mercoledì 6 gennaio 2021

Turchia-Kurdistan: lo spazio dei sogni e degli incubi

 

Cose turche a Instanbul? Bella ciao per la Libertà - Doriana Goracci

 

(ripreso da AgoraVox)

 

Mentre il #corona imperversa anche in Turchia e si canta Bella Ciao rivisitato in turco, lunedì 4 gennaio 2021, per la libertà e la qualità accademica turca, la polizia a Instanbul ha “ammanettato” i cancelli della migliore università del paese, mentre migliaia di persone hanno manifestato sulla nomina del suo nuovo rettore.

https://youtu.be/8r2QeTL8NIQ

Cose turche? Diciamo fatti accaduti ieri in Turchia, ad Instanbul, che non possono essere ignorati, tantomeno nascosti in Italia, dove la destra più oscura suona le sue lamentazioni .

Si dice che il nuovo dirigente dell’ Università di Bogazici sia l’ultimo di una lunga serie di nomine politicizzate in posizioni di vertice nel mondo accademico, che ha svuotato la qualità dell’istruzione nel paese. “Semplicemente crudele”: così si è espresso un professore di fama che si batte contro l’epurazione delle università turche. Infatti il presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante il fine settimana ha scelto l’accademico Melih Bulu come prossimo capo dell’università (nato nel 1970, ha un dottorato in finanza. Recentemente nominato rettore da Recep Tayyip Erdoğan con decreto del 1 gennaio 2021, candidato per l’AKP, al governo di Erdoğan nelle elezioni generali del 2015 n.d.r.)

 

L’Università di Bogazici, considerata da molti la Harvard turca per la sua istruzione di qualità, l’ambiente liberale e una storia che risale a 200 anni fa, è stata originariamente fondata da missionari americani, ha migliaia di studenti che lavorano nelle migliori aziende del paese e ai vertici della burocrazia statale. Bulu è visto come una nomina controversa perché ha cercato di candidarsi come membro del parlamento per il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) al governo nel 2015 e non faceva parte dell’attuale staff accademico.

 

La nomina ha creato rabbia tra gli studenti e gli ex studenti di Bogazici, che hanno elencato una serie di problemi riscontrati con i titoli di studio di Bulu. Presunte prove che Bulu ha plagiato nella sua tesi di dottorato e almeno un articolo accademico sono circolate sui social media.Un portavoce degli studenti ha detto che non erano particolarmente interessati alla storia personale di Bulu, ma piuttosto alla libertà accademica. “Riteniamo che l’autonomia dell’università possa essere concessa solo scegliendo il rettore attraverso un’elezione tenuta dal personale accademico”, ha detto il portavoce.

 

La manifestazione inizialmente si è conclusa pacificamente, mentre gli studenti hanno marciato attraverso il campus. Tuttavia, l’apparizione di Bulu nell’edificio amministrativo ha innescato ulteriori proteste e la polizia ha usato gas lacrimogeni e forza per disperderli.

e ancora

 

Centinaia di persone hanno manifestato lunedì a Istanbul contro quella che affermano essere la nomina politicamente motivata di un rettore in una delle migliori università turche da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan. Un giornalista dell’AFP ha stimato il numero in oltre 1.000, con dozzine di agenti di polizia che hanno assistito alla manifestazione senza intervenire. La rabbia è esplosa dopo il decreto presidenziale del 1 gennaio in cui Erdogan ha nominato Rettore dell’Università di Bogazici Melih Bulu – candidata alle elezioni generali del 2015 per il partito al governo del presidente.

