martedì 26 gennaio 2021

MELVILLE CONSERVATORE? LASCIATE STARE LA BALENA BIANCA DELLA LETTERATURA (E LEGGETEVI “IL VENDITORE DI PARAFULMINI”) - Andrea Bianchi

Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini (orchestrate? fino a che punto?) dell’invasione del Campidoglio americano. Ora, gli antichi romani custodivano il loro Campidoglio con le oche e di notte queste facevano il loro dovere scacciando gli invasori. Chi può dimenticarsi questa simpatica storiella che ci raccontano quando sfogliamo timidamente il nostro primo libro di latino? A quanto pare però oggi un Campidoglio viene assalito e nessun parlamentare tiene il suo posto. Fa così paura la “grigia marea democratica” quando entra in aula?

*

Francamente trovo fastidioso, al limite del petulante, l’intellettuale che cerca nei capolavori della letteratura un pretesto e un segnale per fare i discorsi di attualità. Ne ho avuti tanti così: amici, professori luminari delle loro scienze, a volte anch’io lo facevo. Oggi credo di più nel valore di insegnamento che i testi possono avere sul piano educativo per chi ha uno sguardo ancora semplice sul mondo. Faccio difficoltà a insegnare qualcosa agli uomini già formati: al massimo li si può plagiare e manipolare. Ma è cosa sgradevole: guardate ad esempio cosa si sono messi a fare i conservatori americani all’indomani dell’occupazione del Campidoglio.

Hanno trovato il modo di intruppare Melville – che è nato duecento anni fa – nelle loro file e a partire dal libro dello studioso di turno vengono a raccontarci che Melville rifiuta la democrazia dei suoi contemporanei perché porta direttamente all’utopia, al comando dispotico dell’uomo solo al comando. Porcherie, carta straccia, benché siglata dal timbro della stamperia universitaria: questo mi pare Herman Melville’s Ship of State.

*

Per chi si interessa di queste cose, della manipolazione a fini pubblicisti della letteratura, rinvio a un’altra pagina dove raccontavo del tentativo più sciagurato in questa direzione. Mi riferisco all’uso che di Melville ha fatto molti anni fa un certo Carl Schmitt. Schmitt diceva le stesse cose dei conservatori americani attuali: ma con più garbo letterario, tanto da finire stampato da Adelphi.

*

Ma cosa vuol dire Ship of State nel titolo di quel libro americano recente?

Quando si sente parlare di “nave dello Stato” le interpretazioni sono infinite. Si parte da Platone e si arriva ai libri del Rinascimento sulle Navi dei folli. Sono i soliti argomenti che maneggiati con tastiere più o meno erudite formano la musica rilassante nell’area giochi dei dotti. Meglio lasciarle da parte. Quel che mi interessa oggi invece è la letteratura. Non credo che Melville sia accostabile alle nostre visioni, ai nostri problemi attuali. Può darci al massimo uno spunto, un suggerimento. Se avessi una classe di adolescenti ai banchi di scuola, gli darei da leggere un racconto di Melville, due pagine stringate: Il venditore di parafulmini.

*

Non voglio ammorbarvi di erudizione e rimando direttamente alla graziosa pubblicazione che ne ha fatto Elliot poco fa. Se ce la fate in inglese, invece, lo trovate qui. È un Melville tutto sommato inedito, lontanissimo dal metaforeggiare lento e assorto di Moby Dick o da quel sussurrare lugubre ed esistenziale di Bartleby lo scrivano. Ancora più lontano da quell’altro Melville che si mette la toga e fa l’oracolo del Novecento politico in Benito Cereno.

Il venditore di parafulmini piacerebbe ai ragazzi perché qui Melville gestisce la sua forma-racconto con gran sicurezza, soprattutto nel montaggio, che è la cosa più difficile, e incanta lo sguardo dei puri. Con le parole siamo bravi tutti, o quasi, la cosa difficile è proprio la struttura perché ha a che fare con quella dell’anima (che si può strutturare con le bevute e non solo con le poesie).

*

Il fatto è che quando un uomo è denso, denso come poteva essere Melville, tutte le nostre impalcature cadono e l’unico sguardo concreto può essere quello di un uomo che comincia a vedere, un adolescente insomma. Il quale, se leggerà Il venditore di parafulmini, troverà poi la stessa eleganza disillusa del Leopardi nel Venditore di almanacchi. Ma non voglio anticipare nulla.

Melville inserisce Il venditore di parafulmini nella stessa raccolta che comprende i racconti più turbati (Benito CerenoBartleby lo scrivano) a indicare che siamo noi uomini, lontani dalla pazza gente, a decidere di noi stessi. Se un giorno ci sentiamo leggeri, scartiamo i signori Cereno e Bartleby e ci sediamo, pensosi, sulla poltrona vicino al camino. Fuori diluvia, è ottobre. Bussano con insistenza alla porta. Apriamo ed eccoci davanti un uomo che non ci vende contratti di luce e gas ma qualcosa di simile: pretende di rifilarci un parafulmini. Ecco i grandi risultati della scienza! Ma si tratta per davvero di parafulmini? Cosa ci vuol vendere quest’uomo che fa commercio con le paure degli uomini, come dice Melville?

Siamo noi ad aprirgli la porta, siamo noi che apriamo i siti che ci vengono somministrati dal motore di ricerca che ci conosce molto bene. Però possiamo scegliere se aprire la porta di casa o no. Tanto fuori piove.

 

PS – Chi legge il racconto del venditore di parafulmini troverà tutti i dialoghi assurdi degni del caro Edgar Allan Poe. Ma si ricordi che sfottere il parafulmine, come Melville fa, in quegli anni era blasfemia. Il parafulmine era l’invenzione più famosa del vecchio padre costituente, Mr Franklin…

da qui

Nessun commento:

Posta un commento