stesso si era
attribuito il merito.
Di comune accordo, Netanyahu è tornato in
guerra solo per salvare la sua coalizione da un’imminente sconfitta in un voto
sul bilancio. Qualsiasi obiettivo militare è stato da tempo esaurito.
Gaza non solo è sotto assedio totale da due
mesi, ma Israele ha bombardato i magazzini in cui è conservato il cibo
rimanente. La fame è chiaramente e indubbiamente diventata un’arma di
negoziazione, tuttavia, anche questa non sta funzionando.
L’ex inviato di Trump per la questione degli
ostaggi, Adam Boehler, stava vivendo con Netanyahu la stessa esperienza degli
inviati di Biden. Hamas era vicina a un accordo indipendente con gli Stati
Uniti sullo scambio di ostaggi durante negoziati diretti, finché Netanyahu non
ne venne a conoscenza e lo rivelò ai media.
Lo stesso Boehler dichiarò che la guerra di
Israele a Gaza sarebbe “terminata immediatamente” se tutti i prigionieri
fossero stati rilasciati. Hamas avrebbe accettato. Ma si trattava della
capitolazione di Netanyahu.
La situazione non è cambiata da quando il
direttore della CIA di Biden, Bill Burns, ha supervisionato un negoziato per la
fine della guerra un anno fa, che Hamas ha firmato, solo per poi veder
ritirarsi Netanyahu.
Nessuna resa
Ci sono molte ragioni per cui Hamas non si
arrenderà alla punizione che sta subendo, insieme alla popolazione di Gaza.
Oltre 1.500 palestinesi sono stati uccisi dalla rottura del cessate il fuoco a
marzo.
Hamas ha visto il suo primo livello
dirigenziale, il suo governo civile, la sua polizia e quasi tutti gli ospedali
distrutti. Rafah viene demolita. Eppure, Hamas continua a resistere a
consistenti offerte di denaro per l’esilio.
Il defunto leader palestinese Yasser Arafat
sarebbe andato in esilio molto tempo fa, come fece dopo che le forze
dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina furono circondate a
Beirut Ovest nel 1982. Fatah sarebbe già fuggita all’estero.
Ma nessuno di questi precedenti si applica ad
Hamas. Perché?
Innanzitutto, se il fallimento dell’esercito
israeliano e le atrocità perpetrate nel Sud di Israele il 7 ottobre hanno
cambiato Israele per sempre, anche la decimazione di Gaza ha cambiato per
sempre la Causa Palestinese.
Gaza è diventata Territorio Sacro per i
palestinesi di tutto il mondo.
Non c’è famiglia a Gaza che non abbia perso
parenti o la propria casa in questa guerra.
Né Hamas né alcun altro gruppo di Resistenza
può essere separato dalle persone per cui combatte. Con l’aumentare della
sofferenza collettiva, aumenta anche la volontà collettiva di rimanere sulla
propria terra, come hanno dimostrato i contadini disarmati del Sud di Hebron.
Inoltre, non c’è sostenitore più convincente
dell’imperativo di Resistere all’Occupazione del comportamento dello stesso
Stato israeliano. Questo è un invasore amorfo, persistente e tossico dello
spazio altrui.
“Finire il lavoro”
Israele non avrà mai abbastanza terra, né
abbastanza controllo. Ne vuole sempre di più. Non potrà mai smettere di far
dominare la propria religione su tutte le altre in questo spazio. A Pasqua, i
Cristiani sono vittime di questi atti di Supremazia tanto quanto i Musulmani.
Il Movimento dei Coloni è ancora più attivo in
tempo di pace che in tempo di guerra, come dimostra la storia degli
insediamenti nella Cisgiordania Occupata dopo gli Accordi di Oslo.
Israele non può accettare la Soluzione a Due
Stati perché nella mente dei suoi creatori e dei loro discendenti c’era sempre
stato un solo Stato. Itamar Ben Gvir, Bezalel Smotrich e Netanyahu stanno
collettivamente solo “terminando l’opera” di sradicare i palestinesi dalla
“Terra d’Israele” che David Ben Gurion ha iniziato e poi interrotto.
È un mito ricorrente e conveniente, alimentato
dai Sionisti liberali, quello di separare le varie tribù di Israele sulla
questione palestinese, perché non esistono differenze significative. Questo è
più vero oggi di quanto non lo fosse al tempo dell’assassinio di Yitzhak Rabin.