 

Hanno cantato mentre alcuni tenevano cartelli che dicevano: “Vogliamo diritti, perché così tanta polizia?” e “Melih Bulu non può essere il rettore di Bogazici“. Erdogan ha assunto il potere di nominare direttamente i rettori dell’università dopo essere sopravvissuto a un fallito colpo di stato del 2016, e non è la prima volta che la sua scelta per Bogazici ha suscitato polemiche. Quando il professor Mehmed Ozkan è stato nominato rettore nel novembre 2016, c’erano tensioni e turbamenti da parte di studenti e accademici. I rettori delle università turche sono stati nominati tramite elezioni prima del luglio 2016. “Il mondo accademico è al di sopra delle ideologie e della politica, ma nominare un rettore della nostra università a dispetto della volontà dei membri dell’università è una mossa politica“, ha detto ai giornalisti una delle manifestanti, Selen, durante la manifestazione.

E ancora

Bulu è uno dei co-fondatori dell’associazione distrettuale Sarıyer dell’AKP e si era candidato alla candidatura diretta dell’AKP alle elezioni parlamentari e presidenziali del 2015 a Istanbul. Gli studenti lo chiamano “fiduciario” in riferimento ai sindaci che sono stati deposti dai municipi delle città curde e sostituiti da amministratori nominati dal governo. Anche numerose iniziative della società civile e gruppi per i diritti umani hanno partecipato alle proteste contro la nomina di Bulu, oscurate dalla massiccia violenza della polizia e dall’uso di lacrimogeni e idranti. Alcuni studenti hanno risposto alla violenza della polizia lanciando bottiglie. Due manifestanti sono stati arrestati dalla polizia a margine delle proteste, picchiandoli e prendendoli a calci. Nel frattempo, il cancello del campus dell’Università Boğaziçi è stato isolato dalle forze di sicurezza. L’anello d’assedio della polizia del campus universitario non è ancora stato completamente disperso.

Forse gli studenti turchi ricorderanno quando altri di loro,giovani e meno giovani cantavano Bella ciao nel 2012, e poi ancora nel 2013, in Turchia, e si continua a cantare e camminare per la Libertà.

Iste bir sabah uyandigimda Ciao Bella Ciao Bella Ciao Ciao Ciao Elleri baglanmis buldum yurdumu Her yani isgal altinda Sen ey Partizan, beni de gotur Ciao Bella Ciao Bella Ciao Ciao Ciao Beni de gotur daglariniza Dayanamam tutsakliga Gunes dogacak, acacak cicek Ciao Bella Ciao Bella Ciao Ciao Ciao Gelip gecenler diyecek merhaba Merhaba ey guzel cicek

 

 

NOTIZIE DALL’AGENZIA «ANBAMED» (IGNORATE – come al solito – DA QUASI TUTTI I MEDIA ITALIANI)

Turchia: condannato a 27 anni, in contumacia, il giornalista che aveva rivelato l’appoggio di Erdogan al terrorismo in Siria. 

 

Il giornalista turco, Can Dundar, ex caporedattore di Cumhuriyet (Repubblica), è stato condannato in contumacia a 27 anni e sei mesi di reclusione, per l’accusa di spionaggio e sostegno ad un’organizzazione terroristica armata. Aveva svelato sul suo giornale che i servizi turchi fornivano armi ai jihadisti in Siria. I suoi avvocati hanno rifiutato di partecipare all’udienza di proclamazione , “per non dare una patina di legalità ad una decisione politica già scritta”. Il giornalista vive all’estero, in esilio in Germania.

SIRIA

Nel conflitto siriano ci sono due fronti caldi. Uno aperto dalle truppe turche e milizie affiliate contro la zona curda e l’altro nel triangolo Aleppo-Raqqa-Hama, tra le truppe governative e i jihadisti di Daesh. Ieri sono rimasti uccisi nei combattimenti 5 soldati governativi e 9 jihadisti. Ad Afrin, invece, le milizie filo turche hanno compiuto rastrellamenti di civili in seguito allo scoppio di una mina sotto un veicolo militare turco.

