martedì 21 aprile 2020

Covid-19 | La lettera aperta di 100 intellettuali africani




Le minacce che incombono sul continente africano, legate alla diffusione di Covid-19, chiedono la nostra attenzione, sul piano individuale e collettivo. La situazione è critica. Non si tratta di fermare un’altra crisi umanitaria “africana”, ma di contenere gli effetti di un virus che sta scuotendo l’ordine del mondo, mettendo in discussione le basi della vita comune.
La pandemia di coronavirus sta rivelando quel che le classi benestanti, che vivono nelle principali grandi città del continente, hanno fino ad ora fatto finta di non vedere. Per quasi dieci anni, infatti, media, intellettuali, politici e istituzioni finanziarie internazionali si sono aggrappati all’immagine di un’Africa in movimento, nuova frontiera dell’espansione capitalista. Un’Africa in procinto di “emergere” economicamente, dai tassi di crescita in grado di fare invidia a più di un Paese dell’emisfero Nord. Ma questa rappresentazione in larga parte immaginaria si è lacerata di fronte a una crisi dalle molte sfaccettature e che ancora non ha rivelato tutti i suoi lati occulti.
Adesso però le varie prospettive di multiculturalismo inclusivo – tenute in vita dalla politica dei trattati – si stanno sgretolando sotto i nostri occhi, lasciando il posto a feroci lotte geopolitiche. Questo nuovo contesto di scontro economico caratterizzato dalla formula del “tutti contro tutti” sta lasciando in ombra i Paesi del Sud, ricordando, se necessario, che il ruolo che spetta loro è quello di docili spettatori.
La pandemia da Covid-19 minaccia di scuotere dalle fondamenta stati e amministrazioni africane, i cui fallimenti sono stati ignorati troppo a lungo. È impossibile menzionarli tutti. Qui basterà ricordare gli investimenti insufficienti nella sanità pubblica e nella ricerca di base, i mancati obiettivi di autosufficienza alimentare, la cattiva gestione delle finanze pubbliche, la priorità assegnata alla costruzione di aeroporti, strade e altre infrastrutture a spese del benessere delle persone e delle loro prime necessità. Su questi argomenti sono stati realizzati molti studi, che evidentemente non hanno fatto breccia nei circoli di potere dei diversi stati del continente. La gestione della crisi in corso costituisce una prova lampante del gap tra l’Africa reale e quella immaginaria.
La necessità di governare con compassione
Replicando senza contestualizzare i modelli securitari di “contenimento” adottati in Europa, molti leader africani stanno imponendo un brutale confinamento alle loro popolazioni, punteggiato spesso da interventi violenti della polizia. Queste misure possono forse soddisfare le classi benestanti, al riparo dalla promiscuità e che hanno la possibilità di lavorare a casa, ma si stanno dimostrando punitive e devastanti per quanti sopravvivono grazie a attività informali.
Cerchiamo di essere chiari: non stiamo sostenendo una scelta impossibile tra sicurezza economica e sicurezza sanitaria, ma desideriamo insistere sulla necessità che i governi africani tengano conto della precarietà cronica che accompagna la maggior parte delle loro popolazioni.
L’Africa ha certamente un vantaggio nella gestione delle crisi sanitarie su larga scala, legato alle esperienze pregresse. Le organizzazioni della società civile inoltre stanno mostrando un’enorme solidarietà e creatività. Queste iniziative non possono però in alcun modo compensare l’impreparazione cronica e le carenze strutturali dei diversi Paesi. Piuttosto che rimanere inattivi confidando negli eventi, dovremmo sforzarci di ripensare le basi del nostro destino comune, a partire dal nostro specifico contesto storico e sociale e dalle risorse disponibili.
La nostra convinzione è che “l’emergenza” non possa e non debba costituire una modalità di governance. Dovremmo piuttosto concentrarci sulla reale urgenza, che è quella di riformare le politiche pubbliche, di farle lavorare a favore delle popolazioni africane e secondo le priorità africane. In breve: è imperativo evidenziare il valore di ogni essere umano, indipendentemente dal suo status, andando oltre logiche di profitto, dominio o presa di potere.

Oltre lo stato d’emergenza
I leader africani possono e devono proporre alle loro società una nuova idea politica dell’Africa: è una questione di sopravvivenza e non di “prosperità retorica”. Sono necessarie serie riflessioni sul funzionamento delle istituzioni statali, sulla funzione stessa dello stato e sulle norme giuridiche che distribuiscono i poteri e definiscono il loro equilibrio.
Possiamo ottenere di più se partiamo da idee rispondenti alle realtà in tutto il continente. La realizzazione della seconda ondata della nostra indipendenza politica dipenderà dalla creatività politica e dalla nostra capacità di assumerci la responsabilità del nostro destino comune. Ancora una volta, vari sforzi isolati stanno già dando i loro frutti. Meritano di essere ascoltati, discussi e ampiamente incoraggiati.
Inoltre, il panafricanismo ha anche bisogno di una nuova collocazione di vita. Deve riconciliarsi con la sua ispirazione originale. Se i progressi nell’integrazione continentale sono stati lenti, le ragioni sono da ricercare, in gran parte, in un orientamento modellato dall’ortodossia del liberalismo economico.
La pandemia da coronavirus sta rivelando il deficit di una risposta continentale collettiva, sia nel settore sanitario sia in altri. Oggi più che mai, invitiamo i leader a ponderare la necessità di adottare un approccio concertato ai settori della governance relativi alla salute pubblica, alla ricerca in tutte le discipline e alle politiche pubbliche. La salute deve essere concepita come un bene pubblico essenziale, lo stato degli operatori sanitari deve essere migliorato, le infrastrutture ospedaliere devono essere aggiornate a un livello che consenta a tutti, compresi i dirigenti stessi, di ricevere cure adeguate in Africa. La mancata attuazione di queste riforme sarebbe catastrofica.

La sfida per l’Africa
La sfida con cui siamo chiamati a misurarci non è altro che il ripristino della libertà intellettuale e e della creatività del continente: in assenza di queste, qualsiasi discorso sulla sovranità si rivela inconcepibile. La sfida è rompere con l’outsourcing delle nostre prerogative sovrane, riconnetterci con configurazioni locali, abbandonare l’imitazione sterile, adattare la scienza, la tecnologia e la ricerca al nostro contesto, ridisegnando le istituzioni sulla base delle nostre specificità e delle nostre risorse, adottando un quadro di governance inclusivo e suno viluppo endogeno, per creare valore qui, al fine di ridurre la nostra dipendenza sistemica.
Ancora più importante, è essenziale ricordare che l’Africa ha risorse materiali e umane sufficienti per costruire una prosperità condivisa su base egualitaria e nel rispetto della dignità di ognuno. La mancanza di volontà politica e le pratiche estrattive di attori esterni non possono più essere usate come scuse per l’inazione. Non abbiamo più scelta: abbiamo bisogno di un radicale cambio di direzione.
Ora è il momento!».

Wole Soyinka (premio Nobel per la Letteratura 1986)…


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