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lo
strazio della fabbrica risultava indicibile
chi
era dentro l’inferno della condizione operaia non diceva niente
e chi
era fuori della condizione poteva dire tutto però non sapeva niente
quindi
il poeta doveva calarsi nell'inferno quotidiano
ungersi
le mani in quaranta anni di putiferi
partire
alle cinque del mattino con la bicicletta
anche
con venti gradi sotto zero verso la fine del mondo
con
una furibonda allegria timbro la mia presenza
che
attesta l’esistere anche di codesto sottoscritto
che
iscrive anche lui i versi della nostra epigrafe.
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uscire
dalla fabbrica era come uscire da una guerra
dove
si esce vivi solo per caso
tutto
quell'unto polvere della trafilatrice
i
saponi bruciati lo stridio dei ferri
il
sudore che scendeva sino agli occhi
bruciava
entrava nelle labbra
quest’urlo
non potrà essere sentito
neppure
gli urli di tutti noi messi insieme
chi
non resiste verrà scaraventato
nel
massimo dell’atroce
la
fabbrica è l’ultima stazione
se ti
licenziano è come se venissi sputato fuori nell'ignoto
in una
caduta che non verrà attutita
l’operaio
metalmeccanico è attaccato qualcosa di diabolico
il
polacco dice che lavorare
per
l’avvenire sotto i comunisti era ancora peggio
qualche
macchina ferma sembra una cassa da morto
per
chi sta veramente male mettersi sotto cassa malattia è difficile
di
questo italiano straniero non sappiamo niente
si sa
solo che puzza ed esiste.
Ai
compagni con cui ho lavorato per quasi una vita
questa
notte vi ho sognato tutti
splendidamente
vivi
ritornammo
a rivedere
tutti
gli orrori di quel reparto ridendo
non
sono riusciti ad ammazzarci
siamo
ancora tutti vivi
nuovi
come fossimo risuscitati
non
più contaminati dalla sporca morte.
Un altro dei "miei" poeti e leggendo la tua selezione non posso che pensare ad un suo verso: "un vuoto spaventoso doveva caratterizzarsi/
RispondiEliminatestimoniare gli spaventi sociali che si scaraventano sopra di noi". Grazie:)
la poesia come testimonianza, di qualcosa che altrimenti non verrebbe ricordato, contro l'oblio.
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