SIRIA

La Turchia porta avanti il suo progetto di impedire ogni forma di autonomia curda nel nord della Siria. Da 48 ore l’artiglieria turca sta martellando le zone rurali limitrofe a Ain Issa, a nord di Raqqa. Tre combattenti curdi sono stati uccisi e fuga dei contadini verso il centro abitato. Ain Issa è una delle città amministrate dai consigli locali eletti, un’esperienza democratica voluta dalle Forze democratiche siriane a maggioranza curda. Il piano di Ankara è quello di prendere il controllo sull’autostrada T4, per garantire la striscia di sicurezza occupata all’interno del territorio siriano e riportarvi i profughi siriani rifugiati in Turchia.

 

 

Leyla Guven senza giustizia: 22 anni di cella per terrorismo - Chiara Cruciati

 

L’escalation contro Leyla Guven, storica esponente della sinistra curda in Turchia, ieri ha toccato la vetta: una condanna a 22 anni e tre mesi di prigione per terrorismo.

Il percorso compiuto fino alla sentenza di ieri contro l’ex parlamentare 56enne del partito di sinistra Hdp e co-leader del Dtk (Democratic Society Congress) ha occupato tutti gli ultimi 10 anni, per inasprirsi a partire dal 2015 con l’esplosione del consenso per la formazione filo-curda, la ripresa della campagna militare turca contro il sud est e poi nel Rojava, il nord-est siriano: prima l’arresto, poi un lungo sciopero della fame, il rilascio in attesa del processo, una prima condanna a sei anni non concretizzata perché protetta dallo status di deputata e infine (lo scorso giugno) il ritiro dell’immunità parlamentare.

Una cancellazione che ha aperto alla sentenza più dura, quella comminata ieri dalla corte penale di Diyarbakir: 14 anni e tre mesi per l’accusa di appartenenza a organizzazione terroristica (il Pkk) e altri 8 anni per due diverse accuse di propaganda terroristica (il riferimento è a due discorsi pubblici che Guven ha tenuto a Batman e Diyarbakir).

Nello specifico, la procura ha chiesto condanne per fondazione, guida e appartenenza a organizzazione terroristica, incitamento a proteste illegali e partecipazione disarmata a riunioni illegali. Subito è stato spiccato un mandato d’arresto, ma mentre scriviamo non è ancora chiaro dove l’ex deputata si trovi: ieri in tribunale erano presenti solo i suoi due legali, Serdar Celebi e Cemile Turhalli Balsak.

Immediata è giunta la condanna dell’Hdp: «La magistratura ha mostrato ancora una volta di agire in linea con gli interessi del partito di governo – si legge in una nota – Non riconosciamo questa punizione illegittima e dannosa». «Questa decisione ostile – prosegue il comunicato – non va solo contro Leyla Guven e non solo contro il Dtk, ma contro tutti i curdi e tutta l’opposizione. Né lei né noi ci arrenderemo a causa di punizioni e arresti».

Guven è considerata un simbolo della lotta all’autoritarismo che oggi caratterizza la Turchia. Ex sindaca, ex deputata, prigioniera politica tra il 2009 e il 2014, riarrestata a gennaio 2018 per aver criticato l’operazione militare di Ankara nel cantone curdo-siriano di Afrin, nel novembre dello stesso anno ha iniziato uno sciopero della fame durato fino al 26 maggio 2019, sostenuto da migliaia di prigionieri e prigioniere curde nelle carceri turche ma anche da donne esponenti della sinistra mondiale, da Angela Davis a Leila Khaled: 200 giorni a digiuno contro l’isolamento a cui è sottoposto il leader del Pkk Abdullah Ocalan.

Ridotta pelle e ossa, era stata rilasciata a gennaio 2019 ma aveva proseguito la protesta nella sua casa di Baglar, a Diyarbakir. Con la mascherina al volto, gli organi vicini al collasso, continuava a chiedere «democrazia, diritti umani e giustizia».

Nulla di nuovo sotto il sole a strisce turco: le accuse mosse sono sempre le stesse, tutte derivazioni varie ed eventuali del reato “terrorismo”, con cui in cinque anni una magistratura sempre più erdoganizzata e un ministero degli interni campione di commissariamento di enti locali hanno devastato l’Hdp.

