Eppure avevo riposto il registro nel cassetto, ricordo di
essere uscita da scuola. Pioveva a dirotto. Sono tornata a casa, nel tepore
delle mie stanze. Da lì, dal Pakistan mi sono giunti i suoni degli spari. Ed
ero di nuovo lì, a scuola. Avevo davanti i banchi:
vuoti, macchiati di sangue. Ho
aperto il registro. Non mi bastava l’alfabeto, non ne ho trovato uno capace di
contenere i nomi, strappati dalle pagine della vita. Sottratti all’istruzione,
ai giorni, alla poesia, alle note di un futuro:
Asmaa, l’Eccellente
Doaa, una voce del cuore
Hakima, la saggia
Hamamah, che scontò una pena per molto amore di Allah
Rajyah, colei che spera
Sarah, la principessa
Tahira, l’innocente
Ahmad, il più lodato
Azuz, il prezioso
Bilal, acqua che rinfresca
Faruq, che separa il vero
Hanif, colui che rigetta l’errore
Nassir, colui che porta assistenza
Wajid, colui che trova ciò che desidera
Rahim, pieno di mansuetudine
Seth, dono
Tayeb, il buono (morto bambino)
Zakkaria, pace su di lui.
E mentre ripassavo il volto degli assenti che mai
avrebbero giustificato annotavo gli argomenti: barbarie, inciviltà, vendetta,
guerra. Parole che mi rimbombano nella coscienza e spalancano innanzi il
baratro di un inferno. Una voragine che sembra avere inghiottito l’ umanità.
Una voragine dalla quale Allah e tutti gli dei sono fuggiti. Non senza aver
fotografato la follia di chi spense gli occhi «all’acqua che voleva
rinfrescare»; «a colui che doveva portare assistenza»; «a colei che sperava»;
alla «voce del cuore» e a tutti coloro «che scontarono una pena – straziante –
pur portando molto amore al nome di Allah».
A quella follia Allah chiuderà le porte della Janna per
impedire ai bambini di incontrare i loro carnefici e consentire loro di
conservare una parvenza di giustizia, protetti dentro un’ aula scolastica dove
al fanatismo sarà impedito l’ ingresso.
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