lunedì 4 settembre 2017

Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo – Davide Miccione














Davide Miccione, professore universitario, fa un'analisi dell'ignorante ipermoderno.
a partire dalla sua esperienza con gli studenti, ascoltando qualche castroneria, generalizza la figura dell'ignorante ipermoderno.
chi non l'ha mai incontrato?
non sono solo i giovani, ma anche gli adulti, che ormai senza vergogna si vantano di non sapere (povero Socrate, lui sapeva di non sapere).
i nostri rappresentanti politici rispecchiano gli elettori, ogni volta che parlano è un dramma, sia per la lingua italiana, sia per i contenuti.
Miccione cerca di capire quando questa ignoranza è stata sdoganata, ormai è strabordante, la tv la mostra ogni momento, è la regina della tv.
anche la scuola fa la sua parte, nella diffusione dell'ignoranza, e i danni si vedono e si vedranno una generazione dopo; un tempo bisognava sapere e avere una cultura generale, utile per ogni sbocco lavorativo, adesso importa saper fare, e l'addestramento al lavoro, ogni studente dovrà lavorare 43 anni almeno per uno straccio di pensione, togliamolo dai banchi un po' di mesi per assaggiare l'impresa, e in più lasciamolo un anno in meno a scuola, che evidentemente serve a poco.
l'ignorante ipermoderno si forma da giovane, noi siamo avanti nella formazione.




L’estraneità ai libri, vissuta un tempo come umiliazione sociale, oltre che come discriminazione culturale, si trasforma in un vanto. “Chi non ha letto un libro negli ultimi anni?” è una domanda che una volta avrebbe messo a disagio. Oggi fanno a gara per alzare la mano. Spesso le loro facce sono un avallo, autorevole quanto convincente, delle loro scelte. Se devono spiegarsi, possono arrivare fino a tre errori in una sola frase, farfugliata con una ostinazione degna di miglior causa. Ma non è un problema di istruzione. Ho sentito neolaureati giulivi, in una indagine settoriale, dichiarare con fierezza di non leggere mai nessun classico, di nessuna epoca.
(Giuseppe Pontiggia)  (p.22)

Vi è anche l’esorbitante tendenza a esportare, senza alcuna riflessività epistemologica, idee e luoghi comuni di ordine tecnico, economico, manageriale, di psicologia applicata in ambiti che rispondono (rispondevano, risponderebbero) ad altri criteri e altri valori. Non è solo italiana, ad esempio, l’idea che le abilità tecniche e le competenze immediatamente spendibili siano ormai  immensamente più importanti ella cultura generale. Con ciò, oltre a non porsi la domanda su quali enormi costi per la nostra civiltà possa avere la scomparsa di un’idea di formazione culturale sostituita dalla ricerca di mere competenze, si postula tragicamente e inconsapevolmente (giacché la consapevolezza appartiene a quel mondo ormai obsoleto)come unica valida un’idea di società in quanto macchina produttiva e di individui come mezzi, il cui senso è dato dall'essere idonei a portarla avanti. (p.62)


In senso estensivo gli intellettuali sono coloro che mantengono in vita la civiltà umana occidentale come siamo abituati a pensarla da secoli, cioè un luogo dove si crea e si fruisce arte visiva e musicale, letteratura…questa società di “intellettuali” nel senso esteso che stiamo adottando, dovrebbe ormai coincidere con l’uomo contemporaneo occidentale. Al contrario essa appare in Italia assai ristretta. (p.115)



QUI il primo capitolo del libro




L’autore indica le cause di quest’odierna “catastrofe antropologica” nelle discutibili scelte politiche su scuola e università fatte in Italia negli ultimi vent’anni, evidenziando il dato scandaloso legato alla persistenza di elevati indici di dispersione scolastica: nelle regioni meridionali, ancora nel 2009, due ragazzi su dieci abbandonano precocemente gli studi. E poi, anche se scolarizzati, più del 70% degli italiani non comprende un semplice testo. Inoltre, d’accordo con Raffaele Simone, Miccione sottolinea il “radicale mutamento delle modalità di attingimento cognitivo (visione vs.lettura, multitasking vs.concentrazione)”, come ulteriore significativa concausa dell’ingrossamento del “sottoproletariato cognitivo”; nella consapevolezza, comunque, che non sono solo italiane “la crisi delle istituzioni formative e la renitenza delle masse alla cultura (…), il consumo ossessivo di televisione (…), l’invasione delle tecnologie informatiche e il loro ossessivo utilizzo simultaneo a quasi ogni altra azione della vita”, “l’idea che abilità tecniche e le competenze spendibili siano ormai immensamente più importanti della cultura generale (…) e l’idea di società in quanto macchina produttiva e di individui come mezzi”.
Il testo ci riconduce quindi alle cause politiche del fenomeno: il trionfo dell’ignoranza è stato senz’altro favorito dalla “lumpendestra” (la destra stracciona) “populista, emotivista, ‘ipnomediatica”, oltre che dalla visione imperante di un“consumerismo ipermoderno che pone il consumatore e il consumo e non il cittadino o il lavoratore al centro della realtà.
E la sinistra? Dimenticata forse l’incompatibilità tra ignoranza e vita democratica di uno stato, tace o collude: “l’idea di un mondo dove (…) governanti e governati possano scambiarsi di posto, un mondo dove si prova a uscire e a far uscire ogni cittadino dalla minorità, è un sogno che nessuno è più interessato a sognare”. Leggere Lumpen Italia, testo davvero illuminante e ‘profetico’, risulta allora indispensabile per chi voglia interrogarsi sui perché dell’ignoranza dilagante e fare qualcosa per un’urgente e necessaria inversione di tendenza, prendendo spunto anche dalle cinque proposte elencate da Miccione per “iniziare a desottoproletarizzare l’Italia” . Perché, per  dirlo con le splendide parole di Pasolini citate nel testo a pag.18: “Chi protesta con tutta la sua forza (…) contro il regresso e la degradazione, vuol dire che ama gli uomini in carne e ossa.” 