Tanti piccoli golpe Akp-diretti: il Partito democratico dei Popoli ha visto imprigionare i propri leader nazionali, Selahattin Demirtas e Fiden Yukesdag, insieme a una decina di altri parlamentari; arrestate migliaia di amministratori locali, membri di partito e semplici sostenitori; commissariare quasi ogni comune vinto nelle due ultime tornate elettorali municipali. E stracciare l’immunità parlamentare.

(ripreso dal quotidiano «il manifesto»)

 

 

Turchia. Libertà per Leyla Güven

 

Appello di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

E’ stata condannata a 22 anni di carcere Leyla Güven, co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP), il cui seggio parlamentare era già stato arbitrariamente revocato l’anno scorso. Una sentenza, al tempo stesso, contro il popolo curdo e contro l’opposizione democratica al regime ultranazionalista, autoritario e repressivo di Erdogan.

Si tratta dell’ennesimo attacco del governo turco contro l’HDP (terza forza politica nel parlamento) che fa seguito al commissariamento arbitrario di decine di Città nel Kurdistan anatolico, nel Sud-Est, e all’arresto di molti-e tra i-le principali dirigenti dell’organizzazione, tra cui Selahattin Demirtas, l’ex candidato presidenziale in carcere di massima sicurezza da oltre quattro anni.

Non più tardi di due anni fa, la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato la Turchia per violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Infatti, tenendo in carcerazione preventiva un esponente politico durante importanti scadenze elettorali,  il governo turco ha mostrato il volto repressivo di una carcerazione preventiva per motivi politici, ma ha anche violentemente compresso i diritti civili e la stessa democrazia.

Non dimentichiamo la vicenda di Abdullah Öcalan, leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), da più di 20 anni detenuto nell’isola-carcere di massima sicurezza di Imrali, nel più inumano isolamento.  Questa aperta violazione dei diritti umani, cerca di cancellare le speranze di pace e giustizia nella regione. Speranze possibili anche grazie alla storica lotta per il progresso e l’auto-determinazione del popolo curdo e ai tentativi condotti da Ocalan, per una pace con giustizia sociale ed inclusione per tutti i popoli della regione.

Ci uniamo alle forze della sinistra turca nella loro lotta contro il regime e per una Turchia di democrazia, di giustizia, di progresso sociale, rispettosa dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli.

I compagni e le compagne curde si battono contro lo smembramento degli Stati per linee etniche, settarie o religiose. Si battono per la democrazia e per il pluralismo, per il rispetto delle differenze culturali e religiose, per la partecipazione popolare e l’inclusione sociale, per una prospettiva di una società democratica e progressista, internazionalista e anti-patriarcale.

Siamo al fianco della resistenza del Rojava,  delle formazioni dello YPG (le Unità di Protezione del Popolo) e del YPJ (le Unità di Protezione delle Donne) contro l’occupazione e contro il settarismo, per una società democratica confederale e inclusiva.

Esigiamo l’immediata cessazione delle misure di sorveglianza speciale contro tutti-e coloro che, anche dall’Italia, si sono uniti-e alla resistenza contro l’invasione turca in Siria e gli assassini dell’ISIS.

Chiediamo l’immediato rilascio di Leyla Güven, di Abdullah Öcalan e di tutte le prigioniere ed i prigionieri politici del regime autoritario e repressivo di Erdogan.

Siamo a fianco del popolo curdo nella sua battaglia per l’auto-determinazione, per la vittoria della rivoluzione democratica, in Kurdistan e nel Rojava.

Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

 

VEDI ANCHE L’ARTICOLO (su Pressenza) di Murat Cinar: Turchia – 2020: un anno di repressione ma anche di resistenza e Re-esistenze in Rojava (su Comune-info)

 

 

Per Eddi una sorveglianza vergognosa

Comunicato dei Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est (*)

https://assets.contropiano.org/img/2020/12/eddi-torino-rojava-700x300.jpg

Il Tribunale di Torino ha confermato la Sorveglianza speciale a Eddi senza alcuna attenuazione.

