venerdì 24 settembre 2021

La mia biblioteca. Chiacchierata sul collezionismo - Walter Benjamin (1931)

 

La mia biblioteca. Chiaccherata sul collezionismo - Walter Benjamin (1931)

 

 


Disimballo la mia biblioteca. Già. Non è ancora sulle scansie, avulsa ancora dalla lieve noia dell'ordine. Non posso percorrerne le file, per passarle in rassegna ante benevoli lettori (ciò non avete da temere). Bensì devo pregarvi di trasferirvi con me nel disordine di casse disserrate, nell'aria satura di polvere di legno, sul pavimento ricoperto di carte strappate, fra i mucchi di volumi riportati alla luce del giorno dopo due anni di oscurità, per condividere un po' del senso di anticipazione (anziché elegiaco) che i libri destano in un autentico collezionista. Infatti tale è chi vi parla e parla, perlopiù, solo di sé. Non sarebbe guasco (millantando finte spassionatezza e oggettività) enumerarvi qui i pezzi migliori o le sezioni principali di una biblioteca, o spiegarvi la storia della sua formazione nonché come giovi allo scrittore? Invece io miro a un che di più evidente, di più tangibile; ciò-che-mi-sta-a-cuore è darvi un'idea del nesso fra un collezionista & sua raccolta, un'idea del collezionismo anziché di una particolare collezione. Che lo spunto siano i diversi modi di procurarsi libri è affatto arbitrario. Tale svolgimento del discorso è (come tutti) solo un argine contro l'alta marea dei ricordi che ricopre ogni collezionista che contempli i suoi beni. Ogni passione confina col caos, ma la passione del collezionista confina col caos dei ricordi. Di più: caso e destino (che per me colorano il passato) ricorrono insieme, in modo sensibile, nel consueto disordine di tali libri. Cosa infatti è tale possesso se non un disordine con cui la consuetudine si è così familiarizzata da poter apparire come un ordine? Sono note persone ammalatesi per la perdita dei propri libri o altre che ne hanno acquisiti con delitto. Proprio in tali ambiti, ogni ordine è solo uno stato di precarietà assoluta. Anatole France dice:

«Esiste un solo sapere esatto: l'anno di pubblicazione e il formato dei libri».

In effetti all'assenza di regole di una biblioteca corrisponde la conformità a regole del suo catalogo.

Così l'esistenza del collezionista è una tensione dialettica fra i poli dell'ordine e del disordine.

Beninteso: è legata pure a tante altre cose. Ha un rapporto assai enigmatico con la proprietà (su cui dovrò tornare); e un rapporto con le cose che (slegato dal valore funzionale: la loro utilità, adoperabilità) le studia e le ama come la scena, il teatro del loro destino. È l'incantesimo più profondo del collezionista serrare il singolo oggetto in un cerchio magico in cui esso s'irrigidisce, mentre l'ultimo brivido (il brivido del venir acquistato) tosto lo lascia. Tutto ciò che è ricordato, pensato, saputo muta in basamento, cornice, piedistallo, sigillo della sua proprietà. Epoca, luogo, fabbrica, proprietario precedente: tutte tali cose insite ogni singolo oggetto della sua proprietà, per il vero collezionista, si fondono in una magica enciclopedia la cui essenza è il destino dell'oggetto. In tale ristretto ambito si può presagire come i grandi fisiognomici (e i collezionisti sono fisiognomici del mondo delle cose) diventino interpreti del destino. Basti osservare come un collezionista maneggi gli oggetti della sua vetrina. Tostoché li afferri, pare guardare ispirato attraverso di loro, nel loro passato remoto. Tanto potrei dire del lato magico del collezionista, della sua figura di vegliardo.

La frase Habent sua fata libelli forse riguarda i libri in sé. Libri quali la Divina Commedia o l'Etica di Spinoza o L'origine delle specie hanno il loro destino. Ma il collezionista interpreta diversamente tale detto latino: ad avere un destino sono le COPIE anziché i libri. E per lui il destino più importante di ogni copia è l'aver incontrato lui e la sua collezione. Non esagero: per l'autentico bibliomane acquistar un vecchio libro significa resuscitarlo. Proprio qui sta il tratto infantile che nel collezionista si compenetra con quello del vegliardo. Infatti i bambini hanno la capacità di rinnovare l'esistenza in centinaia di modi infallibili. Per i bambini collezionare è un metodo di rinnovamento fra tanti (come dipingere gli oggetti, ritagliare, metter adesivi; insomma l'intera sfera dei modi infantili di acquisizione: dal toccare al denominare). Rinnovare il mondo antico: ecco il profondo desiderio del collezionista quando ha l'impulso d'acquisir cose nuove. Indi il collezionista di libri antichi è più vicino all'origine del collezionare di chi compra edizioni di lusso.