Ci sono libri che un cittadino riflessivo non dovrebbe ignorare. Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo (Ipoc, Milano 2015) di Davide Miccione è uno di questi. Come spesso accade per i testi ‘necessari’, il bibliotecario avrebbe difficoltà a collocarlo in un settore disciplinare: esso infatti si occupa di tematiche solitamente affrontate da varie angolazioni (dalla sociologia alla pedagogia, dalla politica alla psicologia sociale), anche se si tratta essenzialmente di un’opera filosofica. Non tanto perché l’autore è uno dei più originali (e meno valorizzati) pensatori del panorama italiano contemporaneo, quanto per la mossa che ha dato vita al libro: puntare il dito su un dato talmente evidente da non essere più considerato nella sua estensione né nella sua gravità. Il dato è la sottoproletarizzazione cognitiva della popolazione italiana. Trasversalmente rispetto agli strati socio-economici, si registra un impoverimento non solo delle nozioni ritenute un tempo patrimonio comune dei cittadini adulti istruiti, ma - ciò che più preoccupa – della curiosità di capire come funziona il mondo. In sovrappiù, cresce la fierezza della propria ignoranza e della propria nolontà di conoscere. La povertà intellettuale è arrivata al punto non solo di non riconoscersi come tale, ma addirittura di interpretarsi come ricchezza.
In una prima parte del volume Miccione traccia una sorta di “fenomenologia dell’ignorante ipermoderno” attraverso sia l’osservazione personale sia gli studi di specialisti (come Graziella Priulla, autrice de L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del Paese, o Tullio De Mauro, autore de La cultura degli italiani ). Gli elementi per ricostruire l’identikit di questo nuovo Lumpen sono ricercati nelle aule universitarie e scolastiche prima, fuori dalle istituzioni deputate alla formazione delle generazioni più giovani dopo. Nonostante sia impossibile in questa ricostruzione non sorridere davanti a certe perle (come l’aspirante scrittrice che sogna un futuro costernato di successi letterari), la tonalità emotiva è di seria mestizia: che prospettive di progresso effettivo si aprono a una popolazione in cui l’omologazione culturale è avvenuta non mediante il riscatto degli sfavoriti, bensì il degrado dei privilegiati?
Il quadro dello sfascio del sistema formativo sarebbe abbastanza preoccupante da solo, ma uno sguardo ai risvolti politici “nelle piazze” lo rende – se possibile – ancor più tragico…

Un libro profetico, quello di oltre trent’anni fa di Marcello d’OrtaIo speriamo che me la cavo. Come tutti i grandi libri esso non costituiva solo la diagnosi, la presa d’atto di una catastrofe avvenuta, ma indicava una strada, il futuro sviluppo cui inevitabilmente si sarebbe andato incontro seguendo l’andazzo delle politiche educative sinora attuate. Detto fatto: l’ignoranza che lì era il frutto del proletariato economico e del sottosviluppo civile, il carattere di settori marginali della società, che non riuscivano a liberarsi attraverso l’acculturazione dalla propria condizione di minorità ma che avrebbero voluto farlo se ne avessero avuto le possibilità, è ora diventata una condizione diffusa, che si è trasmessa a tutti i gangli della società, alti a bassi, medioborghesi e proletari, sino a raggiungere le “cime abissali” della politica. Ma ora si è affermata una nuova figura di indigenza cognitiva, quella propria dello “ignorante ipermoderno”, di chi antisocraticamente “non sa mai di non sapere”, non si acccorge neanche di essere ignorante e scambia il proprio digiuno culturale per la massima realizzazione del sapere…
…L’ignorante ipermoderno nelle sue modalità di interazione sociale e politica con l’ambiente che lo circonda, cioè in quanto elettore e cittadino, assume la funzione di un nuovo tipo di sottoproletariato, impossibile da redimere. Incapace di perimetrare il reale attraverso una sua conoscenza adeguata, questo nuovo sottoproletario cognitivo è ormai per le classi dirigenti massa di manovra, manipolabile con i mezzi di comunicazione maggiormente diffusi (ancora oggi il 75% della popolazione italiana si informa solo attraverso la televisione). Ma esso non è più collocabile solo alla periferia della società, tra i diseredati – come il sottoproletariato marxiano – ma piuttosto si incarna in molteplici epifanie sociali, perché sta ad indicare quella parte della società nella quale impera l’assoluto rifiuto di qualsiasi perfezionamento personale, la celebrazione della propria nativa e inestinguibile ignoranza, l’esaltazione del sé come puro consumatore di beni. Ormai questi lumpenproletari li troviamo ovunque: tra i marginali delle periferie, nella media borghesia, nelle classi professionali, tra i politici (e si potrebbero fare nomi celebri), tutti accomunati e ammaliati dagli stessi armamentari visibili: «rapporto faticoso con le norme di ogni tipo, titoli di studio non meglio specificati o raccattati nei sottoboschi mercenari dell’istruzione, passione per i segni visibili del lusso (suv, donne vistose sottobraccio eccetera), disinteresse a tutto ciò che non sia solo materiale (diritto, religione, letteratura, arte)»…

2 commenti:

  1. Un saggio imperdibile, che ogni italiano pensante e desideroso di cittadinanza attiva dovrebbe leggere e meditare. L'ho recensito qui:
    http://maridasolcare.blogspot.it/2016/02/lumpen-italia-il-trionfo-per.html

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  2. è da te che ne avevo letto la prima volta...

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