Il Tribunale non ha rispetto per le cadute e i caduti nei cinque anni di guerra contro lo Stato islamico in Siria e per l’esercito delle Unità di protezione delle donne curde (Ypj) di cui Eddi ha fatto parte e cui la città di Torino ha pochi giorni fa dedicato un giardino di fronte al Cimitero monumentale. È a causa di quella scelta, maturata in Siria nel 2017, che Eddi (inizialmente con altre quattro persone) è stata proposta per questa misura. Unica donna, è l’unica cui la misura sia stata applicata e confermata.

Questa decisione arriva contro un’ampia mobilitazione civile, espressione pubblica di numerose opinioni anche giuridiche in dissenso, appelli di centinaia di giuristi e personalità della cultura, opere, libri e documentari dedicati a Eddi e alla sua vicenda. Getta vergogna sull’istituzione, dimostrando che il suo personale non ha la caratura morale per formulare giudizi su vicende che comportano la morte o la sofferenza di milioni di persone.

Questo giudice, come quello precedente, cerca proprio per questo di lateralizzare la vicenda siriana di Eddi pretendendo che essa, che pure è conditio sine qua non dell’intera iniziativa giudiziaria, abbia ceduto il passo a ben più gravi attività politiche svolte in Italia. La procura aveva affermato il 12 novembre che l’attivismo politico di Eddi è inseparabile dalla sua partecipazione siriana. Questo è vero: non si ha una “Eddi” senza l’altra. L’ipocrisia istituzionale dell’Europa deve venire a patti con sé stessa. Eddi è un’internazionalista e una femminista e per questo è partita per la Siria, cosa che non hanno fatto altri. Ma proprio questo è ciò che il tribunale di Torino non può accettare.

Di qui la criminalizzazione indecente di attività nobili e pacifiche svolte in Italia, che denuncia un’ostilità ideologica preoccupante da parte di un Tribunale, la cui politicizzazione in seguito vicenda del Tav è ormai tema di dibattito sulla stampa nazionale e nello stesso parlamento italiano.

Le manifestazioni universitarie, ambientaliste, per i diritti sul lavoro e contro l’invasione turco-jihadista del Rojava sono definite «pericolose» e «gravissime». Sono sfide «all’autorità» poste in essere in luoghi pubblico, e tanto basta. Nessuna sentenza definitiva ha mai addossato a Eddi alcunché di illecito e non potendo fare leva su sentenze, il tribunale si fonda su «segnalazioni» di singoli poliziotti. Il collegio ha rivendica nel decreto nero su bianco la potestà della sezione preventiva del tribunale di utilizzare notizie di polizia non entrate in processi penali, elementi desunti da processi ancora in corso e persino da procedimenti che si siano conclusi con un’assoluzione. Avoca in sostanza a sé il diritto di giudicare al di fuori delle garanzie previste per uno stato di diritto e secondo criteri di assoluta eccezionalità; quindi, nei fatti, con piena arbitrarietà.

La denuncia della difesa della mortificazione del contraddittorio in primo grado, con l’espunzione di testimoni e il rifiuto del primo giudice di permettere l’interrogatorio dei poliziotti, è stata liquidata con toni sprezzanti nei confronti della difesa. Il decreto parla di “reati” sebbene non ve ne siano e, ammette in modo inquietante, Eddi è soltanto “formalmente” incensurata, Che cosa significa? Forse per il tribunale di Torino il cittadino non è presunto innocente se non “formalmente”? I principi costituzionali o del diritto internazionale umanitario non valgono a Torino nella sostanza? Affermazioni scandalose discendono da questa concezione poliziesca della giustizia, e devono essere denunciate all’opinione pubblica.