Non è un caso che proprio mentre si registra
un’ondata di ebrei in preghiera nella Moschea di Al-Aqsa, più di 6.000 ebrei
sono entrati nei cortili per pregare dall’inizio delle festività di Pasqua
sabato, più di tutti i fedeli ebrei che vi si sono recati durante le festività
dell’anno scorso, la Corte Suprema israeliana abbia votato all’unanimità per
respingere un ricorso presentata da diverse organizzazioni per i diritti umani
che chiedevano la ripresa della distribuzione di aiuti umanitari a Gaza.
Lo Stato di Israele in tutte le sue forme,
religiose e laiche, persegue lo stesso obiettivo, anche se queste tribù sono in
guerra tra loro su molte altre questioni.
La resa di Hamas, e con essa di Gaza, equivarrebbe
oggi alla resa della Causa Palestinese stessa. Non perché tutti i palestinesi
siano religiosi o perché Fatah sia così impopolare, ma perché la Resistenza
rappresenta l’unica via rimasta per porre fine all’Occupazione.
L’entità delle sofferenze che Israele ha
inflitto a tutti i palestinesi nel suo raggio d’azione, a Gaza, in
Cisgiordania, a Gerusalemme e in Israele, ha fatto sì che il destino di Hamas
sia anche quello della Palestina.
Ma Hamas si differenzia da Fatah in quanto è
un’organizzazione religiosa. Ha iniziato questa guerra in seguito alle
incursioni dei coloni ebrei nella Moschea di Al-Aqsa. E i palestinesi di Gaza
si sono rivolti alla loro religione per dare un senso al Massacro a cui sono
stati sottoposti.
Obiettivo strategico
È la disciplina collettiva e la fede di Hamas
che le hanno impedito di corrompersi. Questo riguarda tutti.
Rifaat Radwan, il paramedico ventitreenne le
cui ultime parole sono state registrate sul suo telefono, ha implorato Allah di
perdonarlo per non aver pregato regolarmente cinque volte al giorno. Non era
così osservante e evidentemente non era un membro di Hamas, ma era abbastanza
religioso da implorare perdono negli ultimi momenti.
Se mai ci fosse stato un simbolo del coraggio
e del sacrificio che i palestinesi di Gaza stanno compiendo di fronte a
probabilità incredibili e schiaccianti, quello era Radwan. Sul suo letto di
morte, la sua fede in una guida divina non sarebbe stata distrutta. Né quella
di Gaza.
Ci sono altre ragioni meno esistenziali per
cui Hamas non si arrenderà.
Qualunque sia il destino che la attende come
organizzazione, e diciamocelo, insurrezioni come quella delle Tigri Tamil o dei
ribelli ceceni sono state represse da una forza schiacciante, mentre altre come
l’ETA sono scomparse senza raggiungere i loro obiettivi principali, Hamas crede
già di aver raggiunto il suo obiettivo strategico.
Si trattava di riportare la ricerca
palestinese dell’autodeterminazione in uno Stato indipendente al primo posto
nell’agenda mondiale dei diritti umani.
Negli ultimi tre anni, l’opinione pubblica
statunitense su Israele è diventata negativa, secondo il Centro di Ricerca Pew.
Più della metà degli adulti negli Stati Uniti, il 53%, esprime un’opinione
negativa su Israele, con un aumento di nove punti percentuali rispetto a prima
del 7 ottobre.
Hamas sta vincendo la guerra dell’opinione
pubblica e Israele la sta perdendo, soprattutto nei Paesi in cui il gruppo è
un’organizzazione proscritta. La legge impone alle persone di considerare Hamas
terrorista, ma sono sempre più restie a farlo, anche se ritengono che il 7
ottobre sia stato un atto malvagio.
Se Israele vuole porre fine a questo conflitto
con la forza, può essere certo che lo stesso obiettivo è impresso a fuoco nella
coscienza di ogni palestinese. Più a lungo Netanyahu continuerà la sua campagna
fallimentare a Gaza, più importanti Paesi europei come la Francia si
avvicineranno al riconoscimento di uno Stato Palestinese.
Negoziati complessi
Gli inviati di Trump stanno attualmente
portando avanti contemporaneamente tre serie di negoziati complessi e stanno
imparando a proprie spese quanto ciascuno di essi sia arduo.
Gaza è solo una delle tre e Trump vuole un
ritorno rapido. Non ha la pazienza di perseguirne uno a lungo termine. Inoltre,
due dei conflitti sono profondamente interconnessi.