Ora serve spiegare: come i libri varcano la soglia di una collezione e divengono proprietà di un collezionista? Qual è la storia del loro acquisto?

Tra tutti i modi di procurarsi dei libri, si stima il più lodevole scriverseli da sé. Ciò farà volentieri ricordare la grande biblioteca che Wuz (il povero maestrino di scuola di Jean Paul) si procurò col tempo scrivendosi da sé tutte le opere i cui titoli nel catalogo della Fiera lo avevano interessato ma non poteva permettersi. Invero gli scrittori non scrivono libri per povertà, bensì perché scontenti di quelli che potrebbero comprare ma non gli piacciono. Parrà questa una definizione svitata di scrittore. Ma è svitato tutto ciò che si dice dal punto di vista di un vero collezionista. Tra i modi usuali d'acquisto, il più abile per il collezionista sarebbe prenderli in prestito senza restituirli. Chi prenda in prestito libroni (come ce li immaginiamo) risulta un incallito bibliomane più per il fatto che i libri non li legge che per il fervore con cui custodisce il tesoro arraffato e per la sordità con cui accoglie gli avvisi della banale quotidianità della vita giuridica. So per esperienza che qualcuno mi abbia riportato un libro dato in prestito senza leggerlo. Mi chiederete: sarebbe una caratteristica del collezionista non leggere libri? Che novità. No. Gli esperti provano che è cosa antichissima. Mi basta citare la risposta che di nuovo France dava al borghesuccio che ammirava la sua biblioteca, per concludere poi con la domanda obbligata:

«E li ha letti tutti, signor France? – Manco un decimo. O forse lei mangia tutti i giorni col suo servizio di Sèvres?».

La legittimità di un tale atteggiamento ho verificata io stesso. Per anni (almeno per il primo terzo della sua esistenza finora) la mia biblioteca constò di non più di due o tre file che crescevano solo di pochi centimetri all'anno. Questa era la sua epoca marziale, vietante l'accesso ad ogni libro senza garanzia di averlo letto. Così mai sarei giunto alle dimensioni di una biblioteca, senza l'inflazione che (tosto spostato l'enfasi delle cose) mutò i libri in valori materiali, assai difficili da acquistare. Così almeno parse in Svizzera. E da lì feci in extremis i miei primi ordini di libri, riuscendo a salvare cose insostituibili come Il cavaliere azzurro o Il mito di Tanaquilla di Bachofen (allora ancora disponibili appo l'editore).

Dopo tanti giri in lungo e in largo, si dirà, dovremmo infine arrivare sulla strada maestra dell'acquisizione dei libri: l'acquisto. È una strada sì ampia, ma scomoda. L'acquisto del bibliomane ha poco in comune con quelli fatti in libreria dallo studente che si procura un manuale, dal signore di mondo che fa un regalo alla sua dama o dall'uomo d'affari che vuol alleviar la durata del prossimo viaggio in treno. I miei acquisti più memorabili li ho fatti in viaggio, da turista. Proprietà e possesso esigono una loro tattica. I collezionisti sono persone con un istinto tattico; secondo la loro esperienza, quando assaltano una città straniera, la più piccola bottega di un antiquario sta per un fortino e la più sperduta cartoleria per un posto nevralgico. Tante città mi si sono rivelate durante le mie marce a caccia di libri.

EEppure solo una parte degli acquisti più importanti avviene in negozio. Un ruolo più importante spetta ai cataloghi. E benché l'acquirente conosca un libro ordinato da un catalogo, il singolo esemplare resta sempre una sorpresa e l'ordine un azzardo: accanto a delusioni cocenti stanno felici ritrovamenti. Ricordo che un giorno ordinai un libro con illustrazioni a colori per la mia vecchia raccolta di libri per l'infanzia solo perché conteneva fiabe di Albert Ludwig Grimm e il suo luogo di pubblicazione era Grimma (in Turingia). Ebbene: di Grimma era originario un altro libro di favole (curato sempre da codesto Albert Ludwig Grimm) la cui copia in mio possesso era con le sue sedici illustrazioni l'unica testimonianza degli esordi del grande illustratore tedesco Lyser (vissuto ad Amburgo nella metà del secolo scorso). Bene, la mia attenzione all'assonanza dei nomi fu giusta. Riscoprii così i lavori di Lyser, specie un'opera (Linas Märchenbuch [Il libro di fiabe di Lina]), ignota a tutti i suoi bibliografi, e degna di una trattazione più dettagliata di questo mio primo accenno.