«Non si vede come possa rilevare», scrive il collegio, che un agente Digos intervenuto a impedire a una serie di ragazze di assistere a un’assemblea accademica nel 2016 «abbia minacciato in una fase ancora concitata una delle presenti, diversa dalla Marcucci, di reagire con schiaffi» (p. 15). Le testimonianze oculari di cariche effettuate a freddo e senza ragione alla manifestazione del primo maggio (dove pure Eddi non ha usato alcuna violenza) sono come tali «inverosimili» poiché «non si può supporre» nelle forze dell’ordine schierate in piazza una «ingiustificata aggressività» (pp. 19-20). Se la carica parte, la carica è motivata.

Pur di far passare Eddi come una squilibrata il giudice si spinge ad affermare che il divieto di avvicinarsi a bar e locali pubblici tra le 18 e le 21 ogni giorno, prima di rientrare obbligatoriamente a casa, è dovuta alle probabili aggressioni che metterebbe in atto contro avventori «non in sintonia con i suoi orientamenti» (p. 23). Questa illazione non è suffragata da nulla se non dal decreto stesso, né da segnalazioni di polizia. Come indizio dell’attitudine intrinsecamente violenta di Eddi si cita la sua opposizione, nel 2016, a una manifestazione neo-fascista all’università. Essa avrebbe dimostrato la sua incapacità a tollerare «il libero confronto delle idee». Un nesso ispirato forse dalle fatiche letterarie di Bruno Vespa.

La proibizione più grave, e maggiormente contraria ai diritti umani e costituzionali – quella di manifestare e anche parlare in pubblico – viene giustificata in base a questi «paradigmi di pericolosità soggettiva». Eddi potrebbe, in altre parole, esercitare violenza anche in quelle circostanze. Stiamo parlando dell’uditorio di una sua conferenza. Chiunque può farsi da sé un’opinione di simili affermazioni e della loro natura. Se qualcuno ancora avesse dubbi su cosa è oggi il tribunale di Torino, si consideri la provocazione conclusiva del decreto. Eddi ha chiesto che le venga restituita almeno in parte la somma di 1.000 euro che ha dovuto versare allo stato come “cauzione” per essere sorvegliata, facendo presente che, per una lavoratrice della ristorazione, questo non è un periodo facile; e che chi è sottoposto a sorveglianza speciale perde automaticamente il diritto a qualsiasi sussidio corrisposto dallo stato. Il collegio risponde a p. 24: «Tra il 2018 e il 2019 la proposta ha affrontato le spese di un lungo viaggio in zona di belligeranza, per poi rientrare per via aerea, così palesando capacità reddituale non minimale».

Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est

(*) La vicenda di Edgarda Marcucci è stata raccontata in “Bottega”; cfr Se ha combattuto l’Isis, lo Stato italiano le proibisce di parlare

 

 

APPELLO (in più lingue) DI Anti-Imperialist Front PER INIZIATIVE SOLIDALI CON GRUP YORUM E GLI AVVOCATI PERSEGUITATI IN TURCHIA

 

Cari compagni,

vogliamo prima di tutto inviarvi i nostri migliori auguri per il nuovo anno nella lotta e nella resistenza del nostro popolo, che sarà anche una nuova sfida per tutti noi.

Da quando la crisi del capitalismo è cresciuta negli anni, le guerre e gli interventi per i nuovi mercati imperialisti da Sud a Est continuano a pieno ritmo…
I regimi fantoccio neoliberali che fanno da guardia ai grandi monopoli, hanno potenziato e liberato le loro forze reazionarie per opprimere le reazioni di massa e la resistenza dei lavoratori alle nuove politiche restrittive, di austerità e antidemocratiche.

Oggi la solidarietà e l’unità dei popoli sono diventate più necessarie che mai.
La privazione sociale e culturale ha regnato con le misure di Covid-19, oltre alla crescente miseria e povertà di gran parte della popolazione mondiale…

Non perderemo la speranza, non cederemo alla paura dettata dal Sistema capitalistico e non assisteremo all’ingiustizia in atto attraverso la quale il divario tra ricchi e poveri si allarga e la minoranza ricca approfitta della recente situazione.