Gli stessi Paesi che stanno vietando agli
Stati Uniti il loro spazio aereo in caso di attacco all’Iran si stanno anche
opponendo a un Trasferimento di Massa della popolazione da Gaza, e Israele ed
Egitto sono in uno stato di aperta ostilità riguardo al Sinai, accusandosi a
vicenda di violare i termini dell’Accordo di Camp David. Se i negoziati di
Trump con l’Iran dovessero vacillare, Netanyahu rinnoverà la sua pressione per
bombardare i suoi siti nucleari, senza che si trovi una soluzione per Gaza. Il
momento della decisione per Netanyahu, il pragmatico, si avvicina e non avrà
tutte le carte che attualmente pensa di avere da giocare.
Per potenze militari grandi come l’America e
la NATO, i Talebani si sono dimostrati troppo forti. Lo stesso vale per la
Resistenza in Iraq.
Per un Paese piccolo e dipendente dagli Stati
Uniti come Israele, una guerra infinita a Gaza è ancora meno sostenibile.
Sarebbe saggio per Israele limitare le perdite ora e ritirarsi da Gaza prima di
subire ulteriori perdite sulla scena mondiale.
Una volta che l’aura di invincibilità sarà
stata infranta, come è accaduto il 7 ottobre, sarà per sempre.
David Hearst è co-fondatore e caporedattore di
Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla Regione e analista sull’Arabia
Saudita. È stato editorialista del Guardian per gli affari esteri e
corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato a far parte del Guardian
dopo aver lavorato per The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.
Traduzione: Beniamino Rocchetto –
Invictapalestina.org
da
qui
La superiorità di Hamas rispetto allo Stato israeliano – Francesco
Masala
Ricordando Cesare Beccaria vorri proporre il
confronto fra gli ostaggi israeliani prigionieri di Hamas e gli ostaggi
palestinesi nelle prigioni israeliane.
Gli ostaggi rilasciati da Hamas, con delle
formalità di restituzione che non sono piaciute al governo israeliano (e a
tutti i servi sparsi nel solo Occidente colonialista), erano in buona salute
(quelli morti spesso sono da addebitare alle armi e alle bombe israeliane, come
pure lo sono molti uccisi il 7 ottobre 2023, seguendo la Direttiva Annibale).
Gli ostaggi palestinesi, nel solco dello
sterminio e nel genocidio sui palestinesi, sono torturati, a volte uccisi o
fatti morire nelle prigioni israeliani, lo ricorda anche Amnesty International.
Per chi non sa basta leggere gli articoli
linkati sotto:
https://www.infopal.it/il-dott-abu-safiya-e-imprigionato-in-condizioni-disumane-da-israele/
https://www.infopal.it/amo-il-deputato-mohammad-al-natsheh-e-vittima-di-continui-tentativi-di-omicidio-nelle-carceri-israeliane/
https://www.invictapalestina.org/archives/51587
https://palestinaculturaliberta.org/2025/02/25/percosse-malattie-umiliazioni-un-anno-di-un-medico-palestinese-nelle-carceri-israeliane/
https://zeitun.info/2025/04/10/un-anziano-palestinese-muore-dopo-essere-stato-picchiato-da-soldati-in-cisgiordania/
https://gazzetta.social/2025/02/162-medici-di-gaza-ancora-nelle-prigioni-israeliane-e-il-silenzio-della-comunita-internazionale-a-rendere-tutto-questo-possibile.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_racconti_dellorrore_dei_prigionieri_palestinesi_liberati/45289_60427/
Tra genocidio, pulizia etnica e
psicopatia collettiva: la disumanizzazione delle vittime e i disturbi
post-traumatici.
L’intervista a un neurochirurgo palestinese, di Angela Lano
“La guerra israelo-statunitense contro la
popolazione gazawi continuerà fino allo sterminio totale, perché chi governa
Israele ha una mentalità genocida, e anche se venissero rilasciati tutti i
prigionieri israeliani dalla Striscia di Gaza la situazione non cambierebbe”:
il dott. Imad Talahma, neurochirurgo di Hebron/al-Khalil, in Cisgiordania, in
questi giorni all’Expo-Med in Turchia, non ha dubbi sugli obiettivi e
sull’esito del genocidio in corso.
La disumanizzazione dell’altro, del nemico, parte dell’ideologia
coloniale, è pienamente applicata da Israele. Viene da chiedersi, a livello
psicologico o neurologico, cosa scatta nel cervello dei colonizzatori...