L'acquisizione di libri non è solo questione di denaro o competenza. Neppur insieme bastano per creare una vera biblioteca, che ha sempre un che di inafferrabile e di unico. Chi compri tramite i cataloghi (nonché le qualità menzionate) deve aver fiuto. Date, nomi di luoghi, formati, precedenti proprietari, rilegature ecc., tutto deve dirgli qualcosa, in modo armonioso, non sfuso; dal nitore di tale armonia deve capir se un libro fa per lui o no. Un'asta esige dal collezionista capacità ulteriori. Al lettore del catalogo parla solo il libro e, se la provenienza della copia è certa, tuttalpiù il precedente proprietario. Chi partecipi a un'asta deve tener altrettanto in cale il libro e i concorrenti, nonché mantenere i nervi saldi per non accanirsi nella lotta. Capita spesso di ritrovarsi costretti a un pagamento eccessivo per aver offerto più di tutti, non tanto per acquistare il libro quanto per vincere l'avversario. Invece è fra i ricordi più belli del collezionista l'attimo in cui comprò un libro (a cui in vita sua mai aveva rivolto un pensiero o un desiderio), solo perché stava abbandonato a sé stesso in balia del mercato, per donargli la libertà come il principe fa con una bella schiava ne Le mille e una notte. Infatti per il bibliomane la libertà di tutti i libri sta dovechessia sulle sue scansie.

Monumento della mia esperienza più eccitante ad un'asta sta ancor oggi nella mia biblioteca, su lunghe file di volumi francesi, La pelle di zigrino di Balzac. Fu nel 1915 all'asta della collezione Rümann tenuta da Emil Hirsch, uno dei più grandi conoscitori di libri ed insieme uno dei commercianti più distinti. L'edizione in questione uscì nel 1838 a Parigi, place de la Bourse. Al prender in mano la mia copia, vedo (nonché il numero della collezione Rümann) l'etichetta della libreria in cui, oltre 90 anni fa, il primo acquirente lo comprò a circa un ottantesimo del suo valore attuale. Cè scritto “Cartoleria I. Flanneau”. Bei tempi, quando in una cartoleria si potevano ancora comprare opere così preziose; infatti le siderografie di tale libro sono state disegnate dal più gran disegnatore francese e realizzate dai più grandi incisori. Ma è la storia dell'acquisto che racconto. Ero andato da Emil Hirsch per una visita preliminare, mi ero fatto passare fra le mani quaranta o cinquanta volumi, questo però con l'acceso desiderio di non farmelo scappare. Venne il giorno dell'asta. Un caso volle che nell'ordine di licitazione apparisse (prima di questa copia di La pelle dì zigrino) la serie completa delle sue illustrazioni, in tiratura a parte su carta India. Gli offerenti sedevano a un lungo tavolo; in diagonale di fronte a me sedeva l'uomo che attirò su di sé tutti gli sguardi alla prima licitazione: il famoso collezionista monacense, barone Von Simolin. Teneva a quella serie, aveva concorrenti; in breve, si giunse a un'aspra lotta conclusasi con l'offerta più alta di tutta l'asta: più di 3000 marchi. Dal fremito fra i presenti pare che niuno si aspettava una somma sì alta. Emil Hirsch non ci fece caso e (per risparmiar tempo o per altre valutazioni) nell'indifferenza generale passò al numero successivo. Disse il prezzo e io (palpitante sapendo che nulla potevo contro i grandi collezionisti presenti) feci un'offerta poco più alta. Il banditore allora, senza forzare l'attenzione dell'assemblea, passò ad aggiudicare con la formula usuale «Più nessuno?» e i tre colpi di martello (la cui intermittenza mi parve interminabile). Per me, da studente, la somma era comunque eccessiva; ma la mattina successiva al monte di pietà non fa parte di questa storia. Anzi preferisco narrar un fatto che definirei l'aspetto negativo di un'asta. Fu a un'asta berlinese dell'anno scorso. Veniva offerta una serie di libri eterogenea per qualità e argomento, fra cui meritavano interesse solo certe opere rare di occultismo e di filosofia della natura. Feci offerte per diverse di esse, ma per ognuna c'era un signore delle file davanti in attesa di rilanciare e poi seguitare senza limiti. Avendo ripetuto abbastanza questa esperienza, persi la speranza di acquistare il libro che quel giorno mi stava più a cuore. Erano i Frammenti dell'opera postuma di un giovane fisico che Johann Wilhelm Ritter pubblicò in due volumi a Heidelberg nel 1810. L'opera mai è stata ristampata, ma ne stimo l'introduzione (ove il curatore fa un necrologio dell'anonimo autore, presentato come un amico defunto, e che non è altri che lui stesso) la più importante prosa autobiografica del romanticismo tedesco. Nell'attimo in cui fu annunciato il suo numero, mi venne un'illuminazione assai semplice: poiché la mia offerta aggiudicava infallibilmente il libro all'altro, bastava che non facessi alcuna. Mi trattenni; restai muto. Quanto avevo sperato successe: nessun interesse, nessuna offerta; il libro fu ritirato. Stimai saggio far passare qualche giorno. In effetti, quando mi presentai dopo una settimana, trovai il libro dall'antiquario; la mancanza d'interesse dimostratagli mi tornò utile nell'acquisto.