Quest’anno, anche in condizioni difficili e particolari, l’esempio della resistenza in Turchia ci ha dimostrato che la solidarietà non conosce confini, che chi resiste per una giusta causa è in grado di vincere, perché le sue armi sono i cuori, le mani e le convinzioni si uniscono all’anelito dell’eterno popolo!
L’avvocato del popolo Ebru, i membri del Grup Yorum Ibo e Helin, il combattente per la giustizia Mustafa, sono stati immortalati in una resistenza che ha sfondato le mura della prigione, i confini dei paesi e i mari.
La giustizia è stata la loro ultima richiesta per continuare a difendere e a praticare l’arte al fianco dei popoli oppressi.

L’avvocato Aytaç Ünsal, che era in punto di morte e che è stato rilasciato dal carcere con una decisione del tribunale per ottenere un trattamento medico sanitario, è stato arbitrariamente arrestato di nuovo qualche settimana fa su richiesta del Ministero degli Interni. È stato arrestato e torturato dalla polizia, dopo aver lasciato Istanbul con un amico per respirare aria diversa.
Non c’è alcuna base legale per la sua detenzione e il suo arresto, nonostante le false accuse e le menzogne propagandistiche contenute nei media della polizia che dichiarano che Aytaç stava per lasciare il Paese. Né questa accusa era vera, né l’ordine del tribunale gli proibiva di lasciare la città.
Aytaç Ünsal è di nuovo in prigione, il suo ordine di rilascio è stato arbitrariamente annullato ed è stato privato del diritto alle cure mediche, anche se non ha avuto abbastanza tempo per riprendersi dopo 215 giorni di sciopero della fame. La polizia antiterrorismo ha applicato i suoi crimini di tortura su un avvocato davanti alle telecamere.

Vogliamo la libertà immediata, prima di tutto per Aytaç Ünsal e poi per tutti gli avvocati del popolo che sono stati arrestati senza un giusto processo e il cui caso, che non era altro che una punizione politica, era stato testimoniato dagli studi legali, dagli ordini degli avvocati e dalle istituzioni legali di tutto il mondo.

Quando entreremo in un nuovo anno di lotta, daremo anche nuovi impulsi di speranza con la nostra unità e solidarietà internazionale.

Così, in ultima istanza, il nostro appello a voi sarebbe quello di PREPARARE UN BREVE VIDEO CON UNA SEMPLICE DOMANDA FORMULATA IN UNA O DUE FRASI:
“Chiedo l’immediato rilascio dell’avvocato Aytaç Ünsal! Libertà per gli avvocati del popolo in Turchia!”

Pur volendo già ora esprimere la nostra gratitudine per il vostro modesto sostegno, vi inviamo anche gli indirizzi delle carceri degli avvocati del CHD/Ufficio Legale del Popolo in Turchia.
Se trovate ancora un po’ di tempo, vi preghiamo di dire anche ad Aytaç e/o agli altri avvocati personalmente che volete la loro libertà e che sostenete gli avvocati che difendono i diritti del popolo oppresso. Ad esempio scrivendo una cartolina/lettera con questa frase:
Caro XX, ci aspettiamo che tu sia libero nel 2021. La nostra lotta continua con te.”
“Sevgili XX, 2021’de özgür olmanızı bekliyoruz. Mücadelemiz sizinle devam ediyor.”

Aytaç Ünsal
Edirne F Tipi Hapishane
Edirne
Turkey

Aycan ÇİÇEK
Düzce T Tipi Kapali Ceza Infaz Kurumu
Düzce
Turkey

Selçuk KOZAĞAÇLI
Silivri 1 Nolu Kapali Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey

Behiç AŞÇI
Silivri 1 Nolu Kapali Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey

Barkin Timtik
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey

Oya Aslan
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey

Yaprak Türkmen
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey

Engin Gökoglu
Tekirdag 2 Nolu T Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey

Özgür Yilmaz
Tekirdag 2 Nolu F Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey

Süleyman Gökten
Tekirdag 2 Nolu F Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey

 da qui

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