venerdì 5 luglio 2019

Piano di pace?


La Palestina non è in vendita - Elias Khoury

Dove ci stanno portando i relitti della regione araba? A Manama, capitale del Bahrein, a una conferenza alla quale hanno affibbiato il titolo Peace to prosperity. Lì il 25 e 26 giugno i ricchi s’incontreranno per mettere in vendita la patria dei poveri, la terra palestinese, in cambio dei soldi del petrolio arabo. È il primo effetto della serie di accordi tra Donald Trump e Israele. Il presidente statunitense ha già consegnato allo stato israeliano Gerusalemme e il Golan, e recentemente ha fatto lo stesso con il 60 per cento dei territori della Cisgiordania. È ovvio. Gli evangelici e i sionisti cristiani tengono per le corna il toro imbizzarrito americano tramite il commercio immobiliare e lo incitano a una politica cieca, ultrasionista. Del resto, quando degli sciocchi uniscono visioni religiose sanguinarie al capitalismo selvaggio per far fronte alla crisi generata dal declino della globalizzazione si arriva al fascismo.
Benjamin Netanyahu e i suoi alleati, che stanno gettando le fondamenta di una seconda Israele razzista, intollerante e fascista, vogliono annientare la causa palestinese. È banale. Nel mondo ci sono stati diversi tipi di colonialismo da insediamento, che hanno avuto la massima espressione nell’apartheid in Sudafrica. Ma cosa ha a che fare con tutto questo il sistema arabo in via di decomposizione?
Voi non siete noi: la primavera araba ha tracciato una linea di separazione netta tra i cittadini in miseria e i governanti fascisti, militari o re del petrolio che con i profitti delle loro vendite hanno provocato una rinascita dell’islam reazionario e spietato. Una linea disegnata con il sangue, le lacrime, l’esilio e la distruzione. Chi vi ha chiesto di negoziare sulla Palestina? Per venderla vi state approfittando del fatto che l’attenzione del mondo si è spostata verso altri territori che voi, in combutta con i militari, la mafia e il gruppo Stato islamico, avete contribuito a destabilizzare. E oggi, invece di dare conto dei vostri crimini e della vostra ferocia, venite a vendere quello che non vi appartiene.
Che razza di gioco è questo con cui comprate l’isolamento di Gaza e fate pressione su Ramallah perché firmi un atto di sottomissione? Avete un solo scopo: proteggere i vostri troni e far scorrere fiumi di denaro. Siete davvero convinti che grazie ai vostri conti in banca gli Stati Uniti e Israele agiranno come mercenari nella vostra sciocca battaglia contro l’espansione dell’influenza iraniana? Siete davvero convinti che Donald Trump, che spesso ha ironizzato su ciò che vi è più caro dicendo che la vostra ricchezza non è infinita, si comporterà come un dipendente al vostro servizio? Siete convinti che l’esercito israeliano si consacrerà alla difesa dei vostri regni, dei vostri emirati, del vostro petrolio e del vostro orgoglio, dopo che lo avrete aiutato a sbarazzarsi della Palestina?
Avete davvero creduto alla bugia di essere così potenti, capaci di occupare lo Yemen, d’intervenire negli affari sudanesi e algerini e di manipolare il destino degli arabi? Ma lo sapete con quali occhi vi guardano il presidente degli Stati Uniti e l’occupante israeliano?
Fate come vi pare, ma state lontani dalla Palestina.
La sua terra è stata resa santa dal sangue dei martiri, e non è in vendita all’asta della vergogna. Fate come volete, distruggete le ricchezze della natura, andate a ballare con gli americani e organizzate manovre militari con Israele. Portate i ministri israeliani a visitare le moschee, come avete fatto con la ministra razzista Miri Regev. Lasciate che le bandiere con la stella di David sventolino nei vostri deserti e spingete i padroni verso una guerra idiota contro l’Iran.
Fate come volete, ma non a nome nostro. Noi non siamo voi. Avete combattuto il panarabismo con la Conferenza islamica e l’esercito israeliano. Il vostro, quello nuovo, unito e stabile, è arrivato troppo tardi. Siete morti, siete solo i fantocci d’Israele e degli Stati Uniti. Andate a ballare con gli americani, pagate ancora, prostratevi. Fate come volete, ma non vi permetteremo di farlo a nome nostro.
Il trucco è chiaro, quegli illusi pensano di ingannare americani e israeliani, ma che misera umiliazione subiranno! Gli Stati Uniti e Israele spremeranno fino all’ultima goccia di petrolio e di sangue arabo, per poi abbandonarli al destino che meritano. Dobbiamo bandirli dalla nostra lingua. Via dal vocabolario, dalla grammatica e dalle coniugazioni. Non c’è posto per loro nelle nostre lettere. Bandiamoli dai versi della poesia e dai ritmi della prosa. Bandiamoli dai distici del poeta Imru al Qays. Bandiamoli dalla nostra ombra. Il gioco è finito, la loro lingua è morta. Chi parla una lingua morta ha forse il diritto di venderci?
In Bahrein non ci sarà un accordo, ma una farsa; non ci sarà una pace, ma la fine di un’epoca per il mondo arabo. Un’epoca che grava sulle nostre spalle da settant’anni, e della quale è arrivato il momento di sbarazzarci . ab