Quanti ricordi si affollano nella mente avvicinandomi alla montagna di casse per trarne i libri alla luce, anzi al buio notturno! Nulla potrebbe esporre il fascino di tale disfare più della difficoltà d'interromperlo. Avevo iniziato a mezzogiorno ed era già mezzanotte prima d'arrivar alle ultime casse. Al che mi finirono fra le mani due volumi rilegati in sbiadito cartone, a rigore non destinabili a una cassa di libri: due album di figurine che mia madre incollò da bambina, e che io ereditai. Sono i semi di una collezione di libri per l'infanzia che cresce ancor oggi, benché non più nel mio giardino. Non c'è biblioteca vivente che non ospiti un certo numero di creature libresche provenienti da aree di confine. Non devono essere album con figurine o album di famiglia, né manoscritti autografi o legature con pamphlet o con testi religiosi; alcuni saranno affezionati a volantini o a prospetti, altri a facsimili di manoscritti o a copie dattiloscritte di opere introvabili; e di certo le riviste possono costituir i bordi prismatici di una biblioteca. Ma per ritornar a quegli album: è proprio un'eredità il modo migliore di farsi una collezione. Infatti l'atteggiamento del collezionista verso gli oggetti della sua raccolta viene dal sentimento d'obbligazione che lega il proprietario alla sua proprietà. Cioè è l'atteggiamento dell'erede, nel senso più elevato. E la nota caratteristica di una collezione sarà sempre rappresentata dalla sua ereditabilità. Dicendo ciò, so (e dovete sapere) quanto il mio discorso sul modo di pensare proprio del collezionare rafforzerà in molti di voi la convinzione dell'inattualità di tale passione, la diffidenza verso il collezionista come tipo sociale. Nulla mi è più estraneo che scuotervi da tale convinzione e da tale diffidenza. Faccio solo notar una cosa: il fenomeno del collezionismo perde il suo senso al venir meno del suo soggetto. Se le collezioni pubbliche possono esser meno controverse dal punto di vista sociale e più utili da quello scientifico rispetto a quelle private allora gli oggetti ottengono i loro diritti. So che è in arrivo la fine pel tipo sociale del collezionista (di cui ho fatto un po' da rappresentante ufficiale). Ma come dice Hegel: la nottola di Minerva (la comprensione) spicca il volo solo di notte (a cose fatte).

Solo estinguendosi il collezionista può essere compreso.

La mezzanotte è passata da tempo e sto davanti l'ultima cassa mezza vuota. Mi vengono pensieri diversi da quelli di cui ho parlato finora. Non pensieri, ma immagini, ricordi. Ricordi delle città in cui ho fatto tante scoperte: Riga, Napoli, Monaco, Danzica, Mosca, Firenze, Basilea, Parigi; ricordi dei sontuosi locali di Rosenthal a Monaco, dello Stockturm di Danzica dove abitava il defunto Hans Rhaue, dell'intanfita cantina di libri di Süßengut a Berlino-Neukölln; ricordi delle stanze in cui tali libri sono stati: la mia camera da studente a Monaco, la mia stanza a Berna; ricordi della solitudine di Iseltwaid sul lago di Brienz e infine della mia camera di ragazzo, da cui provengono solo quattro o cinque delle diverse migliaia di libri stanno per torreggiare intorno a me. Felicità del collezionista, felicità dell'uomo privato! Da nessun altro ci si è aspettato di meno e nessuno è stato meglio di chi ha potuto seguitare a condurre la sua malfamata esistenza, sotto una maschera à la Spitzweg1. Perché nel suo intimo si sono insediati degli spiriti, o almeno degli spiritelli, che fanno sì che per il collezionista (quello autentico intendo, il collezionista come deve essere) il possesso sia il rapporto più profondo che in assoluto si possa avere con le cose. Non che le cose siano viventi in lui, bensì è lui che abita in loro. E io vi ho presentato una delle sue dimore, i mattoni della quale sono i libri; e ora, com'è giusto, egli vi si ritira.

 

Note

1.      Carl Spitzweg è pittore di quadretti di genere, piena espressione del Biedermeier. “À la Spitzweg” sta per l'immagine del buon borghese pacificamente ritirato nella quiete dell'ambiente domestico

 

Traduzione indiretta dall'inglese di: Leonardo Maria Battisti, febbraio 2020. (Fonte: Walter Benjamin: Illuminations, translated by Harry Zohn and edited by Hannah Arendt, Mariner Books, 2019)

 

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