“La società israeliana è formata da individui
educati al razzismo sin da piccoli. Subiscono un lavaggio del cervello
attraverso il quale viene inculcata l’avversione verso gli altri -Palestinesi,
Arabi, ma anche Europei e chiunque non sia come loro -; viene ribadito
continuamente che devono difendersi per non finire come gli ebrei europei
durante il nazismo. Questa formattazione è supportata anche attraverso certe
scritture ebraiche che danno il permesso di considerare gli altri esseri umani
come animali – ricordiamoci delle varie dichiarazioni di politici israeliani
che definiscono i gazawi “animali umani” o attraverso altri termini
degradanti, disumanizzanti. E’ una psicopatia collettiva, sociale. Israele
crede di essere stato scelto da Dio e che gli altri esseri umani, da
colonizzare, siano i loro servi, poco più che bestie o subumani a cui si può
fare di tutto, basti vedere cosa stanno facendo a Gaza, in Cisgiordania, a
Gerusalemme… Tuttavia, sanno che i Palestinesi reagiscono, sono resistenti, non
si lasciano sottomettere o manipolare, quindi sono ancora più feroci. Per
questo vogliono annientarli”.
Dopo decenni di operazioni militari genocide e di pulizia etnica,
si stanno diffondendo tra la popolazione palestinese patologie da stress
post-traumatico. Ce ne vuole parlare?
“I disturbi post-traumatici sono diventati
cronici, così come tante altre malattie fisiche e psico-fisiche che, in
situazioni di calma, potrebbero essere curate. Ora è difficile per qualsiasi
patologia: mancano risorse, e la gente – anche in Cisgiordania – è impoverita.
Molti non riescono neanche ad arrivare in ospedale, a causa degli oltre 1200
check-point israeliani. Immaginiamo la situazione nella Striscia di Gaza
devastata! La depressione si sta diffondendo dovunque. A Hebron sentiamo le
esplosioni delle bombe lanciate su Gaza: tremano anche le nostre case. Sulla
Cisgiordania si abbattono anche i missili che Israele lancia per intercettare
quelli della resistenza dello Yemen.
“Ho curato persone di Gaza le cui famiglie
sono state sterminate. Ricordo una donna gazawi che si trovava momentaneamente
in Cisgiordania, quando è iniziata la guerra israeliana, il 7 ottobre. Non
poteva tornare a casa e nel frattempo 17 membri della sua famiglia sono stati
sterminati. Può immaginare come si sentisse quella madre, quella moglie…”.
Lei fa parte di comitati per gli aiuti umanitari a Gaza. Cosa
riuscite a fare, in questa situazione drammatica?
“Abbiamo sempre mandato aiuti alla Striscia di
Gaza dalla Cisgiordania. Gaza è vicina a Hebron e quando i valichi sono aperti,
mandiamo alimenti. Facciamo raccolte alimentari e mandiamo camion. Il problema
è che bisogna fare una lista dettagliata dei prodotti e degli imballaggi e
aspettare che il sistema governativo israeliano autorizzi il transito.
Tuttavia, ci sono ostacoli, tra cui anche la presenza di coloni ai confini con
la Striscia, che bloccano i camion umanitari. Per questo, su 100 container, ne
arrivano 5-6 e con costi altissimi. Anche la Cisgiordania, da ottobre del 2023,
vive una situazione economica tragica, con i lavoratori che non riescono a
recarsi nei posti di lavoro a causa di blocchi, assedi e check-point; i
dipendenti pubblici ricevono stipendi ridotti della metà, perché Israele, che
trattiene le tasse palestinesi da sempre, non le ripassa all’Autorità nazionale
palestinese, come dovrebbe… e così mancano le risorse per tutto. Dunque, la
popolazione si è impoverita, gli ospedali hanno pochi fondi per pagare i
dipendenti, i pazienti non hanno soldi per curarsi (tanti, da me, vengono
gratuitamente), e molti studenti non possono più permettersi di andare
all’Università. La distruzione è grande, in Cisgiordania, soprattutto vicino
alle colonie israeliane. Come vediamo dalla cronaca quotidiana, Israele sta
devastando tutti i campi profughi, con sfollamenti di massa, demolizioni e
bombardamenti. Ma nella Striscia di Gaza la situazione è impressionante, ancora
più infernale… Ci chiediamo come facciano anche solo a respirare, a
sopravvivere a tanto orrore…
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