ELIAS KHOURY è uno scrittore nato a Beirut nel 1948 ed è uno dei più importanti autori in lingua araba. È il direttore della rivista Al Dirasat al Falestiniyya. Ha scritto questa column per il quotidiano panarabo Al Quds al Arabi

da qui



L’annuncio aveva titoli roboanti. Piano di pace. Il piano del secolo. Un accordo economico con un programma sensazionale per cambiare la regione, con la partecipazione di tutti i paesi importanti. E un workshop con rappresentanti dei ministeri delle finanze di oltre 30 Stati. Palestinesi e israeliani non sono stati invitati ufficialmente. Da Israele hanno partecipato sei o sette giornalisti, alcuni uomini d’affari (compreso un generale da poco in pensione). Una quindicina i palestinesi. Metterei qui la parte indicata da me in rosso, quasi verso il fondo.

Dal Bahrein, tutti hanno guardato in direzione dell’Iran. Le sanzioni economiche dovevano portare a un accordo reale per evitare lo sviluppo del progetto atomico di Teheran, che effettivamente è stato abbandonato con l’accordo che Trump definisce «terribile» perché lo identifica con Barack Obama.
A Gerusalemme il premier Benjamin Netanyahu chiede più sanzioni e presiede orgoglioso un incontro dei consiglieri per la sicurezza nazionale di Israele, Stati uniti e Russia. Mentre il superfalco John Bolton approva con entusiasmo la retorica bellicosa del premier israeliano, il rappresentante russo Nikolai Patrushev dichiara che «l’intenzione di presentare l’Iran come un pericolo globale non è accettabile».
Il controverso uomo d’affari che oggi è presidente degli Stati uniti manda il non meno problematico Jared Kushner, suo genero, ai negoziati «di pace» israelo-palestinesi, per presentare il grande piano economico, un piano Marshall per il Medioriente, dicono gli statunitensi.
La situazione economica nei territori palestinesi è un disastro al quale statunitensi e israeliani hanno contribuito attivamente. Tel Aviv ha congelato il trasferimento delle tasse raccolte per conto dell’Autorità nazionale palestinese perché «viene dato denaro alle famiglie dei terroristi». Si tratta dell’equivalente di centinaia di migliaia di dollari, indispensabili per il settore pubblico e l’economia della Cisgiordania.
A Gaza, il continuo braccio di ferro con Hamas comporta un assedio e una situazione economica sempre sul punto di sfociare in una catastrofe umanitaria. La disoccupazione nella Striscia – e anche in Cisgiordania ma con effetti diversi – fa parte di un quadro di miseria che condanna la popolazione al pericolo continuo della fame e del disastro. Questo «gioco» ha un obiettivo chiaro: consolidare la divisione interna al popolo palestinese, garantire l’annessione della Cisgiordania (del tutto o in parte) in cambio della «indipendenza» di Gaza con i suoi 363 chilometri quadrati e due milioni di abitanti.
A tutto questo, il presidente statunitense ha aggiunto la riduzione degli aiuti economici di Washington e le pressioni contro il sostegno dell’Onu ai rifugiati palestinesi.
In cinquantadue anni di occupazione sono stati elaborati piani economici a centinaia, ma quest’ultimo sarebbe il «migliore»: 50 miliardi di dollari! Ma, attenzione, in dieci anni… anzi, un momento, 28 per i territori occupati, il resto per progetti in Egitto, Giordania, Libano e altri paesi della regione.
Alcuni piani sono oltremodo interessanti: miglioramento della circolazione di persone e merci, acqua ed energia. Le frontiere, le risorse idriche e quelle energetiche sono interamente controllate da Israele che sottopone i palestinesi a un continuo esproprio di terre e acqua, al controllo di tutte le fonti energetiche, a ostacoli di ogni tipo alle frontiere. Cinque miliardi verrebbero destinati al corridoio di collegamento fra Gaza e Cisgiordania, previsto dagli accordi di Oslo del 1993 ma finora boicottato dai governi israeliani.
Cinquantamila milioni! Che meraviglia. Chi li darà? Secondo il piano, 11 miliardi sarebbero appunto garantiti da Washington, 11 miliardi da «iniziative private» e il resto a carico della comunità internazionale. In ebraico e yiddish l’espressione più giusta è «luft gesheften»: faccende nebulose.
Anche in Bahrein, tutti chiariscono, si scusano: sì, questi piani vengono elaborati senza parlare con i palestinesi e gli israeliani, che non sono stati invitati. Poi non è proprio così: Trump e Netanyahu sono in continuo contatto. Il premier israeliano vede nei vari piani un altro modo per far avanzare il progetto di annessione della Cisgiordania, magari migliorando la situazione economica dei palestinesi ma senza alcuna vera risposta sul piano dell’indipendenza politica.
Il piano statunitense per la «prosperità» altro non è che un monumentale inganno: gli statunitensi non fanno che consolidare i criminali progetti di annessione della destra israeliana. In questi giorni è difficile dire se il pericolo più grave per la regione siano le intenzioni statunitensi verso l’Iran – e su questo fronte, benvenuto il freno russo -, o le menzogne economiche che nascondono l’appoggio alla politica di annessione israeliana e il pericolo di una nuova guerra nella regione.



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